Federico Tiezzi e Stefano Massini portano sulla scena del Piccolo Teatro Strehler di Milano Freud o L’interpretazione dei sogni, con Fabrizio Gifuni, dedicato alla ricerca del padre della psicoanalisi. Recensione
C’è un uomo seduto sull’ultimo gradino di una scalinata proveniente da un esterno invisibile, sul lato destro; non se ne scorge che il tratto finale, prima di appianare il terreno al resto dell’ambiente. L’uomo sembra un professionista, è ben vestito, si tiene la testa tra le mani e lascia trapelare una sofferenza; attorno sembra esserci un edificio pavimentato, la prospettiva dirige lo sguardo fino a un punto centrale, nero, dal cui bulbo atomico si irraggiano linee ora nette ora tratteggiate: è un reticolato bianco e nero, di una geometria rettangolare, che si manifesta in sembianze di un percorso – come fosse una gabbia – della mente. Questa è l’immagine d’ingresso, un muto prologo attraverso cui prende forma, disvelando le nebbie dello spazio scenico, Freud o L’interpretazione dei sogni, nuova produzione del Piccolo Teatro Strehler di Milano affidata alla regia di Federico Tiezzi, sul testo di Stefano Massini tratto dalla fondamentale opera dell’iniziatore della psicoanalisi, Sigmund Freud.
L’intero spazio scenico, ideato da Marco Rossi, è perimetrato da porte, come soglie liminari. Dalle quali entrare. O forse uscire. La sottile linea che differisce l’ingresso o la fuga è in perfetta sintonia con la posizione del medico austriaco rispetto ai suoi pazienti: è Freud che deve trovare chiavi d’accesso per penetrare l’interiorità pericolante di chi pigia il campanello del suo studio, sono gli stessi a dover accettare una presenza dentro di sé, contemporaneamente all’ammettere di essere al suo cospetto, indagati, utilizzati per interesse scientifico, alla scoperta di una malattia che inibisce e immobilizza sul confine tra varcare o abbandonare la porta d’ingresso alla coscienza. Conosciamo i pazienti uno ad uno, abitano il suo studio (o sarà Freud a frequentare le loro stanze), approdano a un confronto con l’analista quando ormai le facoltà per rintracciare il percorso a ritroso nella fase onirica sono compromesse; servirà un’immersione là dove la contraddizione tra vita manifesta e vita repressa, tra realtà e verità dell’individuo, avrà prodotto un nodo dov’è incagliata la percezione sensibile prima, la trasformazione razionale poi, l’acquisizione in una forma che sappia rinnovare l’uomo.
Tiezzi sceglie di posizionare il fuoco nell’alternanza tra naturalismo e astrazione, veicolando i personaggi reali verso una personificazione del sogno, attraverso un processo che porta il suo Freud a intensificare la deduzione, l’interpretazione, secondo l’avvicendamento dei casi in osservazione. Dalla struttura a quadri emerge un’atmosfera definita ed elegante, a dipingere con le luci di Gianni Pollini la solida scena che ammanta il Freud di Fabrizio Gifuni, immerso nella densità di pensieri invece privi dell’equilibrio tra la speculazione scientifica e la partecipazione emotiva alle storie dei pazienti; l’impianto scenico si nobilita dei costumi firmati da Gianluca Sbicca – austeri di una Vienna fin de siècle e già immaginifici come fossero ideati dal pittore Gustav Klimt, contemporaneo di Freud – e dell’apparato video curato da Luca Brinchi e Daniele Spanò, creatori di una dimensione fantasmatica in cui si mescolano le storie reali e il loro riflesso onirico.
Dall’apparente freddezza del primo atto, il Dottor Freud accoglie gradualmente il lascito dei sui pazienti – un robusto cast di molti attori in cui spiccano un sibillino Marco Foschi, Elena Ghiaurov e Sandra Toffolatti –, inizia a mescolare un puntiglio di indagine a un’accortezza sensibile, come se la crescente assimilazione di informazioni lo portasse sempre più dentro le vicende umane. Il progresso della scienza è dunque un progresso esistenziale, il dottore sa che dovrà passare per sé stesso se vorrà raggiungere il proprio obiettivo; per questo Tiezzi conduce il viaggio conoscitivo in quel sentiero inesplorato, fosco, tra il sonno e la veglia, dove si muovono teste di animali, dove lo studio del medico può diventare un verde prato da calpestare, dove cioè “il sogno trasforma in azione quei concetti che non sa rappresentare”. Tale è la sfida che il testo di Stefano Massini – nello stesso periodo uscito in forma romanzesca per Mondadori – accetta e cerca di rilanciare: affermare la consonanza di una forma teatrale con la dimensione onirica, alla ricerca di una rinnovata e più consapevole identità.
L’autore fiorentino, ancora una volta capace di mescolare stili di scrittura molto diversi tra loro, non si accontenta di ridurre un volume capitale come gli scritti di Freud a una forma teatrale, ma si misura nella composizione della parte mancante, ossia la relazione con i pazienti, la messa in discussione delle proprie stesse certezze al cospetto dell’inconoscibile. Ma perché questo si avveri, la forma teatrale dovrà sciogliersi in una possibile evoluzione drammatica che non sempre si sviluppa e a tratti appare prevedibile. Nulla che non fosse già nella difficoltà del confronto, un rischio che Massini ha il pregio di affrontare non eludendo le contraddizioni ma ricevendole come un abito cui rinnovare il modello, perché sappia essere indossato da questa epoca contemporanea alla continua, incessante ricerca di un contatto con la propria sfera più intima, un’urgenza che il teatro deve far sua e alla quale dovrà cercare residenza nel tempo dell’io duplicato, depravato, deprivato di umanità.
Simone Nebbia
Piccolo Teatro Strehler, Milano – Gennaio 2018
dal 23 gennaio all’11 marzo 2018
FREUD O L’INTERPRETAZIONE DEI SOGNI
di Stefano Massini
riduzione e adattamento Federico Tiezzi e Fabrizio Sinisi
regia Federico Tiezzi
scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca
luci Gianni Pollini, video Luca Brinchi e Daniele Spanò
movimenti Raffaella Giordano, preparazione vocale Francesca Della Monica
trucco e acconciature Aldo Signoretti
con (in ordine alfabetico) Umberto Ceriani, Nicola Ciaffoni, Marco Foschi, Giovanni Franzoni, Elena Ghiaurov, Fabrizio Gifuni, Alessandra Gigli, Michele Maccagno, David Meden, Valentina Picello, Bruna Rossi, Stefano Scherini, Sandra Toffolatti, Debora Zuin
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Bellissime scenografie e costumi, molto interessante l’idea è la sceneggiatura. Tremendamente insopportabile l’impostazione degli attori. Inguardabile senza dormire (e sognare?)