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Se non sporca il mio pavimento. Giuliano Scarpinato, tra fabula e mélo

A La Pelanda di Roma, all’interno della rassegna Anni Luce di Romaeuropa Festival, abbiamo assistito al debutto di Se non sporca il mio pavimento di Giuliano Scarpinato. Recensione

foto di Manuela Giusto

«La scena, ridotta, rappresenta l’angolo irregolare d’una camera di donna. […] Davanti alla buca del suggeritore, una sedia bassa e un tavolino; telefono, libri, una lampada che manda una luce cruda. Il sipario rivela una camera da delitto. Davanti al letto, per terra, è sdraiata una donna con una lunga camicia, come assassinata. […] Il personaggio è una vittima mediocre, totalmente innamorata». Sono le note di regia che Jean Cocteau antepone a La voce umana, eppure possono applicarsi con sorprendente coerenza anche a Se non sporca il mio pavimento, la nuova creazione di Giuliano Scarpinato.

foto di Manuela Giusto

Non si tratta soltanto di una mera coincidenza, o di una colta citazione con cui si è voluto omaggiare il drammaturgo francese, quanto di una più profonda adesione a un canone, a un immaginario formale che da Cocteau a Jean Genet, da Douglas Sirk a Rainer Werner Fassbinder, ha attraversato sotterraneo, con alterne fortune ed esiti diversi, la storia dello spettacolo del Novecento. È il mélo: con le sue semplificazioni a volte eccessive, l’enfasi sugli aspetti sentimentali ed emotivi delle vicende, una cura estetica condotta al parossismo, la frequente svolta degli intrecci su versanti dark. E Scarpinato specifica fin dal sottotitolo l’appartenenza al genere, giustapponendo un mélo all’affascinante protasi tratta da un fulminante dialogo di Heiner Müller: «UNO: Posso gettare ai suoi piedi il mio cuore?  / DUE: Se non sporca il mio pavimento». In questa dichiarata ascrizione, il regista palermitano si assume il rischio di sfidare il pubblico e la critica proponendo un formato non comune sui palcoscenici dediti al teatro di ricerca e che, sottoposto a torsioni postmoderne e queer, è invece più diffuso nella Settima arte.

Eppure anche in campo cinematografico (valgano, a titolo di esempio, le recensioni firmate da Goffredo Fofi a Carol di Todd Haynes e a Julieta di Pedro Almodóvar, del quale ha scritto su queste pagine anche Sergio Lo Gatto) le rivisitazioni contemporanee del mélo sembrano avere suscitato dubbi e obiezioni, come se il ricorso ai suoi precipui stilemi – e alla loro decostruzione – possa implicare in nuce una fallacia strutturale. Anche l’accoglienza che il pubblico de La Pelanda ha tributato a Se non sporca il mio pavimento – in occasione del debutto nazionale all’interno della rassegna Anni Luce curata da Maura Teofili per Romaeuropa Festival  è sembrata frammentaria: entusiastici apprezzamenti si sono alternati sia con critiche volte a evidenziare la parziale incapacità dell’estetica adottata di stimolare riflessioni ex post, sia con severe stroncature (come nel caso dell’articolo che Anna Bandettini ha dedicato alla rassegna).

foto di Manuela Giusto

Sembra interessante rilevare come proprio sull’estrema riconoscibilità della forma, quella «convenzionalità» registrata da Bandettini, si siano concentrate parte delle riserve: a essere oggetto di perplessità è tuttavia un linguaggio sviluppatosi in un percorso ormai pluriennale, grazie al quale la firma di Scarpinato – qui anche drammaturgo con Gioia Salvatori – si sta rivelando sempre più chiaramente identificabile nelle sue cifre e tuttavia, a giudicare dalla sua ricezione, quasi desueta. Il teatro di questo autore, come già accaduto in Fa’afafinetraduce eventi di cronaca nera o tematiche dal forte impatto mediatico in una costruzione drammaturgica chiara e lineare, agita dagli interpreti all’interno di una scenografia di matrice tradizionale, resa però onirica dal frequente ricorso alle videoproiezioni e da un’impronta recitativa fortemente coreografica. Nel caso di Se non sporca il mio pavimento, è il recente delitto di Gloria Rosboch – l’insegnante di Castellamonte assassinata dal ventiduenne Gabriele Defilippi e dall’amante di lui, Roberto Obert – a fornire la materia prima, plasmata da Scarpinato nella forma di una favola crudele, dove i tópoi del mélo sono filtrati da suggestioni eterogenee, che spaziano dal mito di Eco e Narciso narrato ne Le metamorfosi di Ovidio ai mondi di Lewis Carroll.

