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Favino per Koltès, un atto d’amore

Pierfrancesco Favino è voce solista nell’adattamento de La notte poco prima delle foreste di Bernard-Marie Koltès per la regia di Lorenzo Gioielli. Recensione

Foto di Fabio Lovino

Per alcuni uomini «il tempo e la pioggia non scorrono mai di lato». Il tempo li assale affinché essi lo attraversino e lo riempiano con il loro nervoso lirismo affrontandolo come in una perenne e instancabile rivolta; la pioggia, invece, dimentica la clemenza e nel suo scrosciare, fradicia i pensieri sgorganti dalle bocche indomabili, dai deliri insonni, per confondersi poi coi rivoli del pianto. È La notte poco prima delle foreste il confine liminale che stabilisce la soglia, varcata quella ci attendono le foreste, quel «di là» che è sempre più prossimo e caotico, mai in ordine nonostante sia diviso in zone, “ambienti della mente” all’interno dei quali poter dare un luogo a uomini, donne, froci, puttane, bestie, cose, immaginari… Di «choc emotivo» parla Rodolfo Di Giammarco nell’introduzione al testo pubblicato agli inizi degli anni Novanta per Gremese Editore nella traduzione di Giandonato Crico; fu proprio una folgorazione per il regista Jean-Luc Boutté leggere il monologo La nuit juste avant les forêts, e subito volle metterlo in scena affidandolo a Richard Fontana. Era il 1977 al Festival d’Avignone, anno in cui il drammaturgo e militante comunista Bernard-Marie Koltès si consacrò al teatro francese, con un testo che lui stesso riconobbe come sua prima opera teatrale.

Quelle quaranta pagine intrise di temperamento indomito racchiudevano tra le righe ininterrotte «di una sola frase» anche la passione che pochi anni prima aveva sconvolto Koltès nel vedere recitare l’attrice Maria Casarés nella Médée diretta da Jorge Lavelli. I suoi occhi, la voce e la bellezza saranno gli stessi della ragazza notturna seduta sul ponte del quale l’autore parla nel lungo monologo, o forse quelli della puttana matta che lancia gli abiti dei clienti dalla finestra, o ancora, chissà, saranno appartenuti a colei che è morta mangiando la terra nei cimiteri.
La Compagnia degli Ipocriti – che si è distinta negli anni Settanta come una delle prime  che diedero vita al movimento cooperativistico teatrale italiano (fonte sito della compagnia) – non poteva restare indifferente alla scrittura di Koltès e aveva già presentato questo monologo nel lontano 2001 con Giulio Scarpati come interprete e con la regia di Nora Venturini. Orfana della guida di Melina Balsamo – scomparsa lo scorso mese di giugno – la Compagnia degli Ipocriti ha debuttato in questi giorni al Teatro Ambra Jovinelli con il nuovo adattamento di questo atto unico per la regia di Lorenzo Gioielli, direttore artistico dell’Accademia STAP BRANCACCIO, e interpretato da Pierfrancesco Favino.

Foto di Fabio Lovino

La prima dello spettacolo si è rivelata un successo di pubblico. Quando la notorietà di un interprete come Favino si unisce alla pregevole caratura attorale, il livello di ascolto e fiducia che lega attore e spettatore si inscrive in un crescendo di ritmo e gesto tale per cui quel flusso ininterrotto della scrittura di Koltès riesce, pur nella sua intensa scorrevolezza, a imprimersi e a sedimentarsi con facile dialettica nella ricezione dello spettatore. Il corpo e voce di Favino riempiono la buia nudità scenica abitata solo da una sedia e da luci al neon intermittenti nascoste da un velatino sul fondo, accese e spente solo in due/tre momenti dello spettacolo, quasi a voler rappresentare la pioggia incessante e onnipresente. Lorenzo Gioielli nelle note di regia sottolinea come l’intento primario sia stato quello di «dare forma a tale evento (…) depauperare ed esaltare l’esistente, quindi, non aggiungere sovrastrutture espressive non necessarie». Accade in scena una notte, piovosa, che pare quasi di sentire l’odore di aria bagnata che aleggia nella città impolverata e affollata di corpi. Elegante con giacca, pantaloni, camicia bianca e mocassino, uno straniero ferma un ragazzo per strada. «Compagno» lo chiamerà e vorrebbe offrirgli un caffé e poi una birra ma quando si è stranieri si è privati di tutto: di soldi, di un lavoro, di una casa, di un amore. Si è soli alla ricerca di una camera, e non per dormire, anche solo per parlare, faticando nel mantenere sempre i pensieri lucidi e ordinati perché è «quando vai oltre che tutto si confonde». Favino interpreta la voce dilaniante di Koltès e nella postura contrita nel pianto, esplosa nella rabbia, tenera nell’innamoramento, fa coesistere insieme la città e il mondo, l’oppressione del diverso e la sua ribellione, poli tematici del monologo del drammaturgo francese che anticiparono di gran lunga molte riflessioni socioantropologiche relative ai post colonial studies. Sempre Di Giammarco nell’edizione italiana, riporta le parole dell’autore: «Il mio reale milieu è una via di mezzo tra l’hotel per immigrati e l’hotel a ore. Le mie radici non esistono». Il paesaggio urbano, coi suoi contraddittori cambiamenti, e quello politico, carico di rivolta, non sono indicati da alcuna scenografia ma vengono animati dalla narrazione dell’unica voce in scena, che l’attore modula tra lacrime e grida, risa e borbottii recitati in un accento che tutti noi riconosciamo proprio a chi “non è del nostro paese”.

Foto di Daniele Barraco

Una promessa piena d’amore è questo adattamento de La notte poco prima delle foreste; scoperta in discrete righe che chiudono le note di regia, vi è la dedica di Pierfrancesco Favino alla sua amica e regista Melina: «La produttrice di Servo per due, la mia amica testarda e coraggiosa, quella che aveva sempre l’ultima parola, quella che si è fidata di me». Denso nella sua vulnerabile umanità, schiavo dei sentimenti e commosso nella solitudine di un suono rotto nel suo propagarsi, lo spettacolo restituisce delle parole veementi di Koltès il sibilo prolungato di un mondo sempre più distratto dalla sua ruggente frenesia. E piove.

Lucia Medri

visto al Teatro Ambra Jovinelli – gennaio 2018

LA NOTTE POCO PRIMA DELLE FORESTE
Presentato da Compagnia Gli Ipocriti diretta da Melina Balsamo
Con Pierfrancesco Favino
Scritto da Bernard-Marie Koltès
Regia Lorenzo Gioielli
Luci Marco D’Amelio
Sound designer Sebastiano Basile
Foto Fabio Lovino

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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