Caldo di Jon Fosse messo in scena da Alessandro Machìa. Visto al Teatro Tor Bella Monaca di Roma. Recensione.
Caldo (Varmt) è una pièce del 2005 firmata dal più importante drammaturgo norvegese vivente, uno degli scrittori teatrali più celebrati della nostra epoca. Talmente celebrato da rischiare di essere conosciuto per stereotipi. Jon Fosse è l’autore dei fiordi, il creatore di personaggi soli di fronte alla fredda e impervia natura. Dove il vento che sbatte sul bavero è un contrappunto agli occhi immobili di fronte all’orizzonte, autore per il quale la natura è correlativo oggettivo di un’interiorità implosa, irrisolta. In un’intervista del 2008 a Rodolfo di Giammarco per La Repubblica disse: «[…] quando scrivo, io preferisco essere vicino o vedere il mare».
Fosse è scrittore di silenzi e pause, di torsioni temporali in cui la linea cronologica si sfalda o si ripete incespicando tra i passi incerti di una memoria falsata. «Nei miei testi passato e presente si muovono in un solo attimo, come fossero più vicini all’eternità. L’istante presente, che se ne va prima che uno lo abbia trattenuto, è un richiamo all’eternità del tempo» (conversazione con Anna Bandettini, La Repubblica 2016).
Così avviene anche in questo testo: due figure maschili e una femminile sono precipitate in una spirale drammaturgica in cui il tempo ha perso la propria linearità corrodendo così lo statuto stesso dei personaggi drammaticamente intesi. Sono tre, ma forse in realtà sono due, ché i due uomini – si potrebbe cogliere ben presto – sono facce della stessa medaglia ma in tempi diversi: uno si affaccia alla terza età l’altro è ancora nel vigore della giovinezza; Fosse non ci svela che cosa ci sia stato in mezzo, come una lunga pausa dalla vita. I due si ritrovano su un molo di fronte all’oceano, non ci sono altri punti di accesso al reale se non una casa a cui si alluderà spesso.
Alessandro Machìa ha portato, poco prima delle Feste natalizie, il testo di Fosse al Teatro Tor Bella Monaca di Roma, con un allestimento in cerca di minimalismo: Giorgio Crisafi e Luca Mascolo si ritrovano in una scena completamente bianca, persi in una sorta di non luogo senza nessun salvagente, nessun tavolo o sedia a cui appoggiarsi, nessuna quinta dietro alla quale nascondersi. Si riconoscono, o almeno riconoscono il luogo, quel molo dove hanno incontrato una donna. Ma di quanti anni fa si trattava?
Il tempo dell’incontro ritorna, come ritorna la donna, personaggio, questo femminile, che nel hic et nunc teatrale non ha età se non quella dell’attrice che la interpreta: un’Alessandra Fallucchi tutta sospiri e tentativi estremi di dare un peso emotivo all’evanescenza.
Il discorso ruota attorno a dei particolari che fungono da appoggio in una sorta di vortice ipnotico nel quale galleggiano personaggi e spettatori: c’è quel costume da bagno nero, i capelli bagnati di lei appiccicati al volto, il bagno in una calda e sensuale estate, le curve di un corpo che fu giovane, una casa nelle vicinanze in cui dare sfogo alla passione. Sul fondo bianco un leggero tratto nero disegna proprio i contorni di quella casa che appare, si modifica e scompare per poi lentamente riapparire come il ricordo lontano di una memoria imperfetta.
Machìa del drammaturgo norvegese è un frequentatore abituale sia nella teoria (di recente ha pubblicato un saggio su Il Castello di Elsinore, rivista diretta da Roberto Alonge e Franco Perrelli) che nella pratica della scena, sua la regia di Sogno d’autunno vista nel 2011 al Vascello di Roma. Ma in quest’occasione deve vedersela con un testo che probabilmente avrebbe messo in difficoltà anche gli interpreti di primissimo piano con cui lavorò nel 2011, attori del calibro di Sergio Romano, Viola Graziosi e Daniela Piperno. Perché il testo di Caldo, almeno così come ci appare nella versione vista, è uno scheletro di parole e battute che ritornano ogni volta con alterazioni quasi assenti e la regia, anch’essa scarna, non aiuta l’attenzione dello spettatore, che si perde di fronte a una recitazione per certi versi naturalistica e incorporea per altri. Manca un segno potente con cui farsi strada tra le ellissi e tra quelle spirali per mezzo delle quali la drammaturgia sembra voler inghiottire tutti, pubblico compreso.
Andrea Pocosgnich
Teatro Tor Bella Monaca, Roma, dicembre 2017
CALDO
di Jon Fosse
progetto e regia di Alessandro Machìa
con Alessandra Fallucchi Giorgio Crisafi e Luca Mascolo
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