In attesa di una riapertura il Teatro dell’Orologio porta il teatro nei vagoni della metropolitana con Sogno underground. Recensione
La Metro C per i romani è stata da sempre come il comunismo in occidente, la bella utopia irrealizzabile. Ne ho memoria già da quando ero bambino, ci sono cresciuto dentro a quei vagoni, ancora prima che andassero in funzione, dopo decenni di progetti, rinvii, budget costantemente in lievitazione. I romani della zona sud est anche quando videro i cantieri in funzione comunque si trovarono a ripetere: «quando entrerà in funzione noi saremo già morti». E invece, negli ultimi anni, ecco “l’accelerazione” della metropolitana più costosa al mondo; la nuova underground è aperta e funzionante, sì, anche se l’ultima fermata è Piazza Lodi e bisogna uscire e proseguire a piedi per poter prendere poi la metro A. Per fine ottobre, almeno, è prevista l’apertura del nodo di scambio con San Giovanni.
Delle difficoltà che sta vivendo l’azienda preposta ai trasporti pubblici ne sono a conoscenza tutti, è un caso ormai nazionale e per i romani perpetuo. Perciò mai ti immagineresti che qualcuno abbia il coraggio e la tenacia per mettere in scena uno spettacolo proprio lì, negli spazi ancora lucidi e avveniristici della terza metro della Capitale. Forse proprio di questo atto di follia aveva bisogno lo staff del Teatro Orologio per continuare a lasciare un segno sulla città dopo la cacciata da parte delle forze dell’ordine avvenuta lo scorso febbraio: due progetti (pensati per l’Estate Romana) per portare il teatro fuori dal teatro. Nel primo, I Nasoni Raccontano – la storia ha il naso lungo, al centro del racconto (allestito per le strade di Centocelle) vi erano storie e ricordi del quartiere lasciati dagli stessi abitanti.
Nel secondo spettacolo, Sogno di una notte di mezza estate UNDERGROUND, l’asticella si alza per far scendere il pubblico nella pancia di metallo.
Me li trovo tutti in piazza Malatesta: Gianni, Gianluca, Chiara, Alessandra, Leonardo, Fabio, quelli che abitavano gli spazi sotterranei di Via de Filippini. Ci danno degli adesivi, dobbiamo mostrarli sui nostri abiti, ché il personale Atac ha bisogno di sapere chi sono gli spettatori e chi i semplici utenti, ma è all’incrocio di questi due flussi che tale esperimento di teatro urbano raggiunge i risultati più insperati: chi ha scelto di essere spettatore, arrivando da casa con il proprio bagaglio di aspettative è in qualche modo anche attore, o almeno parte del gioco, qualcosa a metà tra il coro e una scenografia umana e mobile che continuamente segue l’azione circondandola e attraversandola; poi ci sono invece quelli che spettatori lo diventano per caso, avviene durante uno dei dialoghi tra Oberon e Titania che si svolge nel piazzale della stazione di Centocelle, oppure quando emergiamo in piazza dei Mirti dove una piangente Ermia rincorre il suo amore tra lacrime e perdifiato.
Quello diretto da Leonardo Ferrari Carissimi ed Elisabetta Mandalari (autori anche della drammaturgia) è uno Shakespeare meticcio frutto di una riscrittura aggressiva che cala la commedia in una periferia immaginaria, parallela e contigua a quella reale: pantaloni strappati o di pelle, lunghi gilet di lana caprina si oppongono alle tute arancioni degli addetti alle pulizie.
Veniamo sballottati da una fermata all’altra, seguiamo gli attori in banchina durante l’attesa del metrò, i tecnici dello staff illuminano con fari portatili le pareti bianche e metalliche, un’addetta al suono ci segue zelante con un tablet e una cassa portatile con cui inondare di musica il sottosuolo, spesso l’acustica delle stazioni si mangia la poesia del Bardo, oppure il caos della piazza all’aperto costringe gli attori (tutti appassionati e sempre in parte) a urlare più del dovuto. Ma sono sbavature concesse se l’effetto è quello di portare la vita in un luogo di passaggio.
Lo spettacolo aggredisce lo spazio pubblico, scava nella quotidianità, osservo gli spettatori cercando di percepire l’impatto proprio su coloro che si trovano casualmente qui: una madre e un bambino di una decina di anni scelgono di proseguire il proprio percorso attraversando quello appena intercettato, scelgono deliberatamente di non tornare subito a casa ma di seguire lo svolgersi della commedia nelle tappe successive. Rimangono dentro il sogno dei malavitosi gipsy, Oberon, Titania e Puck – rappresentato come un tremendo folletto aiutante –, vogliono capire come andrà a finire la sottotrama degli artigiani e della loro messinscena amatoriale provata durante il turno di lavoro dai tre buffi addetti alle pulizie, sono curiosi di sapere come si scioglieranno i nodi amorosi dei giovani brutalmente annodati per magia. Fuggire dalla realtà per entrare nel bosco (di volte metalliche e vagoni) dove tutto può accadere, persino assistere a una messinscena di Shakespeare in una metropolitana di Roma.
Andrea Pocosgnich
Ottobre 2018, Roma
Sogno di una notte di mezza estate UNDERGROUND
adattamento e regia Leonardo Ferrari e Elisabetta Mandalari
con Giuseppe Benvegna, Matteo Cirillo, Alessandro Di Somma, Lucrezia Forni, Susanna Laurenti, Benedetta Russo, Enrico Torzillo, Emma Tramontana, Riccardo Viola, Pietro Maria Virdis
costumi Alessandra Muschella
Organizzazione e Comunicazione E45
Produzione Progetto Goldstein
Che bufala la metro C è la metropolitana più costosa al mondo. Si informi prima di scrivere queste sciocchezze.
Si limiti a parlare di teatro che forse è più preparato, sulla metro C non ne sa nulla, poteva almeno informarsi prima di scrivere, anche da Wikipedia!