Notturno di donna con ospiti di Annibale Ruccello diretto da Mario Scandale con Arturo Cirillo nei panni della protagonista Adriana. La recensione dello spettacolo prodotto dalla Compagnia dell’Accademia.
Entropia e stasi, terremoto di terra che stravolge le case e quello dell’animo che congela ogni reazione; un terremoto, quello del 1980, che fu inaspettatamente ipocentro teatrale per più di un artista partenopeo. Allora, alle spalle di quella tragedia, Enzo Moscato andava ad affrontare di petto, come una mina impazzita nell’animo del suo Scannasurice, gli effetti di quella tragedia cittadina tra le strade e dentro le persone, mentre, a distanza di pochi anni, Notturno di donna con ospiti di Annibale Ruccello lasciava da parte l’esterno, facendo passare tutto sottopelle, tutto trattenuto, senza quasi nessuno sfogo di superficie. Proprio quest’ultimo, diretto da Mario Scandale (tra i neodiplomati in regia della Silvio D’Amico) è il secondo dei tre spettacoli presentati come stagione inaugurale della Compagnia dell’Accademia, assieme a Un racconto di inverno diretto di Lorenzo Collalti (anche lui regista di provenienza accademica) e l’atteso Hamletmachine diretto da Robert Wilson.
Al di là delle considerazioni su questa ministagione (itinerante, un po’ sbilanciata forse, ma sicuramente testimone di un moto di apertura da parte della scuola nazionale d’arte drammatica), torniamo allo spettacolo di Scandale e al suo protagonista, Arturo Cirillo. La scelta di un attore maschile nei panni di una donna, Adriana, non è da ricercarsi in un’indagine sull’identità sessuale dei personaggi (come magari in parte poteva accadere per i femminielli di Moscato) o sul travestitismo. Qui, la scelta, felice, pare invece evidenziare l’isolamento esistenziale, sottolineando il distacco dalla “norma” proposta dagli altri personaggi attraverso una rappresentazione immediatamente riconoscibile a un livello superficiale (la non coincidenza tra generi nella resa di Adriana rispetto la coincidenza degli altri) che poi si innerva su aspetti ben più profondi.
Ci dimenticheremo presto di quell’incipit, forse depistante, in cui un personaggio maschile dimesso entra in un’anonima stanza e indossando pochi oggetti (pantofole fucsia, una collana, il rossetto, una pancia posticcia) si appropria di un passo più sospeso, di sguardi più dolci, femminili, diventando così Adriana, madre incinta del terzo figlio che attende l’arrivo serale del marito guardando una tv in cui si iniziava già a profilare quella patina esasperata, posticcia e consumistica spettro della nostra tv attuale. Nella dimensione notturna così delineata si intromettono alcuni ospiti inattesi, abitanti di un sottosuolo traffichino, imbroglione e menefreghista, pronti non tanto a festeggiare la protagonista quanto, quasi, a farle la festa. Gli altri (una vecchia compagna di scuola, un ex rissoso, il proprietario di un centro commerciale che sembra più un losco presentatore televisivo e la sua valletta, perfino il marito metronotte), i “normali”, sono tutti personaggi esasperati, resi tali tanto nei colori acidi dei costumi (di Gianluca Falaschi) quanto negli atteggiamenti degli attori: tra paillettes, camicie sbottonate e gomme da masticare, tra sfrontatezza subdola e volgare e atteggiamento impositivo e bullizzante, i personaggi interpretati da Luca Carbone, Giulia Trippetta, Luca Tanganelli, Giulia Gallone, Simone Borrelli sono la scossa che muove il terremoto interiore di Adriana-Cirillo, intenti a rinfacciarne il senso di minorità, la sua incapacità all’azione, il suo non riuscire a sottrarsi da una situazione spiacevole, portandola al limite dell’esasperazione. La sua è una recitazione che si rivela al negativo, ne cela il grado di costruzione e fa entrare nel dolore della donna in maniera delicata, quasi per via indotta. La volontà è quella di far emergere una dimensione privata, quasi sonnecchiante, salvo poi fare i conti con l’esplodere di una tensione delle spalle e dell’addome, col volto segnato da un sorriso a svelarne il disagio.
Se un limite si può trovare a questo lavoro visto al Teatro India è una non ancora perfetta gestione dei tempi scenici – ché a volte a voler rimarcare il vuoto esistenziale si rischia di dimenticarsi della necessità di non confondere il vuoto con un buco – e una concezione della scena (a cura di Dario Gessati) in bilico tra la riproduzione iper-reale e tensione metaforica, dove però il fuori palco, nascosto da quinte di tende a perline, non si appropria di una forza tale da riuscire a superare il quadro visibile, tanto da far emergere anche lì il malessere della donna, il rapporto conflittuale con i genitori o con il religioso. Ciò che invece restituisce quella caratura sono i piccoli dettagli, il segnale disturbato della tv, messaggio impossibile da decifrare perché non c’è più comunicazione, la sigaretta lasciata accesa a consumare la sua esistenza, la resistenza all’azione di Adriana che poi sfocia nel rifiuto di un attimo, quel che basta perché tutto crolli anche se la tenda si è appena mossa.
Viviana Raciti
Notturno di donna con ospiti
di Annibale Ruccello
regia Mario Scandale
con Arturo Cirillo, Luca Carbone, Giulia Trippetta, Luca Tanganelli, Giulia Gallone, Simone Borrelli
voce padre Giovanni Ludeno
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Pasquale Mari
produzione Compagnia dell’Accademia
Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico