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Il Teatro dei Venti e Ubu: folle tragedia di un Re

Il Teatro dei Venti per la regia di Stefano Tè presenta Ubu Re al Teatro dei Segni di Modena. Esito finale del progetto realizzato in collaborazione con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna per il biennio 2016-2018. Una riflessione

Foto di Chiara Ferrin

In mezzo al pubblico. Non davanti, non intorno ma proprio al centro, a dividere gli spettatori in due gradinate laterali, una a destra, l’altra a sinistra. La platea non esiste, il palco nemmeno. Il possibile regno, dall’idiozia profonda, accade in una striscia di spazio, una lunga tavola centrale alla sala del Teatro dei Segni di Modena. Ubu Re «spettacolo del Teatro dei Venti a partire dall’opera di Alfred Jarry» diretto da Stefano Tè e coadiuvato dall’assistenza registica di Simone Bevilacqua, è la restituzione finale del progetto realizzato con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna, la Casa Circondariale di Modena e la Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, realtà che per il biennio 2016-2018 hanno deciso di lavorare sul testo surrealista e fondativo del teatro dell’assurdo. I laboratori con attori professionisti e detenuti svoltisi negli istituti penitenziari hanno attraversato più fasi di lavoro: a luglio del 2016 la prima residenza al Collinarea Festival, il secondo incontro a dicembre dello stesso anno nel Festival In Necessità Virtù, e il debutto a Modena nell’ambito della rassegna Trasparenze Stagione nel dicembre 2017; per poi confluire nella rassegna Stanze di Teatro in Carcere che per l’edizione 2017 ha per titolo Le patafisiche: universi complementari del Teatro in Carcere.

Foto di Chiara Ferrin

Negli ultimi anni il teatro sociale è entrato nel dibattito storico-critico (ne è un esempio il libro Che c’è da guardare? La critica di fronte al teatro sociale d’arte di Andrea Porcheddu), come specchio del mutamento della scena contemporanea e delle modalità di lavoro scelte da alcune compagnie ai fini della formulazione di un nuovo linguaggio artistico. Senza addentrarci nella disamina di una simile, e vasta, tematica, è senza dubbio evidente come non si possa parlare di socialità nel teatro prescindendo dal suo aspetto processuale e, potremmo dire, “pre-teatrale”. Quel succedere in mezzo dell’allestimento scenico di questo adattamento di Ubu Re, è la chiave di lettura di un lungo lavoro di conoscenza iniziato dalla compagnia – da anni attiva nella progettazione in ambito socioculturale – coi detenuti, fatto di dialogo, scambio professionale, stima e rispetto reciproci, il quale per complessità e investimento sia umano e relazionale che logistico burocratico ha bisogno di non limitarsi solo alla finalità dello spettacolo ma la precede e trascende. C’è una differenza sostanziale con la quale dover fare i conti ed è opportuno ricordarla esplicitamente con schiettezza: i detenuti stanno in carcere e devono tornarci. Quindi? I momenti di uscita, i viaggi di andata e ritorno, le prove, la condivisione della fatica, l’agitazione come il riposo, servono a superare questa evidenza. Per ridurla, la distanza deve essere dapprima riconosciuta e rispettata nella sua natura, e non annullata, altrimenti non avrebbe ragione e senso alcuno nessuna delle esperienze di teatro e carcere attive sul nostro territorio.

