Biancaneve di Teatro del Carretto, adattamento per teatro di figura della fiaba popolare, è in scena dal 1983. Lo abbiamo visto a Roma al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma. Recensione
Il primo gennaio del 1983 si inizia ufficialmente ad utilizzare il protocollo Internet, Microsoft lancia la prima versione di Word per Dos e non esiste ancora una regolamentazione legislativa del fenomeno migratorio; in Italia si iniziano a vendere i primi computer, io non sono ancora nato e il Teatro Biblioteca Quarticciolo è un mercato coperto comunale. A Lucca, il Teatro del Carretto debutta con il suo primo spettacolo, Biancaneve, divenuto poi manifesto della poetica della compagnia nata dall’incontro tra la regista Maria Grazia Cipriani e lo scenografo Graziano Gregori.
Novembre del 2017. L’Italia è nel vivo di un evento migratorio di portata storica, io, per questa testata giornalistica online, assisto con un gruppo di spettatori ospiti di due centri d’accoglienza per richiedenti asilo (il CAS Casilina 1 e il CAS Codirossoni) a una replica di Biancaneve nel Teatro Biblioteca Quarticciolo che festeggia il suo decennale.
Ci sono due coordinate lungo le quali guardare alla favola dei fratelli Grimm della compagnia di Lucca; una è sicuramente quella diacronica, che innalza l’opera del Teatro del Carretto a monumento a confronto con il tempo. D’altronde la fiaba della matrigna e dei sette nani, trascritta nel 1812 così come tramandata nella tradizione orale in Germania, rientra nei motivi ricorrenti delle fiabe, in un’eredità culturale che fugge ormai dalla verifica storica, etica, sociale. Biancaneve di Teatro del Carretto riesce così in un’operazione anacronistica rispetto ai ritmi produttivi di oggi, un’opera di ripetizione che permette al pubblico di confrontarsi con una domanda: oltre la fiaba, l’archetipo, la tradizione, cosa rende questo spettacolo capace di parlare con lo spettatore contemporaneo, quando il contesto, la società e lo spettatore stesso mutano attraverso i decenni? Una risposta, in sala, proviamo a darla: la meraviglia.
Ed è quest’ultima la seconda linea lungo la quale attraversare l’opera; una meraviglia, quella del Teatro del Carretto, che non si concede offrendo conforto o assolvendo lo spettatore dall’amarezza di fondo e dall’inquietudine della fiaba originale. La macchina scenica, una scatola teatrale che troviamo entrando il sala, è una struttura di legno che ricorda un castello, un palazzo, e si aprirà come “magico armadio dell’immaginario” lasciando intravedere l’orrore della vita dietro il tempo della fiaba.
In un disegno drammaturgico che è contenitore di segni, lo spettacolo ci avvicina così a quei due bibliotecari tedeschi, Jacob e Willhelm Grimm, che intenti in una ricerca sulla morale attraverso la raccolta di racconti tradizionali, si ritrovarono nelle mani una raccolta di fiabe, forse anche, per bambini. «Ho paura» dicono in sala alcuni spettatori giovanissimi per le atmosfere cupe del bosco nel quale il burattino del cacciatore sovrasta per grandezza le dimensioni di Biancaneve, o per la matrigna impersonata da un’attrice con maschera che irrompe ambigua, ciclicamente, dalla scatola scenica. L’incontro tra figura animata e l’interprete umano diventa così al tempo stesso cifra stilistica e segno drammaturgico; l’alternanza tra la grandezza umana e la miniatura, tra le dimensioni dei burattini, determina negli occhi dello spettatore le relazioni tra i personaggi; i cambi di scena che trasformano la scatola teatrale in palazzo, bosco, casa dei nani, enfatizzano la dimensione magica della fiaba; il rapporto con il ritmo, il suono, accenta le atmosfere spaziando dalla sinfonica alla lirica, tra Puccini, Madama Butterfly e Hansel and Gretel.
E poi si ride, si battono le mani per quei sette nani che partono dal palco a grandezza “naturale” per poi entrare nella macchina scenica e trasformarsi anch’essi in burattini minuscoli: fuori, la realtà, e dentro il teatro la sua proiezione archetipica. La voce narrante continua e racconta la fiaba fino alll’arrivo del principe, al matrimonio, alla condanna della matrigna a ballare con gli zoccoli roventi; nonostante l’italiano, la molteplicità di segni che si susseguono nel racconto dissolvono le barriere linguistiche e relativizzano quelle culturali; me ne accorgo guardando gli occhi senegalesi, maliani, guineani degli spettatori che mi siedono vicini, a dire che la meraviglia non ha tempo né cittadinanza. (qui, l’articolo Biancaneve, dai fratelli Grimm ai griot su Spettatori Migranti)
Luca Lòtano
Teatro Biblioteca Quarticciolo, Roma – novembre 2017
BIANCANEVE
adattamento e regia Maria Grazia Cipriani
con Elena Nené Barini, Giacomo Vezzani, Giacomo Pecchia, Andrea Jonathan Bertolai
scene e costumi Graziano Gregori
Teatro del Carretto