Con un’intervista al curatore, lo studioso italo-argentino Bruno Ligore, presentiamo il libro che finalmente rende pubbliche le memorie scritte dalla grande ballerina dell’epoca romantica, Marie Taglioni, Souvenirs: le manuscrit inédit de la grande danseuse romantique.
Francese o italiana che sia, Marie Taglioni ha fatto la storia della danza. La sua figura impersona la quintessenza del balletto dell’epoca romantica, ma per molto tempo le sue memorie sono rimaste avvolte nel mistero. Nel corso del 2015, lo studioso di danza italo-argentino Bruno Ligore, residente a Parigi e dottorando presso l’Università di Nizza Sophia Antipolis, si è inaspettatamente trovato sulle tracce che la ballerina aveva deciso di lasciare alle generazioni future: la sua autobiografia, il manoscritto originale dei Souvenirs di cui si erano perse le tracce. Nel 2017, a conclusione di due anni di una ricerca dai contorni polizieschi, Gremese Editore ha pubblicato in Francia l’esito di un ritrovamento che vale la pena conoscere meglio, poiché, nella danza, storia e memoria entrano spesso in rotta di collisione, e gli studi più recenti stanno smuovendo dalle radici un sapere che talvolta è rimasto inesplorato. Famosa per essere considerata la prima interprete a fare delle romantiche scarpette da punta una specialità, Marie Taglioni ha in realtà una vita postuma che, suo malgrado, si intreccia non solo alla storia della danza, ma anche a un discorso politico che riguarda il periodo dell’occupazione nazista in Francia.
Sciogliamo subito il dubbio: Marie Taglioni o Maria Taglioni? Questa donna, che è una tra le più grandi ballerine della storia, era italiana o francese?
I Souvenirs sono scritti in francese, la lingua che Marie Taglioni ha scritto e parlato di più. Era poliglotta, però se si prendono in esame i suoi errori di grammatica ci si accorge che questi derivano dall’uso di costruzioni frasali italiane o inglesi. Oppure, ci sono parole che lei usava direttamente in italiano. Era nata in Svezia da madre svedese, il padre era di origini italiane, ma ogni figlio della famiglia era nato in un luogo diverso, era una famiglia itinerante. Marie Taglioni non conosceva la stanzialità, a parte alcuni anni d’infanzia trascorsi a Parigi, mentre il resto della famiglia viaggiava e mandava i soldi a casa. Per quanto riguarda la nazionalità, i francesi la sentono francese, gli italiani la credono italiana, tuttavia bisognerebbe attenersi alla percezione che lei aveva di sé e lei era molto critica verso ciascun paese. Pur essendo ballerina, era un’abile commerciante: se andava in Austria a danzare, sia nella danza che a livello comportamentale tirava fuori quello che gli austriaci volevano vedere, e così via. A corte faceva la stessa cosa, conosceva tutte le etichette. Non si faceva problemi a frequentare borghesi, nobili, …era camaleontica e per questo ha avuto enorme successo.
Quali materiali presenta il libro?
Il libro contiene una scheda biografica su Marie Taglioni, un capitolo sulla storia del ritrovamento dei Souvenirs, una parte descrittiva dei manoscritti, la loro trascrizione filologica, una ricognizione degli oggetti di Marie Taglioni posseduta dal Musée des Arts décoratifs, a cura del conservatore del museo, e infine: la lista degli oggetti del fondo, la trascrizione di una poesia ricevuta da Marie Taglioni, la bibliografia e gli indici. L’indice dei nomi, tra l’altro, è particolarmente interessante perché mostra l’elenco di tutte le persone che Marie Taglioni ha incontrato e conosciuto, non limitandosi solo alla danza.
Il libro mette in luce una doppia questione che riguarda la pratica d’archivio nella ricerca storica sulla danza. Tuttavia, oltre al piano dei contenuti, anche quello metodologico riguardante “l’impresa” della tua ricerca su Marie Taglioni mostra risvolti interessanti. Com’è nata questa ricerca?