Foto di Chiara Ferrin

Partiremo dunque dalla cena che ha seguito lo spettacolo, in cui ci si è ritrovati tutti insieme attorno a un’altra lunga tavolata al primo piano della struttura gestita dal Teatro dei Venti accanto alla sala del teatro. Tra una portata e l’altra, si è parlato della replica, dei dubbi rispetto all’organizzazione di alcune scene, di accorgimenti e ulteriori limature inseriti poco prima durante le prove e poi sperimentati la sera stessa davanti al pubblico. Aleggia un torpore di stanchezza ma è anche tanta la voglia di affrontare la doppia replica domenicale e l’impegno da essa richiesto. Ospiti di un momento che non è solo conviviale, percepiamo quell’ascolto condiviso ritrovato in sala nella perfetta sintonia dimostrata dall’organico di interpreti. Percorsa longitudinalmente dagli attori, quell’asse di legno posta al centro della scena è il luogo di un’azione ieratica, graduale nel suo dipanarsi, lentamente manovrata con padronanza e precisione. Per il Teatro dei Venti Ubu Re quasi non ha parola, se non alcune indispensabili battute volte a delineare la volontà dei personaggi, ridotto infatti a quel «meccanismo d’allusione» di cui parla Alfredo Giuliani in una vecchia prefazione al testo (Adelphi Edizioni, 1977); meccanico è l’agire che conferma il carattere di burattino di Padre Ubu (Antonio Santangelo) mosso da una cinica e avida Madre Ubu (Oksana Casolari) per la cui mano cadranno nella botola, aperta all’estremità del lungo asse, prima il re Venceslao (Davide Filippi) poi sua moglie la regina Rosmunda (Francesca Figini), il Capitano Bordure… È una ritualità tragica a caratterizzare la drammaturgia, una sorta di ineluttabile caduta che fa scivolare i corpi in bilico sul baratro, una danza alla quale i personaggi si abbandonano nei momenti dedicati alle uccisioni quasi riproducendo i movimenti degli animali quando attaccano la preda: il baricentro si abbassa, le gambe si piegano e le mani vengono accostate alle orecchie. Predominante è allora la tragedia shakespeariana nell’approccio registico e per i calcati riferimenti al Macbeth di cui si fa beffa lo stesso liceale Jarry, qui base che serve alla regia di Stefano Tè per costruire un piano del racconto in penombra, non del tutto illuminato e lasciato nel buio, volto a fluire nel suo rigoroso, ma assurdo, sistema accompagnato da un variegato intreccio sonoro scelto con coerenza dagli stessi attori. A spiccare è la funzione simbolica della gestualità, puntuale e accuratamente dosata, come ad esempio la lenta processione che vede Madre Ubu cospargere di cenere il capo di quella «galera di forzati». Non vi è giustizia, se esiste una logica è quella della follia arbitraria che fa saltare le leggi di causa-effetto tenendo in scacco i destini dei funzionari sottomessi agli ordini e strumenti di una volontà accecata dall’ingordigia di potere. Nel testo originale, provati dalla guerra e con flebile tenerezza, Padre Ubu dirà nella penultima scena del quinto atto: «Non gliela invidio, la sua corona» e Madre Ubu gli risponderà «Hai proprio ragione, Padre Ubu». Il lavoro svolto in questi mesi dai detenuti-attori insieme ai professionisti della compagnia (ai già citati si aggiungano Fonci Ahmetovic, Alessio Boni, Fabio De Nardi, Lucio Improta, Daniele Novelli, Giuseppe Pacifico, M. Saieva, Sejfuli Nadir,Felix Tehe Bly), è mirabile per prestanza fisica, notevole capacità di coordinamento e messa in ascolto degli uni con gli altri, a formare un unico corpo compatto e protagonista delle azioni corali – di grande impatto è l’entrata in scena da sotto al tavolo di legno, in cui a vedersi sono dapprima solo le mani veloci e sincronizzate.

Foto di Chiara Ferrin

E sul finire, sui tavoli ammassati in altezza a costruire una piramide verticale in cui sono sepolte le vittime delle numerose battaglie, si arrampicherà Bugrelao, figlio del re Venceslao spodestato e ucciso, qui interpretato da un bambino, Diego Di Lascio, che impugnata una pistola di plastica ribalterà l’assurdo tragico nel gioco del possibile e simulando di uccidere, inizierà a sparare all’impazzata nel buio che lo circonda: «La logica di Ubu, per quanto atrocemente terrestre, è commensurabile soltanto alla poesia, la cui imbecillità è sacra come la folgore».

Lucia Medri

Teatro dei Venti, Modena – febbraio 2018

UBU RE

Con Fonci Ahmetovic, Alessio Boni, Oksana Casolari, Fabio De Nardi, Diego Di Lascio, Francesca Figini, Davide Filippi, Lucio Improta, Daniele Novelli, Giuseppe Pacifico, M. Saieva, Antonio Santangelo, Sejfuli Nadir,
Felix Tehe Bly.
Assistente di compagnia Ciro Risi
con la collaborazione di Marzia D’Angeli, Martina Giampietri, Elisa Vignolo.
Allestimento scenico Teatro dei Venti.
Costumi Alessandra Faienza e Teatro dei Venti.
Sound designer Domenico Pizzulo. Assistente alla regia Simone Bevilacqua.
Regia e drammaturgia Stefano Tè.
Organizzazione Teatro dei Venti e Daphne Pasini.
Amministrazione Francesca Ferri.
Comunicazione Salvatore Sofia.

Progetto realizzato in collaborazione con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna, la Casa Circondariale di Modena e la Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia. Produzione Teatro dei Venti
con il sostegno della Regione Emilia-Romagna
e con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena all’interno della Rassegna Andante.
I Laboratori permanenti sono sostenuti dal Comune di Modena, dal Comune di Castelfranco Emilia e dal Coordinamento Teatro Carcere Emilia-Romagna.

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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