La gatta cenerentola, ispirato al racconto di Giambattista Basile e a uno spettacolo di Roberto De Simone, è un film di animazione presentato alla 74° edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
«C’era una volta» e di solito, come in questo caso, c’era una volta un re. E c’era la disgraziata figliastra vessata dalle angherie di una matrigna e avvilita dalla sterile crudeltà delle sorellastre che poi diviene sovrana un po’ per magia e un po’ per caso, ritrovata attraverso una scarpetta smarrita. Insomma c’era una volta Cenerentola a costellare l’immaginazione mondiale, ma prima e dopo c’era La Gatta Cenerentola. Il racconto ha suscitato un interesse in grado di attraversare i secoli come un fendente di fascinazione, ripreso, a tratti edulcorato, e rielaborato fra gli altri da Charles Perrault prima e dai Fratelli Grimm poi, affermandosi come un topos della fiaba. Compare però fissata per la prima volta per iscritto come sesta della prima giornata in una compagine di cinquanta storie per dieci narratrici e cinque giorni.
È tra il 1634 e il 1636 che si consegna alle stampe postumo Lo cunto de li cunti overo lo tratteniemento de’ peccerille (o Pentamerone) di Giambattista Basile. Opera fondamentale nella storia della narrazione italiana e principale presupposto di quella fiabesca europea e più generalmente occidentale, per struttura rimanda senza grandi difficoltà al modello boccaccesco del Decamerone e della novella medievale con il primo racconto a fare da input e sfondo su cui si stagliano tutti gli altri, per poi concludersi e riavvolgersi tornando all’origine. Figlio del contesto storico-sociale e pregno del substrato culturale del suo autore, il compendio riconduce a una connotazione barocca ove gli elementi della fiaba e della tradizione popolare si innestano su un impianto narrativo propriamente letterario, indirizzato agli adulti piuttosto che ai bambini, con un uso della lingua che sovente volge alla resa “drammatica” non rinunciando a quel senso del “meraviglioso” e alla coloritura erotica tipici dell’epoca, cooptando tuttavia pure da una certa realtà moralistica la simmetria tra condotta e conseguenze della stessa. Bacino favolistico quasi archetipico per chi vi si accosti la prima volta, al cui interno si rintracciano i primi tratti di personaggi appartenuti all’infanzia di molti (Cagliuso per Il gatto con gli Stivali, Petrosinella per Raperonzolo), ha attratto e attrae per la sua complessissima semplicità diversi artisti (tra le operazioni più recenti Il racconto dei racconti di Matteo Garrone) ed altrettanti studiosi (da Benedetto Croce a Michele Rak).
Ad assolvere insuperata la vocazione drammatica di cui sopra è stata la storia del teatro italiano della seconda metà del secolo scorso. Al Festival dei Due Mondi di Spoleto debutta La Gatta Cenerentola. Favola in musica in tre atti di Roberto De Simone, è il 1976. Portata in scena con la Nuova Compagnia di Canto Popolare di cui il maestro napoletano è all’epoca guida e componente, l’opera trova allora fra i suoi interpreti Isa Danieli, Peppe e Concetta Barra, Antonella Morea. Fra dialoghi e detti, motti e preghiere, fra composizioni “colte” e tammurriate, moresche e villanelle, la messinscena è una sapiente, esteticamente efficace e per l’epoca rivoluzionaria orditura di inedito e ispirazione: nell’armonia letterale o figurata, canonica o illegittima la matrice sonora è cardine del disciplinamento sia della parola (verso o prosa) sia della musica (esecuzione o partitura); l’azione scenica e il contesto spaziale diventano gesto e affresco; la vicenda è tratta dall’originale come una desunzione, un pretesto, piuttosto che una pedissequa restituzione.
Nato in un momento in cui gli studi demo-etno-antropologici e le pratiche oltre che le discipline dello spettacolo tutte conoscono un crescente grado di compenetrazione, il lavoro si offre tuttavia anche come episodio differenziale rispetto ad altri risultati più o meno coevi di tale tipo di tangenza. È il periodo del folk revival: il recupero del patrimonio della tradizione popolare soprattutto musicale avvenuto nei due decenni precedenti – secondo alcuni da restituire nella massima purezza possibile – ha portato la “reviviscenza politica” a identificarlo quale uno dei principali strumenti performativi per il rinnovamento e l’edificazione di una rinvigorita coscienza di classe. Faccende complesse che implicherebbero il doversi addentrare nell’approfondimento di pensieri e figure che qui non ci competono; basta considerare come la consapevolezza di De Simone – germinata pariteticamente tanto dalla formazione accademica quanto dagli studi e dalle ricerche sul campo (su usi e costumi della Campania) a interagire con la sua identità di “figlio d’arte” – lo abbia condotto fuori dal campo della semplice riproposizione e all’interno di quello della creazione vera e propria. In tale direzione il parallelo con Basile si realizza nel modo più compiuto, cioè per il processo e non per il prodotto, una fusione artistica tra reperimento delle fonti e invenzione.