A volte capita che mi vengano commissionate ricerche d’archivio. Così, facendo ricerche per un altro libro alla biblioteca dell’Opéra, ho iniziato a esplorare il fondo Taglioni. Poiché parallelamente al dottorato di ricerca lavoro alla Bibliothèque Nationale de France, dove ho potuto prendere dimestichezza con più tipi di fonti, in quell’occasione mi sono accorto che quelle carte non erano dell’Ottocento, ma del XX secolo. Così mi sono appassionato al caso: ho iniziato a cercare chi avesse citato quei documenti come originali e mi sono chiesto dove potesse trovarsi il manoscritto. Ci sono stati indizi che ho trovato, lasciati anche inavvertitamente da tutti coloro che negli anni Quaranta avevano avuto a che fare con l’originale. Per questo motivo il libro racconta più di una storia: una è quella scritta da Marie Taglioni, i suoi ricordi; poi c’è il tempo del suo manoscritto, ovvero le sorti di queste sue pagine, da quando lei le scrisse fino al 1940. Infine, c’è la storia dell’utilizzo delle sue memorie durante l’occupazione nazista, ed è questa che mi ha affascinato e allo stesso tempo fatto più paura. Si tratta di un periodo già molto studiato e delicato per coloro che lavorano sulla danza. Queste tre temporalità sono accompagnate dal racconto della mia ricerca: all’inizio non pensavo di raccontare questo ritrovamento, ma mi sono accorto di aver fatto un’indagine quasi poliziesca, rilevando tracce e riconoscendo autori e calligrafie. Nel libro c’è Marie Taglioni con le sue memorie, ma anche il modo in cui è stato possibile appropriarsi della sua storia. Non c’è l’ampiezza e la profondità di una riflessione riguardante l’argomento: il mio interesse era proprio quello di lanciare un input che facesse riflettere sul balletto romantico, non solo dal punto di vista formale, ma anche sui diversi modi attraverso cui ce ne siamo “appropriati” nel tempo e, in particolare, nell’ultimo secolo.
In che modo Marie Taglioni si è consegnata alla storia attraverso le proprie memorie?
La memoria transita nel tempo e può cambiare: alla fine dell’Ottocento si parlava di Marie Taglioni in un certo modo, in un altro se ne parlava quando i Balletti Russi tenevano la propria saison a Parigi e in un altro ancora durante l’occupazione tedesca. In particolare, per corroborare l’idea di un gemellaggio franco-tedesco, durante l’occupazione venne rispolverato tutto l’immaginario romantico: una tradizione di cui i francesi si innamorarono e che è stata oggetto di una forte strumentalizzazione politica. Negli anni Settanta, infine, è iniziata una nuova stagione, dedicata alla ricostruzione dei balletti. Pierre Lacotte, che vide il manoscritto ma non ne rivelò mai la collocazione, si è servito delle memorie della Taglioni certamente per fare dei bei prodotti, ma anche per creare dei balletti che avessero un buon risultato nel mercato dell’arte del suo tempo.
Possiamo dire che quello della famiglia Taglioni è stato un importante caso ottocentesco di branding e di marketing artistico?
Dopo quello dei Vestris, quello dei Taglioni è il caso più eclatante di marketing artistico dell’Ottocento. Marie Taglioni ne era cosciente e se ne è servita con abilità: suo nonno Carlo Taglioni era un danzatore grottesco, lei invece è morta in un castello! Non si tratta di una fiaba, perché la sua vita ha subito anche dei drammi, ma agli occhi dell’uomo comune lei era una specie di dea, un po’ come lo sono certe danzatrici oggi, forse anche di più!
In che modo credi che Marie Taglioni si sia avvicinata alla scrittura autobiografica?
Marie Taglioni non ha scritto “spontaneamente”, ma ha scritto il testo per costruire il racconto di sé e della propria memoria. La ballerina racconta dei nonni, quindi spingendosi indietro fino alla fine del Settecento, scrive della famiglia e un po’ della carriera: non ha citato La Silfide, non ha citato il proprio divorzio e non dice molto dei figli. Inoltre, sappiamo che si è documentata su alcuni dei propri parenti raccogliendo dati e articoli di giornale. Il progetto di scrittura è durato circa quindici anni, forse è stato preso e lasciato a più riprese. Possiamo dire che Marie Taglioni ha scritto queste memorie a tavolino tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta dell’Ottocento. Coincidenza vuole che in quegli stessi anni prendessero forma la biblioteca e l’archivio dell’Opéra, dove lei ha potuto ritrovare notizie sullo zio Salvatore Taglioni e sui suoi debutti a inizio Ottocento. Scriveva in brutta copia e spediva i testi a un correttore che non è stato possibile identificare; in seguito i testi sono stati messi in bella copia su dei quadernini intorno al 1876-80.
Questa ricerca dice qualcosa sul tipo di rilevanza che la danza aveva nella cultura dell’Ottocento?
