Al Teatro Vascello per Romaeuropa Festival, abbiamo visto l’attesa nuova creazione di CollettivO CineticO, Benvenuto Umano. Recensione
A sostenere la ricerca dell’ultima, attesa creazione di CollettivO CineticO, Benvenuto umano, sembra essere un desiderio come di raccoglimento delle fila unito a un desiderio di meditazione emotiva che trovano sulla scena, e non per questo in maniera scontata, il luogo del proprio compimento. L’apertura e il finale di questo spettacolo segnano, come due fuochi, la trasformazione del cerchio – elemento geometrico ricorrente dello spettacolo – in un’ellisse. In questa dinamica trasformativa, che richiama alla mente la complessa sontuosità dei principi alchemici, risiede la forza di questa produzione, e anche la sua particolarità.
Con la propria forza immaginifica e drammaturgica, inizio e fine sfuggono, dunque, a una rotondità dell’esperienza di visione, sottraendo al pubblico la possibilità di accomodarsi completamente nella pacifica, appagante e prevedibile chiusura di un cerchio. Il diametro variabile dell’ellisse è, invece, sostenuto da un complesso andamento duale: da un lato, dalla platea percepiamo lo svolgersi di un percorso che consta in un progressivo approfondimento della conoscenza corporea incontrando – quasi sorprendendosene – una dimensione rituale, esplorazione di una nuova sacralità del corpo danzante (come accade nel potente finale in cui il performer e dramaturg della compagnia, Angelo Pedroni, viene legato secondo un bondage che ricorda lo shibari giapponese, e successivamente appeso a mezz’aria). Dall’altro, invece, a tratti ci sentiamo quasi sbalzati via, espulsi dal vortice che anima questa ricchissima giostra scenica dove appaiono e vengono messi in luce elementi diversi, molti dei quali di gioco, espressione di un corpo che si pone in ascolto di sé ma anche delle regole, delle prassi, del metodo.
Nonostante l’ordine dei movimenti dei danzatori, ora veniamo distratti da un suono generato da una voce rimontata in loop station, ora da un colore oppure da un movimento di oggetti, dall’estrema prodezza di una pratica corporea oppure da un’immagine d’insieme che più di altre vorrebbe imprimersi, e sedurci a restare con lei un po’ di più. Tuttavia, il tempo della sedimentazione dei segni è programmaticamente, tirannicamente organizzato per essere sempre troppo breve per lo spettatore, che viene così continuamente sospinto in avanti dalla drammaturgia. Lo spettacolo avanza, in questo modo, senza concedersi comodità visive o coreografiche se non quelle strettamente necessarie al dispiegarsi organico di un’idea complessa, non semplicemente l’esito di questa ricerca, ma di un intero percorso.
Benvenuto umano è, in questo senso, una coraggiosa promessa, che ci assicura che presto saremo ancora a teatro, o chissà dove, ad accogliere coi sensi un nuovo tratto del cammino di questa compagnia che oggi si sta affermando con forza anche sulla scena internazionale e che per questo, mai più di ora, esprime una piena necessità di espressione del proprio carattere e di radicamento nella propria cifra e nei propri linguaggi.
Dunque no, il cerchio non è il cerchio che ci attendevamo. O non solo, perlomeno. Merito dell’ensemble è di essersi assunto un notevole rischio, segno di maturità compositiva e artistica, quello di aver maturato la capacità di sentire, sentire quale potesse essere la strada, e di averla percorsa fino a dove è stato possibile percorrerla, con feroce onestà. Per questo, se a volte sono visibili le suture, tra una sezione e l’altra dello spettacolo, di certo non è per mancanza di fluidità compositiva, né forse solo perché l’importazione di alcuni caratteri circensi ha creato dentro questo spettacolo lo spazio per un’organizzazione a “numeri”, ma è perché il progetto ha avuto una lunga, giusta stratificata gestazione, avvenuta per fasi alternate alla felicemente intensa agenda della compagnia, con la quale la creazione stessa è a tutti gli effetti intrecciata. Se una dinamica compositiva emerge, più delle altre, è quella di una spirale che si muove, scientificamente ordinata in un ritmo di tesi-antitesi e di sintesi che però si riserva, nella fase che dovrebbe essere conclusiva, il diritto all’incompletezza, un’apertura che riguarda Benvenuto umano, certo, ma soprattutto il futuro del lavoro di Francesca Pennini e del suo gruppo.