Stesso discorso, seppure con le opportune differenze, potremmo fare oggi pensando a un film di animazione presentato nella sezione Orizzonti della scorsa edizione della Mostra del cinema di Venezia. Con la regia di Alessandro Rak, Marino Guarnieri, Ivan Cappiello e Dario Sansone, Gatta Cenerentola è l’ultimo risultato della casa di produzione partenopea Mad Entertainement, la stessa con cui quattro anni fa Rak si era fatto conoscere per L’arte della felicità. Il lungometraggio (doppiato da Alessandro Gassmann, Massimiliano Gallo, Maria Pia Calzone, Renato Carpentieri, Mariano Rigillo fra gli altri), messo a punto attraverso l’implemento della tecnologia 3D renderizzata in modo da riavvicinarsi al 2D non senza una intellegibile filiazione dall’universo del disegno puro e del fumetto, traspone la vicenda in una Napoli contemporanea, o forse è più corretto dire post-contemporanea, all’interno di un tessuto urbano avveniristico e decadente, alchimia riuscita nonostante l’apparente ossimoro dei termini.
Scenario identico, scenario completamente diverso: come quella di Basile e quella di De Simone, la cenerentola odierna è figura narrativa senza tempo eppure del suo tempo, una cenerentola metastorica come direbbe il maestro e compositore partenopeo. Boss della mala internazionale, avvocati compiacenti, sbirri e proiezioni hanno sostituito il “monaciello”, il rosario sconsacrante, le lavandaie, la zingara, ma di nuovo dimensione colta e popolare, narrazione e drammatizzazione, eloquio e musica si incontrano nel seno della fiaba, raffinata e volgare nell’accezione etimologica. Le moresche, le tammurriate e i madrigali, sono oggi pezzi e canzoni di quella scena napoletana che sta conoscendo una ventata di fermento, unione e collaborazione che non si vedeva almeno da trent’anni: Antonio Fresa e Luigi Scialdone hanno confermato la dimensione musicale non come un contrappunto, un intermezzo, ma come un cardine caratteriale imprescindibile, grazie alla collaborazione con Enzo Gragnaniello, Guappecartò, Ilaria Graziano e Francesco Forni, I virtuosi di San Martino, Francesco Di Bella.
Tra il pulp, la fantascienza e la tradizione, la favola diventa ancora una volta concrezione degli schemi, dei miti e dei falsi miti, delle dinamiche del suo microcosmo e del mondo tout court, quello dove magari i cattivi sono cattivi e i buoni sono eroi, ma anche – come per i due precedenti – dove finalmente giusto e sbagliato sono concetti derivati da dinamiche ultra-umane: affetto, risentimento, invidia, debolezza, devozione, volontà, rivalsa, resa. Tutto corredato da una dose di prodigio.
Ci è capitato di sentir dire di recente (nel Making of del film realizzato da Optima Italia) che La Gatta Cenerentola è una dichiarazione d’amore per Napoli. Per quanto presentissimo sia l’amore in tutte le sue forme, nell’idioma napoletano l’espressione “ti amo” non esiste, esiste “te voglio bene” che poi è facilmente utilizzabile per indicare anche un affetto generico, amicale, genitoriale, fraterno. È necessario adeguarsi allora, declinare mille volte, arrampicarsi sui significati, svettare sui suoni, rimare sulle parole. Perché forse ci sono amori che restano sullo sfondo, che si dichiarano in altre lingue di altre terre semplicemente dicendo “ti amo”, e poi c’è “l’ammore” al singolare. A voce alta o graffiata, melodiosa o acuta, una passione che si sa troppo senza sapersi mai fino in fondo, costretta a cercare di compensare quella mancanza attraversando i secoli, appropriandosi della loro arte.
Marianna Masselli
GATTA CENERENTOLA
durata 86 min
genere animazione
regia Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone
soggetto Ivan Cappiello, Marco Galli
sceneggiatura Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone, Marianna Garofalo, Corrado Morra, Italo Scialdone
produttore Luciano Stella, Maria Carolina Terzi, Mario Luchetti
casa di produzione Mad Entertainment, Big Sur, Sky Dancers, Tramp Ltd, O’ Groove, Rai Cinema, MiBACT
distribuzione (Italia) Videa
montaggio Alessandro Rak, Marino Guarnieri
effetti speciali Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone, Annarita Calligaris, Corrado Piscitelli, Laura Sammati, Ivana Verze
musiche Antonio Fresa, Luigi Scialdone
art director Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone
animatori Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone, Annarita Calligaris, Corrado Piscitelli, Laura Sammati, Ivana Verze, Antonia Emanuela Angrisani, Barbara Ciardo, Danilo Florio