Wordbox Arena, ideato dal direttore Walter Zambaldi, ha aperto con un progetto innovativo di coinvolgimento del pubblico la stagione del Teatro Stabile di Bolzano
Contemporaneo, da voce di dizionario, raramente si discosta dal concetto di ciò che coesiste all’esistenza mondana, in un tempo per convenzione definito comune. E nel campo delle arti non è così distante, forse soltanto afferma con più efficacia come si tratti di un’esperienza che affianca la vita, la riproduce e interpreta secondo caratteri in cui più facilmente si scorgeranno gli effetti, armonici o meno, che seguano una rifrazione di verità. Devono averci pensato al Teatro Stabile di Bolzano prima di comporre un progetto ardito quanto vagamente folle, per questo intrigante: tenere in uno stesso bacino di confronto tre testi di diversa provenienza e soprattutto epoca, porli di fronte all’occhio più vergine di un pubblico da stimolare perché scelga uno dei tre, compia così l’atto primario che rende simili spettatori e cittadini; prendere posizione, discutere semmai ordini precostituiti e con coscienza operare una distinzione volontaria tra ciò che si voglia e ciò che invece si avverte lontano dal proprio linguaggio, dalla propria esigenza, dal proprio modello civile.
Wordbox, che al primo anno nel 2016 teneva in lizza cinque testi di drammaturgia contemporanea, dalla seconda e penultima edizione sempre curata dal direttore Walter Zambaldi – in carica dal 2015 e precedentemente alla guida della Corte Ospitale di Rubiera – ha inteso modificare con questo tocco brillante il progetto, scegliendo un testo di un autore giovane e vivente – quest’anno Lorenzo Garozzo autore di J.T.B. – e porlo in relazione a un poeta antico – l’Aristofane de I Cavalieri – insieme al testo di uno scrittore fin troppo letterario come il Don Chisciotte di Miguel de Cervantes.
La natura dell’operazione ha inteso fin da subito porre attenzione sulla fase del teatro prima della messa in scena, chiamando il pubblico a una partecipazione del laboratorio creativo in cui prendono forma i personaggi per come saranno realmente sulla scena. Ma da questa edizione lo sviluppo ha compiuto un salto in avanti, uscendo dalla sala prove e trasferendo il confronto direttamente sul palcoscenico; in questa Wordbox Arena, con il pubblico sulle assi di legno e la scena ribaltata, i tre testi sono stati affrontati da una compagnia di cinque attori uomini – Andrea Castelli, Fulvio Falzarano, Antonello Fassari, Michele Nani, Mario Sala – in forma di lettura drammatizzata, perché dessero un assaggio parziale del possibile spettacolo che, una volta scelto e votato tramite l’accenno kitsch di tre pulsantoni posti nell’abituale platea, avrebbe visto una realizzazione completa per la chiusura della stagione in corso del teatro altoatesino, con gli stessi attori e la direzione di Roberto Cavosi.
L’agone teatrale, apparente gioco che in verità chiama a una partecipazione attiva e mai data per scontata, manifesta una volontà di formazione del pubblico attraverso una fase ludica, pur rimanendo sull’asse tradizionale quando si parla di meccanismi recitativi e qualità interattiva. Perché qualcosa tuttavia, nel meccanismo, è da rivedere: la compagnia degli attori non sembra in grado di entrare con la stessa qualità interpretativa in tutti e tre le proposte, un po’ per peculiarità di linguaggio – per esempio nel testo di Garozzo dipinge un contesto specifico dell’azione e si situa in una situazione non allegorica – un po’ per la scelta inspiegabile di coinvolgere cinque attori con caratteristiche simili tra loro, per età, sesso e vocazione attoriale, così che – ancora ci serve da esempio – il testo di Garozzo ha l’impedimento di non vedere un approccio credibile per ruoli femminili o per personaggi più giovani. Difficile che questa natura dell’offerta scenica non induca gli spettatori verso una realizzazione già ad oggi più compiuta, perché magari meglio nelle corde degli interpreti coinvolti, come il caso dell’Aristofane interamente concentrato nel testo e privo, dunque, del ricorso semantico a un linguaggio extratestuale, come più facilmente nella drammaturgia dei giorni nostri. Ma il pregio dell’operazione rimane evidente, in virtù della coesistenza di spettatori diversi riuniti in un contesto in cui dovranno operare una scelta, a loro modo critica, rispetto a ciò che vorranno vedere rappresentato o, meglio, a ciò che di loro stessi vorranno vedere rappresentato. C’è una sensazione di responsabilità in platea, è un gioco ma un gioco serio, una proposta del teatro che si fa dialettico riconoscimento di appartenenza a una comunità.
Simone Nebbia
Teatro Comunale di Bolzano – Ottobre 2017
WORDBOX ARENA
di Miguel de Cervantes, Lorenzo Garozzo, Aristofane
regia Roberto Cavosi
luci Lorenzo Carlucci
con (in ordine alfabetico) Andrea Castelli, Fulvio Falzarano,
Antonello Fassari, Michele Nani, Mario Sala
TEATRO STABILE DI BOLZANO