La danza era più conosciuta e “condivisa” di quanto non lo sia oggi. Sembra che le persone avessero una maggiore capacità di lettura della danza: sia essa teatrale che di sala, era vissuta da tutti. Certamente aveva sempre qualcosa di marginale, sappiamo per esempio che la si considerava legata alla prostituzione; escluse le étoiles come la Taglioni, ovviamente. La cultura della danza era attraversata da più strati sociali, mentre oggi non è più così. Penso che su questo influiscano quindi le prassi di condivisione del tempo e dei saperi che prendono corpo, letteralmente, con altre tecnologie e dispositivi. Prima, la socializzazione, il divertimento e anche la conquista amorosa passavano per il teatro e per la danza. Come si ricamava e si suonava, si cantava e si danzava nell’ambito domestico: infatti Marie Taglioni racconta che faceva balletti pantomimici in casa. Ormai, in famiglia, non c’è quasi più questa sorta di “performatività”; al massimo, i ragazzi fanno la recita a scuola, poi il distacco dal teatro e dalla danza è totale.
Ho letto che il tuo libro ha suscitato polemiche in Francia, che cosa è successo?
Si è verificata una collisione tra storia e memoria. Durante l’occupazione nazista il manoscritto è stato pubblicato, utilizzato e sponsorizzato da chi faceva cultura di danza all’epoca, ovvero Serge Lifar e Léandre Vaillat. Questo, tra l’altro, fa capire come “dietro” i Souvenirs ci sia anche un’altra storia. C’è senza dubbio la memoria, come quella di Lifar e quella di altre persone che hanno insegnato all’Opéra lasciando un’impronta importante. Parlare di nazismo e danza è delicato perché molti sono stati allievi di un certo modo di fare ricerca, danza e coreografia.
In che modo la storia del nazismo francese ha influenzato la figura di Marie Taglioni?
Premetto che per me si tratta di un periodo di studio nuovo. Durante l’occupazione, finita l’epoca dei Ballets Russes, il mondo del balletto in Francia è stato brillantemente dominato da Serge Lifar. In quel momento emerge una certa visione della donna, che spazia tra il classico e il romantico: da una parte la donna esprime una femminilità fortemente politicizzata, che deve “servire” la società, dall’altra appare una femminilità comunque graziosa, innocente, capace di stare al proprio posto. Marie Taglioni, rappresentando questa sorta di “bambola” ideale, è stata utilizzata in questo senso, anche se lei – forse – non si conformava dentro di sé con questo modello di donna. Al contrario, come sostiene anche la studiosa Vannina Olivesi, da una parte Marie Taglioni era padrona di sé, dall’altra invece era costretta a rientrare in un certo immaginario. Questo si vede per esempio nell’ambito della coreografia: ambito che storicamente discredita le donne. Durante l’occupazione, oltre all’immagine della donna edulcorata, si verifica un riavvicinamento franco-tedesco che ricalca le radici del romanticismo. Per esempio, nella stampa dell’epoca Marie Taglioni e Fanny Elssler vengono innalzate a simbolo di un immaginario comune all’occupante e all’occupato.
C’è stato, in questo senso un avvenimento particolarmente significativo?
Per esempio, in occasione di una mostra al Musée des Arts décoratifs – realizzata con i fondi iconografici provenienti da Vienna e dall’Opéra – l’Istituto di cultura tedesco che gestiva la stampa e l’immagine mise in luce proprio l’aspetto collaborativo tra i due paesi. Probabilmente non c’era modo, in quel momento, di lavorare in Francia diversamente. Il walzer, per esempio, veniva visto come una danza nata in Austria che finalmente era entrata in Francia quando questa aveva smesso di “resistervi”. Anche nei testi, quindi, c’è la rappresentazione della Francia come di un paese che resiste e poi cede all’influenza tedesca. In ogni parola del catalogo di questa mostra, c’è un’impronta politica molto forte. Inoltre, le autorità tedesche visitavano la mostra ed era nell’interesse di alcuni francesi farsi vedere accanto a loro. Queste sono tutte indagini che sto conducendo in questo momento, ma l’obiettivo del libro dei Souvenirs era quello di citare il dossier costitutivo di questa mostra, che illustra come i soldi statali francesi, governati dal governo di destra, vennero usati per fare questa operazione. Sembra che Serge Lifar abbia ottenuto migliaia di franchi per pubblicizzare l’esposizione. Insomma, l’obiettivo del libro è anche quello di dare conto della realtà culturale dell’occupazione.
Gaia Clotilde Chernetich
Souvenirs: le manuscrit inédit de la grande danseuse romantique
di Marie Taglioni
a cura di Bruno Ligore
Editions Gremese, 2017
224 pagine
ISBN 9782366771169