Presentato nell’ambito di Romaeuropa Festival al Teatro Vascello, abbiamo visto lo spettacolo del giovane regista francese Julien Gosselin tratto dal romanzo di Michel Houellebecq Les particules élémentaires. Recensione
Era l’8 luglio 2013 quando il regista Julien Gosselin presentava al Festival d’Avignon il primo adattamento teatrale “made in France” del best-seller Le particelle elementari di Michel Houellebecq. Mentre diversi artisti stranieri già si erano confrontati con la controversa complessità della letteratura di Houellebecq – i cui testi sono tradotti in italiano da Bompiani e da La nave di Teseo – e con la sua messa in scena, in Francia nessun tentativo era ancora stato fatto. C’è, in questa breve cronaca, il segnale del rinnovarsi di un rapporto, tra teatro e narrativa contemporanea, che in Francia presenta delle dinamiche di funzionamento molto diverse rispetto a quelle italiane. Sembrerebbe infatti che, oltralpe, la cultura letteraria e quella teatrale siano due istituzioni non solo a sé stanti, ma anche non direttamente interdipendenti; se l’osmosi è inferiore rispetto a quanto accade da noi, è anche perché entrambe si confrontano innanzitutto con la propria, istituzionalizzata e solidissima, tradizione. Il teatro, nei suoi rapporti col mondo letterario, ha in Francia un accesso molto spesso filtrato dall’inevitabile mediazione della storia, che solamente molto coraggio e molta lungimiranza possono momentaneamente mettere da parte per liberare il campo e poter guardare oltre il teatro, e oltre la letteratura, con strumenti nuovi. E Julien Gosselin, dal canto suo, sembrerebbe scegliere questa modalità dalla allure giacobina.
Sensibile al peso dell’assenza del romanzo di Houellebecq dai palcoscenici francesi, il regista originario del nord della Francia decide di prendere in mano la questione e di risolvere in una creazione-fiume di quattro ore, a dir poco scorrevolissime, la mancanza di un testo che, radiografando la società contemporanea attraverso uno sguardo falsamente reazionario, crudamente ne svela stoiche debolezze, cinismo, ingenuità e l’autodistruzione come carattere primario dell’agire collettivo. Definito come un vero e proprio coup d’éclat tanto dal pubblico quanto dalla critica internazionale, a Romaeuropa Festival 2017 dobbiamo il merito di averci permesso di recuperare la visione di questa produzione che è uno dei tanti tasselli che compongono l’attualità di quella scena europea che spesso qui sentiamo lontana, se non altro perché – sovente – al di fuori di alcuni festival, spesso siamo costretti a coniugare alta spettatorialità e turismo low-cost per poter restare mediamente aggiornati sull’attualità teatrale.
In Les particules élémentaires, Gosselin ci immerge nella lucida critica che lo scrittore francese opera sulle generazioni che vivono a cavallo dei decenni cosiddetti “della liberazione sessuale” dando corpo e rendendo tridimensionali personaggi che già sulle pagine del libro hanno, ciascuno, qualcosa di perturbante. La sessualità è, repressa oppure ostentata, la soglia che separa le esistenze di due fratellastri, Bruno e Michel: uno morirà in una clinica psichiatrica, dominato da ingordigia sessuale, l’altro, incapace di amare, morirà suicida. Ciò cui assistiamo è la narrazione delle estreme possibili conseguenze di esistenze particolarmente sensibili che hanno visto la luce nei decenni successivi al boom. Dunque assistiamo allo spostamento degli equilibri, da una schiavitù a un’altra, da una precarietà a un’altra: in mezzo vi resiste un’umanità in perpetuo hang-over, decadente, degli uomini e delle donne “qui hallucinent” (“che allucinano”, in francese il verbo halluciner è transitivo), nella quale ci ritroviamo spietatamente ritratti. Quello che lo spettacolo rappresenta è l’ultimo tratto della curva discendente di un’umanità agitata, ma spenta, vinta, pronta a estinguersi perché solo nella volontaria estinzione della specie è possibile rintracciare la via della salvezza. Nella scrittura di Michel Houellebecq c’è dunque, innanzitutto, la rabbia per il fallimento dell’uomo e, di conseguenza, una lucida analisi della caparbietà della sua arroganza che, nonostante tutto, trova una strada per continuare a mantenere in vita l’idea stessa di una possibile forma di esistenza. Tuttavia, nello spettacolo come nel testo, vi è pure il passo successivo, se possibile ancora più violento: una feroce misantropia che è anche la ragione stessa della possibilità di una rinascita; in questo il regista e lo scrittore si sovrappongono, specie nel modo in cui dipingono sia la zuccherosa indulgenza che l’uomo nutre verso di sé (una dolcezza priva di qualsiasi proposito) e immediatamente dopo, il gusto stucchevole che l’accompagna. Così si arriva al termine dello spettacolo, quando la dedica all’uomo di Gosselin si fa esplicita, e ci commuoviamo davanti a parole che ci ricordano le altezze che ci è lecito toccare, ma anche sentiamo la profondità oscura del bassofondo da cui le osserviamo.
