A cento anni dalla Rivoluzione russa, ricordiamo quel periodo anche come un’età dell’oro irripetibile per il teatro, nonostante la miseria, le morti, la fame. La Russia è stata la stella polare di tutta la scena novecentesca
Il 29 ottobre 1917 Evgenij Vachtangov scrive sul suo diario: «La notte di venerdì 27 ottobre a Mosca hanno cominciato a sparare. Oggi è il 29. Si spara tutto il giorno incessantemente nel nostro quartiere dell’Ostozenka e nel vicolo Monsurov. Si spara con i fucili, i revolver, e i cannoni. Sono già due giorni che non si esce di casa. Oggi non siamo riusciti a trovare il pane. Ci sfamiamo con quel che c’è. La notte copriamo le finestre perché non passi la luce. I giornali non escono. Non sappiamo niente. Neppure contro chi si spara. Dal nostro telefono non si può chiamare. Anche chi ci telefona non sa niente. È già il secondo giorno che combattono e non sappiamo chi sta vincendo, se i bolscevichi o i reparti governativi. I tram sono fermi. Quando finirà tutto questo?» (Evgenij Vachtangov, Il sistema e l’eccezione. Taccuini, lettere, diari, a cura di Fausto Malcovati, Firenze, La casa Usher, 1984, p. 20).
All’indomani della presa del Palazzo d’Inverno da parte dei bolscevichi a Pietrogrado, Lenin nomina commissario per l’Istruzione, Anatolij Lunačarskij, amico di Gor’kij e appassionato di teatro. A capo del Commissariato del Popolo per l’Istruzione, Lunačarskij è pronto ad accogliere tutti i rappresentanti delle arti che siano disposti a collaborare. Per il teatro si presenta Vsevolod E. Mejerchol’d.
Nel marzo del 1918, dopo la firma di un trattato di pace con gli imperi centrali si conclude per la Russia la prima guerra mondiale e inizia la guerra civile. La storia è nota, lo zar e la sua famiglia vengono fucilati a luglio, e di lì a poco la capitale sarà trasferita a Mosca. Da allora il paese continuerà a subire i colpi di una guerra civile che si sarebbe protratta per anni.
Nel 1919 Viktor Šklovskij scrive: «In Russia la gente muore per le strade, in Russia si mangia o si potrebbe mangiare carne umana… Altri invece dicono: in Russia funzionano le università, in Russia i teatri sono affollati. Scegliete voi a chi credere. Inutile scegliere. È vero tutto» (da La mossa del cavallo, Bari, De Donato, 1967, traduzione di Maria Olsoufieva). Fame e guerra, eppure nell’aprile del 1919 Lenin invia al fronte numerosi attori: è una presenza apprezzata e anche il simbolo di un’età d’oro del teatro in un paese martoriato. Ma è anche spia di un bisogno di teatro come nutrimento, spesso anche al posto del cibo vero. Konstantin S. Stanislavskij ad esempio, ricco e benestante si ritrova per le strade di Mosca a cercare cibo e legna per sopravvivere. Eppure anche lui crede alla rivoluzione come unica possibilità di salvezza per la nazione.
Una salvezza che passa per il teatro e per la danza (non dimentichiamo la presenza di Isadora Duncan, che proprio durante la rivoluzione nel ’21 cominciò a lavorare in Russia). La risposta alla miseria è anche e soprattutto il teatro, ovunque, nelle sale da tè, nelle mense e nei ristoranti (con le attività delle Bluse Blu) e più ancora attraverso grandi spettacoli.
È Mejerchol’d che inaugura la stagione d’oro nel 1918 con Mistero buffo di Majakovskij. E il teatro inizia a parlare la lingua della politica, a volte in modo estremamente diretto, ma sempre intrecciandosi all’arte. Mejerchol’d e il suo profilo adunco che campeggia ovunque ne sono portavoce. Si lavora in cerca di un attore nuovo e per un sistema pedagogico che riformi l’arte teatrale, e non è solo Mejerchol’d a cercarlo, ci saranno altri tra cui Aleksandr Tairov che nel 1919, con Adrienne Lecouvreur al Teatr Kamernyi, ottiene un grande successo di pubblico. Il teatro non è più per la borghesia, il teatro è di tutti. Non sono frasi fatte, quel che accade in Russia comincerà a contagiare l’intera Europa – seppure in maniera più lenta – attraverso scritti e testimonianze che si diffondono capillarmente. Angelo Maria Ripellino in un libro imprescindibile sull’età d’oro del teatro russo (Il trucco e l’anima. I maestri della regia nel teatro russo del Novecento [1965]) ci racconta bene questo momento: “Ciascuno ha una sua età d’elezione, un suo “âge d’or” personale. Henry Miller, in A Devil in Paradise, lamenta di non essere vissuto a Parigi nei giorni di Apollinaire e di Rousseau. Noi avremmo voluto vivere a Mosca nel tempo di Mejerchol’d”. (cit., p. 299).
