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Regia, parola, utopia. A Santacristina, per Luca Ronconi

Al Centro Teatrale Santacristina, diretto da Roberta Carlotto, si sono svolte dal 30 agosto all’1 settembre 2017 tre giornate di studi dedicate al maestro Luca Ronconi. Un resoconto dei temi e degli interventi.

Foto Ufficio Stampa
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Rigore e maestria. Queste potrebbero essere le due principali parole chiave emerse dai lavori che hanno animato i tre intensi giorni dedicati a Luca Ronconi, alla sua arte e a tutti coloro che nel corso della propria vita lo hanno incontrato, professionalmente e personalmente. A due anni dalla scomparsa del maestro, presso il Centro Teatrale Santacristina, residenza umbra fondata dallo stesso regista nel 2005 e dedicata allo studio del teatro e all’alta formazione degli attori, sono state organizzate tre giornate di studi dal titolo Regia, Parola, Utopia per ricordare e per mettere sotto la lente d’ingrandimento del presente il teatro di Ronconi e l’arte dei suoi interpreti. Nel corso delle sessioni di lavoro, curate dalla direttrice di Santacristina Roberta Carlotto con Graziano GrazianiSergio Lo Gatto, Oliviero Ponte di Pino Elisa Ragni, diverse sono state le voci che hanno offerto il proprio sguardo sulla vasta teatrografia e sull’esperienza pedagogica e scenica del maestro. I tre giorni sono stati costruiti su un’architettura fatta di tre assi portanti che riguardano, ognuna, grandi questioni del teatro di Luca Ronconi: la regia, la parola e l’utopia.

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In apertura, a seguito di un intervento di Claudio Longhi sui metodi e “non-metodi” della regia ronconiana, il regista tedesco Peter Stein in dialogo con Sergio Lo Gatto ha posto l’accento sull’egemonica centralità del testo e sull’opportunità di avvicinarlo secondo quello che si potrebbe quasi definire un “estremismo filologico”: un esercizio talmente preciso di interpretazione dei segni narrativi tale da rendere possibile una resa drammaturgica così come l’autore l’avrebbe immaginata e voluta. Da questa prospettiva, la storia del lavoro di Ronconi sui testi teatrali appare allora come una storia di felici slittamenti interpretativi, tesi a scendere sempre di più all’interno delle narrazioni e dei personaggi fino a rendere, non esatti in senso stretto, ma sfumati e non più percorribili i contorni presupposti dell’autore, ormai lontano. Eppure, così facendo l’autore non è lontano in quanto “tradito” dalla regia, ma lontano in quanto “magnificato” da un lavoro approfondito di osservazione e di analisi in grado di elevare il testo a un livello che, per sua natura, l’autore stesso non può (forse?) raggiungere. Così, e anche attraverso l’analisi delle sue regie d’opera di cui hanno parlato Cesare Mazzonis, Jacopo Pellegrini, Emilio Sala, Susanne Stewart-Steinberg e Anna Tedesco l’arte di Ronconi può aver avuto la funzione non di una semplice lente d’ingrandimento del testo teatrale o musicale, ma di un potente telescopio puntato verso ciò che si trova al di là dell’atmosfera in cui vive il testo stesso e lo sguardo umano che lo legge, uno sguardo orientato verso ciò che ancora non si conosce al suo interno, verso il possibile ignoto.

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Nel complesso degli interventi, le memorie degli attori e delle attrici che hanno lavorato con il maestro, hanno probabilmente rappresentato la materia più emotiva emersa dal convegno e a partire dalla quale è possibile considerare e conoscere in profondità il percorso di questo grande uomo di teatro del Novecento che nella memoria si staglia in un modo che un’espressione del linguaggio comune riesce a rendere perfettamente: severo, ma giusto. Paola Bacci, Massimo de Francovich, Manuela Mandracchia, Franca Nuti e Massimo Popolizio ci hanno permesso di ascoltare le parole esatte con cui ogni artista ha vissuto, e ora ricorda, l’impatto di Ronconi sulla propria vita. Attraverso aneddoti e micromemorie, questa sezione delle giornate di studi ha permesso di osservare la costanza dell’urgenza che ha animato il teatro del maestro.

