Carrozzeria Orfeo presenta al Piccolo Eliseo il suo ultimo lavoro Cous Cous Klan, ironico e feroce ritratto di un mondo non poi così tanto distopico. Recensione
Al referendum per evitare la privatizzazione dell’acqua avevo votato sì, come tanti miei coetanei. Tutto sommato fortunati: con un tetto (magari in affitto) sulla testa, con la prospettiva di un lavoro, laureati, coscienti che quel bene comune non dovesse passare sotto logiche di potere difficilmente controllabili. Bene, a distanza di pochi anni quella vittoria pare che si sia rivelata inutile, leggevamo qualche mese fa come «il servizio idrico è un servizio pubblico locale a rilevanza economica da gestire secondo le leggi del mercato» (qui un articolo, di cui consigliamo anche la lettura dei numerosi commenti a fine pagina), tanto da accentuare sempre più il divario tra chi può permettersi di vivere e chi invece conquista a stento ogni giorno la propria possibilità di sopravvivenza, chi può avere una casa e chi invece una roulotte arrugginita, chi un lavoro rispettabile e chi a nero, chi ha l’acqua e chi non può far altro che rubarla.
Ha molto a che fare tutto questo con l’ultimo spettacolo di Carrozzeria Orfeo, Cous Cous Klan. Ma la componente veramente efficace di questa operazione (così come ad esempio lo era stato il loro precedente Thanks for Vaselina, ora in procinto di diventare film) è che lo spettacolo non si piega al tema sociale, bensì se ne serve, ne è intriso, eppure, non rinuncia affatto ad essere teatro, spettacolo, riflessione, divertimento. Tanto divertimento tra gli spettatori della prima romana al Piccolo Eliseo, che con trasporto e godimento ridevano e applaudivano a scena aperta non solo al gusto politically incorrect della compagnia diretta da Gabriele Di Luca e Massimiliano Setti, ma anche alle qualità degli attori. Angela Ciaburri, Alessandro Federico, Pier Luigi Pasino, Beatrice Schiros, lo stesso Setti e Alessandro Tedeschi (gli ultimi due anche registi assieme a Di Luca) si definiscono “provocatoriamente realistici”, tanto da far emergere le tragedie personali dei protagonisti, alle quali ciascuno risponde con una durezza sardonica, proprio perché eccessiva, profondamente reale. Così come contemporaneamente eccessivo e reale è l’uso dei costumi (di Erika Carretta), lisi e significanti, e la scena (di Maria Spazzi) in cui si muovono: due roulotte sgangherate ai lati, una vecchia panda arrugginita al centro, polvere, terriccio, antenne che captano radio clandestine e bare da trafugare.
Il testo, scritto anche in questo caso da Di Luca, considera una questione reale (la problematica legata alla privatizzazione dell’acqua) e la deforma leggermente, ma immettendola in un immaginario che sembra essere molto più distopico di quanto in realtà non sia. Il tono è quello del serial americano, con tanto di vocione che rompe il buio iniziale con un “previously on…” e brevi scene illuminate che introducono i personaggi che vivono in un parcheggio discarica abbandonata, ma è anche quello filmico tarantiniano, tra fanciulle apparentemente angeliche e immaginario musicale anni 80. Non c’è spazio per le regole ma tutto appare ordinato e rispondente a una certa logica. I tratti dei personaggi, volutamente disegnati a tinte forti e allo stesso tempo sorprendenti nelle loro fratture di umanità, sono funzionali alla dinamica seriale e alla storia, che rinuncia ad essere quella rappresentativa, ma soltanto una tra tante. Nessuno di loro è tra i “fortunati”, tra quelli che vivono nella città in cui ci si può permettere l’acqua, i bei vestiti, il lavoro, le case. Eppure, curiosamente, sono questi coloro che vivono “nella recinzione”; i disadattati sono sì costretti a bere acqua santa dalle madonne di Lourdes, a farsi le scarpe tra pari pur di ottenere un goccio di brodaglia sporca, eppure sono liberi di vivere con naturalezza la propria obesità e la voglia di avere un figlio (Olga), la possibilità di essere omosessuale e sordo (Achille), il voler rivendicare di essere musulmano e non terrorista (Mezzaluna), l’essere religioso e rifiutato, “attaccabrighe e prepotente” (Caio); liberi di poter accettare perfino uno dei borghesi (Aldo) cacciato perché scoperto ad aver fatto sesso con una minorenne; liberi dunque di sventare il traffico di reliquie religiose e di stupri e di elargire il compenso ottenuto (tramite imbroglio ricattatorio) a tutta la popolazione di rifugiati. Ma sono, questi, eroi deformi, vittoriosi per appena un momento, e fragilissimi, perché basta appena che qualcosa si incrini che la coalizione si distrugga. La felicità si presenta appena un attimo per poi svanire, la realtà non è in grado di trovare spiegazioni alla perdita.
C’era un lieto fine, ma era una bugia. Avevamo vinto il referendum, a distanza di qualche anno ci dicono quanto sia stato invano. Carrozzeria Orfeo ce lo dice facendoci stirare la bocca, sperando che quella falce a mezzaluna non sia solo un sorriso inebetito di chi è rimasto seduto due ore su comode poltrone e ora va a prendersi uno spritz.
Viviana Raciti
Fino al 28 gennaio 2018 – Teatro Piccolo Eliseo Roma
COUS COUS KLAN
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
scene Maria Spazzi
costumi Erika Carretta
musiche originali Massimiliano Setti
con Angela Ciaburri, Alessandro Federico, Pier Luigi Pasino, Beatrice Schiros Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi voce fuori campo Andrea Di Casa
luci e direzione tecnica Giovanni Berti
una coproduzione Teatro dell’Elfo, Teatro Eliseo, Marche Teatro
in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana e Corte Ospitale – residenze artistiche