Emanuele Conte e Michela Lucenti per il loro secondo spettacolo in coregia presentano al Teatro della Tosse l’adattamento del Maestro e Margherita di Bulgakov. Recensione e intervista a uno dei registi.
«Quando metti in scena un romanzo tradisci tutto». Inevitabilmente, racconta Emanuele Conte rispetto al suo ultimo spettacolo basato sul famosissimo Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Di contro, il presidente e regista della Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse ci tiene a sottolineare quali siano stati invece gli aspetti ai quali ha voluto tener fede in questa produzione codiretta assieme alla coreografa Michela Lucenti che fa parte del focus “La parola che danza”: da un lato «l’anima teatrale, che nel romanzo è fortissima» e dall’altra una riflessione che intreccia la questione sul potere (già affrontata nella precedente trilogia composta da Antigone, Caligola e Prometeoedio) e la paura della verità.
Una matrioska sono i piani del racconto sviluppati, che rispecchiano anche il trattamento subito dall’autore di quest’opera fortemente ostacolata, soggetta a censure da parte del governo sovietico, a rimaneggiamenti operati dalla moglie che lo completò postumo, di revisioni anche in tempi più recenti alla prima pubblicazione di cinquant’anni fa. Adattandola a una forma scenica che si ibrida di danza, musica, scene plastiche e video d’autore, Conte e Elisa D’Andrea che firmano il riadattamento, scelgono di affidare agli acquerelli animati di Giampaolo Bonfiglio la narrazione del testo scritto dal “Maestro”, nel quale egli discute dell’esistenza di Ponzio Pilato e Iesua Ha-nozry e per cui verrà censurato e imprigionato. Anche se soltanto in due momenti (a dispetto del romanzo dove la presenza è più incisiva), le figure si stagliano imponenti sul velatino che chiude il boccascena: le tracce cupe dei colori sono quasi sul punto di essere inghiottite dal buio (quello di scena o quello della società che le vorrebbe negare?); Pilato è uno scheletrico volto il cui segno più forte è la bocca, l’emanatrice di editti; mentre Gesù ha un volto pieno di rabbia, giudicante per quell’abuso di potere che è già forma di violenza verso gli uomini (forse non è un caso che il famigerato Ecce Homo di Antonello Da Messina usato dalla Socìetas Raffaello Sanzio nel dibattuto Sul concetto di volto del figlio di Dio sia proprio a Genova).
Gran parte dello spettacolo si muove dunque sulle conseguenze di quella ricerca sulla “verità vera”. Il Maestro (in sordina Andreapietro Anselmi) è osteggiato dal governo e dai critici, buffi e grotteschi caratteri, i quali sostengono la necessità di parlare di problemi dell’oggi, «di regime o di amore, ma non di verità»: questi gli unici possibili argomenti di intrattenimento. Come se quella, esemplificata da tre pile di fogli che arrivano al soffitto e che finiranno ben presto per crollare a terra, fosse appannaggio di un discorso antico, mitizzato, a cui rinunciare nella società contemporanea, a ciò che è reale. A chi interesserebbe questo discorso se non al diavolo in persona? Perché, come ammette Voland (Maurizio Camilli) che si presenta come «piccola parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene», se non si ammettesse la possibilità di un bene divino, anche la sua identità diabolica sarebbe messa in discussione. Ed è qui, più che altrove, che emerge il taglio più teatrale della riscrittura: egli, prima di essere diavolo alla ricerca della reginetta per il suo annuale Sabba, è un mago, un ciarlatano (colui che della vendita truffaldina fa teatro), a presentarci davanti al sipario la situazione nella quale interviene e legando così a doppia mandata il rapporto verità-finzione con la scena.