In Russia la scena si confronta con un pubblico nuovo, misurando la propria efficacia attraverso discussioni e dibattiti. Realismo emotivo, estetismo, minuzie psicologiche e allegorie. Stanislavskij, Mejerchol’d, Vachtangov, Tairov, Ejzenštejn, Michail Čechov: i registi si confrontano ed è difficile capirne uno senza metterlo in relazione con gli altri. Qual era il segreto della Russia e della sua varietà di innovazione creativa? Una congiuntura di desideri disparati, che andavano a costruirsi su quelli ormai spezzati dalla fame e da condizioni indicibili. Il teatro diventa così bene di tutti, o meglio dello Stato. Nel 1919 il Teatro d’Arte di Mosca, il Teatro Malyi, l’Aleksandrinskij, il teatro di Tairov, e i due teatri d’Opera il Bol’šoj ed il Marinskij vengono dichiarati “teatri accademici di Stato”. Nel 1920 Mejerchol’d proclama “l’Ottobre teatrale”: la rivolta completa del teatro. Il 7 novembre 1920 a Pietrogrado viene messo in scena un grande spettacolo di massa all’aperto, circa ottomila comparse per La presa del Palazzo d’inverno, di Nikolaj Evrejnov. Poco dopo (il 20 ottobre del 1920 ma debuttando nel ‘23), Sergej M. Ejzenštejn, che era allievo di Mejerchol’d, lavora a Anche il più saggio ci casca di Aleksandr N. Ostrovskij al Teatro del Proletkult. È un grande spettacolo, con attori, acrobati, esplosione di petardi e pubblico che scatta dalle poltrone.
Il 1920 è anche l’anno di altri due celebri spettacoli, molto diversi tra loro: l’estetizzante esplosione di ritmi e dinamiche trionfali della Principessa Brambilla di Tairov e Le albe di Emilé Verhaeren dove Mejerchol’d invitava il pubblico a prendersi il ruolo dei partecipanti delle assemblee popolari. L’idea della quarta parete sembra ormai abolita e Mejerchol’d già nel 1901 spingeva a pensare il teatro come “alta missione” rammaricandosi dei compagni che rimanevano legati ai propri interessi di classe, estranei alle dinamiche sociali: «Sì. Il teatro può svolgere una parte immensa nella ricostruzione di tutto ciò che esiste» (Mejerchol’d 18 aprile 1901). È una fucina di idee la Russia degli anni Venti, ma l’impressione è che questi celebri registi, visionari di un teatro nuovo, nulla avrebbero potuto senza un pubblico pronto a sostenere le loro idee più estreme. Tra maschere, Commedia dell’Arte e fiabe la Principessa Turandot di Carlo Gozzi messa in scena da Evgenij Vachtangov è lo specchio di un tempo fantasmagorico e memorabile in cui la scena si arrende allo splendore del sole. Politica, invenzione teatrale, grottesco, musica, un’energia compressa che poi deborda e contagia il pubblico: Vachtangov – che era stato uno dei fondatori del Primo Studio del Teatro d’Arte di Mosca – il 31 marzo 1919 aveva scritto nel suo diario: «L’arte non deve essere staccata dal popolo. O con il popolo o contro il popolo, ma non al di fuori di lui. L’artista deve attingere al popolo, non insegnargli. L’artista deve immergersi nel popolo per capirne tutta la grandezza e non innalzarlo a sé, offrendoglisi presuntuosamente» (Evgenij Vachtangov, Il sistema e l’eccezione, cit.).
Erano giovanissimi gli attori di questa Turandot erano la forza della rivoluzione, ed erano rivoluzionari poiché vivi, reali. Erano “l’armata delle arti” di cui parlava Majakovski, erano lontani dalle sembianze opache, erano la risposta a tutto ciò che c’era di decrepito nel teatro, portatori ufficiali di una rivolta – non solo teatrale – di cui dobbiamo essere ancora grati. Poi, molti anni più avanti, il realismo socialista con le sue scelte ambigue e i suoi obblighi morali spazzò via tutto questo, spesso gettando via la vita stessa. Quella di Mejerchol’d ad esempio, il trasformista, l’inquieta vittima sacrificale, assassinato senza vergogna per il suo teatro. Ma questa è un’altra storia.
Doriana Legge
Una piccola bibliografia che non può di certo essere esaustiva:
Ornella Calvarese, La febbre del teatro – Pagine sconosciute dell’avanguardia russa, in “Culture Teatrali”, n. 6, Bologna
Aurora Egidio, Aleksandr Tairov e il Kameryj Teatr di Mosca. 1907-1922, Roma, Bulzoni, 2005
Sergej M. Ejzenštejn, Visse scrisse amò. Memorie, a cura di Giorgio Kraiski, Roma, Ed. riuniti, 1990
Robert Leach, Revolutionary Theatre, London-New York, Routledge, 1994
Massimo Lenzi, Il Novecento russo: stili e sistemi, per il terzo volume (Avanguardie ed utopie del teatro. Il Novecento) della Storia del teatro moderno e contemporaneo diretta da Roberto Alonge e Guido Davico Bonino, Torino, Einaudi, 2001
E. Mejerchol’d, “L’Ottobre Teatrale” 1918-1939, a cura di Fausto Malcovati, Milano, Feltrinelli Editore, 1977
In principio era il corpo. L’arte del Movimento a Mosca negli anni ’20, a cura di Nicoletta Misler, Milano, Electa, 1999
Angelo Maria Ripellino, Il trucco e l’anima. I maestri della regia nel teatro russo del Novecento, Torino, Einaudi, 1965
Viktor Šklovskij, Viaggio sentimentale [1923], trad. it. di Maria Olsoufieva, Bari, De Donato, 1966
Evgenij Vachtangov, Il sistema e l’eccezione. Taccuini, lettere, diari, a cura di Fausto Malcovati, Firenze, La casa Usher, 1984
Evgenij Vachtangov, La gioia della scena. Diari, lettere, appunti di lavoro, Pozzuolo del Friuli, Il principe costante, 2002