Tratto dall’opera teatrale di Franco Scaldati, Totò e Vicé, Vetrano e Randisi interpretano la versione cinematografica di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Recensione
![Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati](https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2017/12/totòevicéfilm1.jpg)
Nell’epoca della visibilità magnificata, di icone che si fanno consumare velocissime, cosa può il cinema, se il suo privilegio d’essere produttore massivo di immagini non è più esclusivo? Probabilmente, dicendo e facendo tutt’altro da ciò che altre immagini fanno e dicono, mostrando altro da ciò che le immagini quotidianamente mostrano. O nascondendo. Ecco allora un film, di Marco Battaglia e Umberto De Paola, che si misura con la notte in tempi di visibilità di massa, con un ritmo sospeso che è il vero tempo degli uomini, che al contrario del “tempo reale” appiattito sulla rapidità, è sempre misto di reale e irreale.
Totò e Vicé inizia con un nero abitato dal suono dei grilli, una striscia di mare alla luce della luna, la cui velatura è in continuo movimento: un film può allora rendere giustizia a notte e mistero, quali dimensioni integranti dell’esistenza non meno della chiarezza. Il cinema è in questo senso medium: conserva fantasmi e intermedia tra le cose, tra reale e irreale, tra vivi e morti. L’idea di questa produzione (di Le Tre Corde di Imola ma alle cui maestranze figurano anche allievi dell’accademia di Belle Arti palermitana), nasce a partire dall’immersione dentro il mondo di Franco Scaldati ad opera dei due attori registi Enzo Vetrano e Stefano Randisi, alla loro quarta prova con i testi del drammaturgo siciliano. Proprio Totò e Vicé era stato il loro primo spettacolo, a cui hanno fatto seguito negli anni Assassina e il recente Ombre folli.
![Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati](https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2017/12/totòevicéfilm4.png)
In questa nuova dimensione, la cui sceneggiatura (di Giulia Arena e Roberto Selvaggio) rimodula lo spettacolo teatrale dei due palermitani, emerge pienamente lo spirito dei due erranti. Ma cosa fanno queste due figure? Giocano a “buela” (il nascondino), “banniano” sotto una finestra accesa, si chiamano, fanno l’appello dei morti. Si raccontano storie. Camminano. Stanno insieme. La loro è una corrispondenza di gesti, che si riverberano l’uno sull’altro, a rimarcare l’inscindibilità di Totò da Vicé e di Vicé da Totò. Tanto che, anche quando il gioco li porta ad essere rivali («se tu fossi porco e io pulcino, mi mangeresti?») l’unica possibile risultante è la vicinanza, l’abbraccio dopo lo scherzo, perché se è sempre presente il terrore per la solitudine, la loro risposta è sempre immutata. Chi accompagna Totò se non Vicé? Non tanto angelo uno e demone l’altro, bensì ciascuno daimon (nel suo significato etimologico di essere divino) dell’altro.
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La parola è condizione imprescindibile, creatrice, «dicono che il mondo lo creò un suono»: allora, nel silenzio delle campagne, della città deserta, si rafforzano le voci di Totò e Vicé; anche quando queste invocano a tacere, «zìttuti», la presenza sonora è incontenibile, al limite rinuncia al linguaggio e diventa suono preverbale, soffiato dalle labbra socchiuse sul sorriso, o suono animalesco. Quello che vivificano è un mondo animato in cui – raccontano – i quadri prendono vita, i treni scompaiono lasciando però i controllori e i passeggeri. È un mondo in cui si può esser morti e vivi allo stesso tempo, perché se si è morti non ci si fa caso. È un mondo in cui la parola è magica perché ha il potere trasformativo: «a Totò non glielo dico che scurò, così si crede orbo e non vede». In questo il film ha il pregio di non cedere alla facile soluzione di restituire la didascalia delle parole, accontentando il bisogno di immagine a discapito dell’immaginazione. Quasi rinunciando all’esibizione a tutti i costi, i gesti rimangono a disegnare quel vuoto che caratterizza il testo di Totò e Vicé tanto nello spettacolo quanto nella sua versione cinematografica.