Davanti alla genialità di questa postura teatrale e letteraria, sciogliamo qualsiasi nodo emotivo in un riconoscimento che con l’incedere delle quattro ore si fa via via più pieno. Gosselin fa parte di una generazione che, cronologicamente, ha iniziato a percepire il mondo a partire dalla caduta del muro di Berlino in poi. E proprio questa è la distanza che grava sullo sguardo delle generazioni successive a quella dei movimenti, e che sancisce un’accusa pesantissima a un passato recente (ancora così recente che quasi sembra impossibile da rendere passato) che ha lasciato implodere le proprie energie, che non ha saputo proteggere i propri figli e che li vede soccombere, oggi, sotto la nemesi delle stesse forze contro cui ha combattuto, e dalle quali aveva creduto di essersi emancipata. Eppure, come dice il testo stesso, non vi è rancore: «Pourtant, nous ne méprisons pas ces hommes/Nous savons ce que nous devons à leurs rêves/Nous savons que nous ne serions rien sans l’entrelacement de douleur et de joie qui a constitué leur histoire». (trad. “Eppure, non biasimiamo questi uomini / Sappiamo cosa dobbiamo ai loro sogni / Sappiamo che non saremmo niente senza l’intreccio di dolore e gioia che ha costituito la loro storia”).
In scena al Teatro Vascello, il palco è allestito privo di quinte, con una pedana a ferro di cavallo attorno al centro. Gli attori in scena cantano, suonano, portano senza cedere a cali di tensione un testo complesso. I loro corpi sono liberi, duttili, i personaggi si sovrappongono eppure restano distinti, profondamente caratterizzati. La multimedialità e la multisensorialità dello spettacolo – fatte di suoni, video, testo, odori e texture diverse scena dopo scena – non sono solo strumenti attraverso cui Gosselin aggiorna un discorso che, di solito, tiene i classici del teatro a riferimento della propria creazione. In quanto figlio della cultura francese, nella teatrografia ancora tutta in fieri di Gosselin è già presente, comunque, un rapporto speciale con la tradizione; Gosselin esercita un deciso cambio di rotta, il suo primo spettacolo è su un testo di Fausto Paravidino, Gênes 01: il suo teatro si prende cura del tempo presente, e non (solo) della sua storia.
Nella pagina web della compagnia Si vous pouviez lécher mon coeur, fondata insieme a Guillaume Bachelé, Antoine Ferron, Noémie Gantier, Alexandre Lecroc, Victoria Quesnel e Tiphaine Raffier al termine della formazione presso la scuola di arte drammatica di Lille (EPSAD), il regista scrive ciò che pensa del rapporto tra il romanzo e lo spettacolo riferendosi all’assenza di Houellebecq dalle scene francesi: “Non desidero riparare a questa ingiustizia, Houellebecq non ha bisogno di noi”. Eppure noi crediamo che il teatro abbia bisogno di più autori come lui, capaci di restituire forza al presente senza il bisogno di posizionarsi in relazione al passato. Concordiamo con le parole di Attilio Scarpellini, che su Doppiozero ha brillantemente fatto rivivere lo spettacolo evocando – per i giovani del nostro teatro – la necessità di essere sostenuti diversamente, e con meno paure, liberando la nostra generazione “post-post-drammatica” da un’eterna giovinezza che è possibile solamente se con essa impera un’eterna vecchiaia, nella quale il “contemporaneo” è spesso a rischio di virtualità.
Gaia Clotilde Chernetich
Teatro Vascello, Romaeuropa Festival, Novembre 2017
LES PARTICULES ÉLÉMENTAIRES
di Michel Houellebecq testo pubblicato da Flammarion (1998)
Adattamento, Messa in scena, Scene Julien Gosselin
Interpreti Joseph Drouet, Denis Eyriey, Antoine Ferron, Noémie Gantier, Carine Goron, Alexandre Lecroc-Lecerf, Caroline Mounier, Victoria Quesnel, Geraldine Roguez, Maxence Vandevelde
Regia generale, Creazione luci Nicolas Joubert
Creazione musicale Guillaume Bachele
Creazione video Pierre Martin
Regia video Jeremie Bernaert
Creazione sonora Julien Feryn
Costumi Caroline Tavernier
Assistente alla messa in scena Yann Lesvenan
Amministrazione, Produzione, Diffusione Eugénie Tesson
Logistica per la tournée Emmanuel Mourmant
Assistente d’amministrazione Paul Lacour Lebouvier
Produzione Si vous pouviez lécher mon coeur
Coproduzione Théâtre du Nord, Théâtre national Lille Tourcoing région Hauts de France, Festival d’Avignon, le Phénix de Valenciennes, La Rose des vents, Scène nationale Villeneuve d’ascq, Théâtre de Vanves, le Mail, scène culturelle de soissons Sostegno MCC / DRAC Hauts de France, Région Hauts de France, Ville de Lille, SACD Beaumarchais