Sono trascorsi dieci anni dagli esordi della compagnia capace, nel corso del tempo, di evolvere in diverse direzioni e di tenersi compatta, allo stesso tempo, attorno a una linea di ricerca artistica precisa, aperta e sempre pronta a essere messa in discussione. Il progetto decennale C/o ha consegnato al pubblico della danza contemporanea europea una serie di esperienze che figurano come nuovi spazi di riflessione sul danzare, riuscendo a stare molto vicino al corpo, riscoprendone appieno la dimensione atletico-ginnica, per esempio, eppure accettando di integrare nel proprio discorso tutto ciò che tecnicamente allontana dal corpo facoltà percettive e di movimento che sempre più spesso deleghiamo a quei dispositivi che decorano le nostre vite. Le coreografie della compagnia, come architetture, sono strutture che ospitano l’evoluzione di un progetto che, produzione dopo produzione, non smette mai di trasformarsi e di mantenersi sensibile rispetto alle premesse. Per chi ha modo di ricordare la teatrografia della compagnia, ormai ben nutrita, è possibile accostarsi a Benvenuto Umano come a una celebrazione di tutte quelle forze che hanno nutrito corpi desiderosi e disposti a stare, in sala prove come sulla scena, in una postura di ricerca, spietata poiché onesta. Nella circolarità e nelle sue variazioni, forme che per natura “concludono”, si presenta quindi Benvenuto umano così come l’essenza della riflessione che la compagnia ha portato avanti fino a giungere a questo spettacolo. I fili che si intrecciano nella drammaturgia portano con sé l’eco dei primi lavori che qui sembra trovare una definizione consolidata in grado di chiarire l’espressione di una sapienza coreografica via via più intensa e articolata.
L’apertura della creazione, presentata al Teatro Vascello in occasione di Romaeuropa Festival, è al buio, mentre il pubblico guidato dalla voce di Francesca Pennini è invitato a concentrare la propria attenzione su alcuni gesti molto semplici, sul respiro, sulla percezione. Entrando in scena dalla platea, la danzatrice appare quasi aspirata dietro il sipario in un mondo contemporaneamente antico e futuro, mossa da una forza primigenia che sospende le facoltà dei cinque sensi per favorirne, in fondo, uno solo, il sesto. Privata della vista con una benda, la performer rinuncia alla guida della visione, allo sguardo che dalla scena si proietta fuori, intercettando così possibilità teatrali che solo privando il corpo delle sue abilità di base sono in grado di emergere. Allo stesso modo, i danzatori col viso coperto da visori di cartoncino, possono vedere fuori non attraverso le proprie retine, ma attraverso gli schermi degli smartphone alloggiati proprio davanti ai propri occhi. Sulla destra del palcoscenico, una telecamera riprende Francesca Pennini e consegna un’immagine digitale del suo movimento ai compagni di scena che la seguono con quel leggero ritardo della tecnologia che produce un riverbero tra un’azione e il suo effetto.
Da spettatori, accogliamo tutto quello che segue, con la sua componente genuinamente divertente, ludica, come un esito sensibile che ruota attorno a Francesca Pennini, perno energetico della creazione, centro nevralgico di questo spettacolo che chiede, sin dall’inizio, di essere accolto a cuore aperto. Davanti a noi non abbiamo un nuovo “prodotto” della scena della danza, ma il mostrarsi di un processo sensibile, artistico, che se può esporsi così è proprio perché è in divenire e che a noi che osserviamo ci desidera, ci vuole umani, spettatori interamente vivi. Benvenuto umano ci ricorda le innumerevoli possibilità del corpo, del teatro, della danza. Che nessuno si meravigli se danze come queste sono capaci di spingere ancora oltre i limiti di ciò che ci aspettiamo e conosciamo, CollettivO CineticO ha riuscito appieno la propria missione di ricerca e di rinnovamento, ed è compito nostro stare al loro passo, desiderosi di futuro.
Gaia Clotilde Chernetich
BENVENUTO UMANO
Teatro Vascello, Romaeuropa Festival, ottobre 2017
Concept, Regia, Coreografia Francesca Pennini
Drammaturgia, Operatore shiatsu, Angelo Pedroni
Azione e creazione Simone Arganini, Andrea Brunetto, Carmine Parise, Angelo Pedroni, Francesca Pennini, Stefano Sardi
Coproduzione CollettivO CineticO, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Festival Città delle 100 Scale
In collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Centrale Fies – art work space,
Progetto Corpi & Visioni – promosso da Comune di Correggio, con il sostegno di MiBACT e Regione Emilia- Romagna Residenze Teatro Asioli (Progetto Corpi & Visioni), SZENE Salzburg, Teatro delle Briciole, L’Arboreto – Teatro Dimora Residenza stabile Fondazione Teatro Comunale di Ferrara