Gli altri elementi metateatrali forse passano un po’ sottotraccia, per dare invece ampio spazio alla ricerca della giovane amante Margherita, la quale accetterà, pur di rincontrarlo, di diventare la reginetta del diavolo, sullo sfondo di un coro di anime irretite. Michela Lucenti dà vita a un personaggio sfaccettato, che dalla fluidità piena di nostalgia e amore durante la prima danza col Maestro, una volta intrapreso il viaggio, modificherà la qualità dei suoi movimenti, rigida negli arti, dinoccolata, fino a raggiungere la potenza distruttiva durante il volo-incubo su Mosca in cui si abbatterà con furia cieca e incosciente sui critici che avevano denigrato l’amato. La forza (anche canora, davvero pregevole) si placa a contatto con la natura sovrumana, prima di raggiungere i quadri finali del Sabba (sul quale scenicamente spicca un trono sospeso con tanto di corna a contraltare della danza dionisiaca e ipnotica dei partecipanti al rituale) e dell’impossibile ricongiungimento con il Maestro, velato da una distanza infinitesimale eppure impossibile da raggiungere, quella stessa che intercorre tra ciò che è vero e quel che di vero può essere rappresentato.
Se è chiaro dal punto di vista dei contenuti, più complesso è sotto il profilo estetico, ovvero sotto quella forma attraverso cui presentarlo agli spettatori. Continua Conte: «Non esiste per me la “verità vera” messa in scena, si può raggiungere soltanto passando per la finzione. Io detesto ogni eccesso nella recitazione, preferisco una recitazione calma, misurata, non drammatica, voce pulita, mi piace che i personaggi nascano dalle caratteristiche degli attori. Non dobbiamo cercare per forza delle emozioni che non ci appartengono o legarci a delle pulsioni della nostra infanzia… per me si tratta innanzi tutto di uno sforzo di comprensione – anche culturale della parola». Conte e Lucenti, testimoni della collaborazione artistica e produttiva nata nel 2015 fra Balletto Civile e il Teatro della Tosse, portano ciascuno una riflessione distinta da fondersi poi assieme: l’uno su prosa e aspetti visuali, l’altra sulla danza come strumento di drammaturgia fisica; il loro è uno spettacolo in equilibrio tra eccessi e asciuttezza. Tra il pianoforte e la voce – meravigliosamente inusuale nei toni da contralto – di Gianluca Pizzino, le coreografie (non sempre pulitissime ma sicuramente agite con grazia) dei componenti di Balletto Civile e della compagnia della Tosse, le scene e la volontà, in gran parte riuscita, di «spostare i confini di uno spazio, fino a vederlo della dimensione desiderata». Lo spazio di quella verità che non ha potuto trovare luogo così a lungo non è tanto la platea in cui far svolazzare banconote finte per divertire il pubblico, forse non è nemmeno il palco, rimane un’utopia; «ma è un’utopia che vale la pena inseguire», anche se per farlo dovessimo ballare col diavolo in persona.
Viviana Raciti
IL MAESTRO E MARGHERITA
Visto al Teatro della Tosse – febbraio 2018
regia di Emanuele Conte e Michela Lucenti
testo di Emanuele Conte ed Elisa D’Andrea liberamente ispirato al romanzo di Michail Bulgakov
coreografie Michela Lucenti
assistenti alla regia Alessio Aronne e Ambra Chiarello
impianto scenico Emanuele Conte
animazioni video Paolo Bonfiglio
costumi Chiara Defant
luci Andrea Torazza
musiche Tiziano Scali e FiloQ
pianoforte e musiche originali Gianluca Pezzino
con Andreapietro Anselmi, Fabio Bergaglio, Maurizio Camilli, Pietro Fabbri, Michela Lucenti, Marianna Moccia, Alessandro Pallecchi, Stefano Pettenella, Gianluca Pezzino, Paolo Rosini, Emanuela Serra, Natalia Vallebona
direttore di scena Roberto D’Aversa
elettricista Matteo Selis
macchinista Fabrizio Camba
attrezzista Renza Tarantino
costruzioni Carlo Garrone
assistente ai costumi Daniela De Blasio
sarta Anna Romano
produzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse e Balletto Civile