Al Piccolo Teatro di Milano la nuova produzione, Uomini e no, affidata alla penna di Michele Santeramo, la regia di Carmelo Rifici e l’interpretazione dei giovani attori della Scuola “Luca Ronconi”. Recensione
Hannah Arendt in La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme era arrivata ad analizzare il paradosso della violenza nazista come qualcosa fuori dall’umano, qualcosa di talmente ridicolo e tragico nelle azioni perpetrate dai tedeschi da farle apparire banali appunto, come solo il male potrebbe essere: per Arendt la pericolosità di uomini come Adolf Eichmann risiedeva proprio nell’inconsapevolezza. Così Cane nero, uno dei personaggi dello straordinario romanzo di Elio Vittorini del 1945, Uomini e no, a cospetto del suo più importante prigioniero, il partigiano Enne 2, afferma l’umanità della propria violenza, ché sono gli uomini a farsene carico e non qualcun altro. Il giovane partigiano lo guarda affermando il contrario: chi si macchia di tali nefandezze è fuori dal consesso degli uomini. Nella messinscena di Carmelo Rifici con la versione drammatica di Michele Santeramo questo momento, tra le ultime scene, accade nella parte più avanzata dello spazio, oltre i binari sui quali scorrono le due sezioni dello scheletro di un tram primo novecento di Milano e nei pressi di una buca quadrata che lascia immaginare sotterranei senza speranza – in questa apertura verso il sottosuolo uno dei ragazzi verrà condotto per essere sbranato dai cani.
Lo Studio Melato è un’arena: più volte i neodiplomati della scuola del Piccolo intitolata a Luca Ronconi (diretta ora dallo stesso Rifici) si rivolgono al pubblico guardando verso quelle balconate chiuse da ringhiere rosse, la moglie del partigiano dato in pasto alle bestie urla «e voi non dite niente?». Da quelle stesse balconate e dalla platea a fine spettacolo partirà un lungo applauso. D’altronde pur essendo una pomeridiana, quella a cui abbiamo assistito, il pubblico riempiva ogni posto disponibile e molti attendevano l’inizio già mezz’ora prima nel foyer del teatro. Gli spettatori del teatro fondato da Ninchi, Grassi e Strehler proprio mentre erano ancora visibili le macerie della guerra si confermano una borghesia colta, attenta e anche critica – a sentire i discorsi a fine spettacolo.
Più di due ore totali se si conta l’intervallo, che in verità non scivolano via sempre con grande efficacia; è al ritorno dalla pausa in effetti che apprezziamo maggiormente le dinamiche drammaturgiche e attorali: con il secondo tempo l’azione comincia a dettare i ritmi della scena, i nodi vengono al pettine e diminuiscono alcune rarefazioni. Si pensi in questo senso alla «fitta trama di ripetizioni, […] ai rilanci ed eco delle battute dei dialoghi» in quella tensione poetica ben descritta da Gianni Turchetta a proposito della scrittura di Vittorini.
Santeramo usa un trucco ormai abbastanza rodato in teatro, distribuisce alcune parti del testo relative al narratore in bocca agli attori, senza però puntare a chissà quale straniamento. Il paesaggio narrativo del drammaturgo pugliese (ex sodale di Michele Sinisi in Teatro Minimo) è fedele al romanzo, anche nel pesare gli equilibri tra l’affresco storico e i melodrammi privati, due piani che in realtà sono due tracce inestricabili.
Il pensiero corre al cinema del Neorealismo, ma se le poltrone del tram sono reali (nelle scene di Paolo Di Benedetto), così come gli abiti lisi dei partigiani disegnati da Michela Baldoni, l’impostazione attorale non sempre soddisfa: il naturalismo verso il quale si scontrano i giovani attori fortunatamente è stemperato dalla dislocazione dello spazio scenico che permette ampi movimenti e corse mentre le piattaforme del tram si muovono dal fondo alla platea.
D’altronde Rifici nella conversazione curata da Eleonora Vasta e apparsa nel programma di sala ammette: «Oggi un giovane attore non ha l’immediata predisposizione a colmare la gamma di passioni ed emozioni che lo separa dal personaggio, soprattutto da caratteri come quelli di Uomini e no. […] Ho chiesto loro di gettarsi a capofitto in quella distanza, di annegarvi coraggiosamente e con grande generosità, senza porsi limiti».
Gli attori si ritrovano insomma a interpretare le vite di ragazzi che potrebbero avere la stessa loro età, ma che hanno visto bruciare i migliori anni in guerra e nell’eroico e quotidiano tentativo di liberarsi dall’oppressione nazifascista: uccisi a sangue freddo, fucilati, sbranati dai cani, spariti dagli affetti dei cari, delle giovani mogli, delle amanti per cui combattevano. Quei partigiani sono quanto di più lontano dai ventenni di oggi e forse, allora, se questa produzione del Piccolo ha un senso va cercato qui: non tanto nell’esempio etico che il grande affresco popolare ci restituisce, ma in quella distanza, negli anni luce che separano i nostri ventenni dai ventenni di allora, un vuoto da riempire con una memoria attiva e critica.
Andrea Pocosgnich
Piccolo Teatro Studio Melato
dal 24 ottobre al 19 novembre 2017
Uomini e no
di Michele Santeramo
tratto dal romanzo “Uomini e no” di Elio Vittorini
regia Carmelo Rifici
scene Paolo Di Benedetto
luci Claudio De Pace
costumi Margherita Baldoni
musiche Zeno Gabaglio
con (in ordine alfabetico) Giuseppe Aceto, Alessandro Bandini, Alfonso De Vreese, Salvo Drago, Caterina Filograno, Yasmin Karam, Leda Kreider, Marta Malvestiti, Benedetto Patruno, Matteo Principi, Marco Risiglione, Elena Rivoltini, Livia Rossi, Martina Sammarco, Francesco Santagada, Sacha Trapletti, Annapaola Trevenzuoli
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Caro Andrea, dal Pasticciaccio a Dio ne scampi dagli Orsenigo, l’espediente di attribuire le parti “narrate” agli attori, sdoppiandone il ruolo, è una creazione ronconians, alla quale credo volutamente ricorrano gli attori di una scuola dedicata al Maestro. Con stima. PG