Tra i contributi degli attori, quello della giovane Lucrezia Guidone – protagonista nel ruolo della figliastra in In cerca d’autore. Studio sui “Sei personaggi” premiata con un premio Ubu nel 2012 per questo stesso spettacolo prodotto dal Centro Teatrale Santacristina e dall’Accademia Nazionale Silvio d’Amico con gli allievi diplomati nel 2010 e 2011 – ha raccontato proprio di quel momento fondamentale che è stato il passaggio dalla scuola alla professione d’attrice vera e propria. Nel lavoro con Luca Ronconi – ha affermato l’attrice pesarese – «l’unica differenza tra la scuola e la scena del Piccolo di Milano è stata nel ritmo del lavoro stesso e nel tempo entro il quale mi è stato richiesto di essere pronta per quello che dovevo fare».

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In generale, la memoria collettiva di coloro che hanno lavorato con Ronconi illumina una particolare postura professionale, rigorosa e cristallina, che instaura una profonda complicità con il testo e con la scena attraverso una totale messa a disposizione che coinvolge interamente anima e corpo. E se in un certo senso potrebbe sembrare che l’esperienza teatrale di Ronconi sia, appunto, priva di un vero e proprio discorso sul corpo, quel corpo che tra l’altro è così centrale nella ricerca e nello studio del teatro contemporaneo, è necessario probabilmente  riformulare l’approccio per comprendere meglio l’estensione del potere del testo e, allo stesso tempo, di quello del corpo.

Possiamo provare a porre al centro del discorso su Ronconi il corpo, dunque, se facciamo il tentativo di considerarlo come il “luogo” di incarnazione del testo stesso; non una sovrapposizione tra persona e personaggio ma una vera e propria fusione, capace in alcuni casi di spingere addirittura l’organismo ai limiti di un’alterata percezione di sé sul palcoscenico come, tra l’altro, anche alcuni attori hanno raccontato di aver vissuto. Dalle parole degli attori e delle attrici si evincerebbe quindi come non una sola particella di quella che molti tra loro hanno definito anima sfuggisse al lavoro e allo sguardo di Ronconi; e se è vero che la separazione tra anima e corpo, tra sostanza e forma, è stata ormai superata dalla filosofia quantistica, noi comuni mortali possiamo tentare – o ardire – di comprendere meglio l’estensione delle rivoluzioni, anche di quelle scientifiche, proprio attraverso il teatro. Per esempio, possiamo fare il tentativo di pensare agli interpreti di Luca Ronconi come a dei corpi-testo, nuclei di energia teatrale in grado di emanare la luce più profonda dei personaggi proprio per l’indissolubile associazione tra corpo-anima e corpo-testo, che ognuno di loro rappresenta e mette in gioco.

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Spesso accade, quando i grandi maestri lasciano questo mondo, che chi rimane si trovi in qualche modo a dover fare i conti con un futuro fatto di “ciò che resta”. Tuttavia, l’esperienza del Centro Teatrale Santacristina sta orientando questi primi passi dell’era post-Ronconi secondo traiettorie già segnate dal maestro, certamente, ma anche secondo prospettive che si auspica possano chiarirsi passo dopo passo grazie al lavoro di tutti coloro che rinnovano il lavoro di Ronconi nel proprio quotidiano, non (solo) come eredità da proteggere, ma come una questione da mantenere sempre viva.

Nella prova aperta di mercoledì 30 agosto, inoltre, dieci giovani attori guidati da Luca Bargagna e Giorgio Sangati hanno restituito al pubblico, con le proprie fragilità e i propri punti di forza, il senso profondo dello stare insieme di un gruppo di persone tanto vario come quello accorso a Santacristina: ad accomunare artisti, critici, operatori, studiosi, studenti e spettatori del teatro è quella condizione per cui si vive costantemente sul ciglio di un punto interrogativo, calciando sempre un po’ più avanti, ogni volta che si può, il peso definitivo della certezza.

Gaia Clotilde Chernetich

Centro Teatrale Santacristina, settembre 2017

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Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell'Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l'Université Paris3 - La Sorbonne Nouvelle e l'Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull'estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.

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