foto di Manuela Giusto

L’impianto scenico disegnato da Diana Ciufo mostra da una prospettiva angolare la camera di Gioia (Francesca Turrini), insegnante di sostegno quarantenne di un paese di provincia: la stanza, con le tonalità pastello della carta da parati o gli abiti conservati nel cellophane all’interno di un armadio angusto, è sintomo di un’infanzia forzatamente protrattasi oltre i naturali confini. Al di fuori di questo interno domestico sembra dispiegarsi un universo altrettanto posticcio e tuttavia latore di possibilità impreviste, bandite nello spazio ristretto in cui scorre la placida esistenza della donna; pannelli mobili in pvc interrompono la parete di sinistra, e uno specchio, come in Alice nel paese delle meraviglie, sembra preannunciare la possibilità di un suo attraversamento verso realtà nelle quali l’amore – o il suo simulacro – è una plausibile quotidianità.

foto di Manuela Giusto

L’interno e l’esterno, la casa e quel fuori minaccioso e inesplorato, trovano in Alessio (Michele Degirolamo) il loro punto di tangenza: seduttivo e ribelle, strafottente e confuso, il giovane instaura con Gioia un rapporto ambiguo. Il ragazzo plagia la donna, le estorce un’ingente somma di denaro con l’arma della rêverie e delle promesse di una vita lontana dalla madre assillante (Beatrice Schiros, opprimente presenza nel video proiettato sul soffitto della stanza), infine la convince ad allontanarsi dal suo rifugio e la uccide con la complicità dell’amante, l’altrettanto irrisolto parrucchiere Cosimo (Ciro Masella, in un’ennesima prova maiuscola). E tuttavia Se non sporca il mio pavimento non sembra limitarsi a raccontare l’ennesima vicenda di cronaca nera emersa dalla grigia provincia del Nord Italia: Scarpinato prosegue infatti sulla scia tracciata dai suoi precedenti lavori e pone un nuovo tassello di un’indagine sull’adolescenza, sulla formazione dell’identità e sulle sue possibili degenerazioni, ma soprattutto costruisce uno struggente affresco di un gruppo di anime ostinatamente sospinto dalla ricerca dell’amore, del contatto, del riconoscimento di sé.

foto di Manuela Giusto

È uno sguardo rapido quello che Alessio e Gioia si scambiano all’inizio della pièce, seminudi come divinità, in un reciproco specchiarsi negli occhi dell’altro; commossa è la richiesta della donna, ormai conscia del raggiro subito, di riavere comunque nella propria vita Alessio e quel suo entusiasmo naïf, quella sua sfrontata leggerezza, quei sogni dei quali appropriarsi. Attorno alla fiammeggiante presenza del ragazzo anche Cosimo sembra cedere le armi: adulto, si lascia persuadere una volta di più ad aiutarlo, a essere suo sodale e amico, in una progressiva discesa verso l’autodistruzione.
E tuttavia Michele De Girolamo conferisce al personaggio sfumature di assoluta pietà, edificando così un carattere del quale non si può non essere tutti, in qualche modo, vittime. La sua gestualità irrequieta e magnetica fa da contraltare alle azioni misurate e trattenute di Francesca Turrini, alla voce flebile e compressa dell’attrice, contribuendo a sviluppare una dialettica recitativa tra l’esplosione e il silenzio, l’apnea e l’urlo.

Lo sguardo di Scarpinato si pone sui personaggi scevro da qualsiasi giudizio morale, lasciando alla platea il pericoloso onere di condividere l’afflato della donna ad amare anche il proprio assassino: ed è qui che il regista sembra provocare lo spettatore, costringendolo a contemplare il proprio riflesso nello sguardo di un violento e cinico omicida, incapace di trovare requie alla continua fuga da se stesso se non nella morte dell’altro. Le proiezioni video di Daniele Salaris, così come il ricorso sonoro a noti brani pop in malinconiche versioni remix, amplificano la sensazione dello spettatore di assistere a un progressivo sfrangiarsi del sogno in un incubo di plastica e ferocia: e tuttavia c’è ancora spazio per l’elegia, per la memoria di chi è costretto a essere pura voce e ricordo, e il paradossale rimpianto per chi è annegato cercando di afferrare un io liquido come uno stagno.

Alessandro Iachino

La Pelanda, Anni Luce, Romaeuropa Festival – ottobre 2017

SE NON SPORCA IL MIO PAVIMENTO
regia Giuliano Scarpinato
drammaturgia Giuliano Scarpinato, Gioia Salvatori
con Michele Degirolamo, Francesca Turrini, Ciro Masella
in video Beatrice Schiros
scene Diana Ciufo
video proiezioni Daniele Salaris
luci Danilo Facco
costumi Giovanna Stinga
visual setting Mario Cristofaro
make up Elisa Caserin
assistente alla regia Riccardo Rizzo
produzione Wanderlust Teatro
progetto vincitore Odiolestate
residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t
sostegno CSS Teatro stabile d’innovazione del FVG, Teatro di Rifredi, Corsia OF – Centro di Creazione Contemporanea, Industria Scenica, Angelo Mai Altrove Occupato
ringraziamenti Il Lavoratorio

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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