Eppure, pur essendo il teatro di Scaldati una drammaturgia eminentemente sonora, forse Totò e Vicé erano già cinema, sceneggiatura vivente capace di continua invenzione del mondo, già medium di voci contemporaneamente qui e in un altrove dove le cose, comprese quelle che la logica diurna vorrebbe contraddittorie, sono ancora tutte possibili.
![Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati](https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2017/12/totòevicéfilm3.png)
Una stessa immagine, allora, può far coesistere la fuga prospettica di un corridoio di lapidi grigie col caldo delle fiammelle votive. Gli spazi, netti e assoluti come nella pittura metafisica, sono disabitati, immobili (la fotografia è di Arena e di Umberto Denaro): non sappiamo se siano abbandonati o invece vergini. Solo Totò e Vicé, superstiti e pionieri insieme, vi si muovono, continuamente erranti, in una mano la valigia e nell’altra quella del compagno. Ciondolano come Chaplin e Paulette Goddard nel finale di Tempi moderni verso un perenne altrove e ovunque. Nel loro camminare mai uguale che alterna moto e stasi, sono più vivi di ciò che li circonda. Continuano a parlare, e a restare vivi in questo modo. Nel medium film riaffiora infatti improvvisa, come da una vecchia registrazione, la stessa voce di Scaldati, a sua volta medium di Totò e Vicé. Questa voce antica, che sembra come chiamarli, invitarli dentro un teatro (il Garibaldi) vuoto, accanto a un tavolino posto sul palco. Ecco lo spettro dell’autore, con alcuni feticci quali le sue carte da gioco, consumate fino a renderle quasi indistinguibili, la radiolina, i «lamparini». E la sua macchina da scrivere che pare disposta non come se la scrittura fosse finita, ma come se fosse ancora in corso, ancora viva. È questo il luogo in cui i due possono sedersi e raccontare (a lui e a noi) le loro storie, i loro sogni, così che li possa di nuovo raccogliere sul suo mondo di carta, prima di rimettersi in cammino.
Questa dimensione del peregrinare eterno nel film è amplificata: al montaggio si susseguono spazi diversi, stradine, piazze, chiese della città, e ogni luogo è abitato e reinventato dai due come fosse un palcoscenico, di cui il cinema offre le visioni. La macchina da presa, ora statica a contemplarli in figura intera (come nella condizione di uno spettatore teatrale), ora invece partecipe del loro peregrinare, li accompagna in carrelli che affiancano o precedono, empatica, quasi si volesse con loro.
![Totò e Vicé film di Umberto De Paola e Marco Battaglia. Con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Sul testo di Franco Scaldati](https://www.teatroecritica.net/wordpress/wp-content/uploads/2017/12/totòevicéfilmUT.png)
Essere insieme è essere un po’ medium, vivere nella voce dell’altro e riconoscerla speculare alla propria, farsi ciascuno fantasma dell’altro («io non esisto. Con gli occhi tuoi io vedo. Il mio fiato e il mio sangue sono il tuo»). Come ombre emergono dal mercato mentre dietro di loro si intravede la luce; ma tenendosi per mano, ecco che proprio nel punto in cui i due si legano, fa capolino di lontano la luce di un lampione. È così che funzionano le cose che creano relazioni e mediazioni: i rapporti umani, il cinema, il teatro. E fanno luce. «io accompagno te, e tu accompagni me». Continuando a domandarsi la natura del proprio essere al mondo, azzardano, «forse siamo un semplice segno su un foglio di carta». Ma se quel foglio è il cielo, quello di Palermo ripreso alle loro spalle, Totò e Vicé, è vero, giocano ad esser vivi. Ma dentro quello schermo giocano così bene da lasciare le loro spoglie e così sanno renderle, dunque, vive.
Antonio Capocasale, Viviana Raciti
TOTÒ E VICÉ
film di Marco Battaglia e Umberto De Paola
dall’opera di Franco Scaldati
con Stefano Randisi e Enzo Vetrano
e con la voce di Franco Scaldati
sceneggiatura Costanza Arena e Roberto Selvaggio
fotografia Costanza Arena e Umberto Denaro
produzione Cooperativa Le tre corde
Italia, 2017