Al Teatro Secci per Terni Festival 2017 è andato in scena in prima nazionale Luciano, la nuova creazione ideata e diretta da Danio Manfredini. Recensione.
Identità perdute, sciolte in frasi che si interrompono, che ricominciano, ormai rassegnate a non risolversi mai; scene scarne e però evocative, un disegno luci pastoso e ambiguo, come in continua indecisione tra tagli netti e un piazzato sfumato; le inquietanti maschere di lattice, che disegnano sul volto degli attori un presagio di morte.
Con la sua nuova creazione, Luciano, Danio Manfredini sottolinea con cruda veemenza certi tratti ormai emblematici del suo fare teatro, un passaggio in arte elegante e insieme graffiante, un gesto attento a ogni millimetro di movimento, una vocalità biascicata e profonda. Tornano i tratti dei suoi personaggi “ultimi”, precipitati nei bassifondi di vite piccole e meschine; nel meticoloso ritratto della follia (tra la semantica inconcludente dei discorsi maniacali e la surreale ironia), tornano gli angoli di strada pullulanti di prostitute e prostituti, torna la crisi di astinenza che fa tremare gli arti, tornano le marchette nei bagni pubblici, le telefonate insensate e forse in tutto e per tutto simulate.
Manfredini riesce a evocare un universo intero lasciando solo al protagonista, Luciano (di cui si ritaglia il ruolo), il privilegio vergognoso di avere un volto con espressioni facciali, cancellando quelle di tutti gli altri (un cast interamente maschile) in un continuo slittamento da uomo ad animale; solo Luciano ha la voce libera dalla maschera, potrebbe essere il più vero e forse lo è, come se le altre presenze fossero proiezioni momentanee di una mente che ha perso capacità o voglia di raccogliere un senso delle azioni.
Di questo nuovo lavoro, andando al di là dei caratteri ormai fissati dentro l’immaginario di questo artista, colpisce la visione generale, il modo fluido con cui una scena sanguina dentro l’altra. Un tappeto sonoro ospita frasi pre-registrate, in una linea di narrazione interna sommessa e severa, quasi un appunto sul taccuino di un poeta dimenticato; i gesti attentamente curati e una sapiente gestione dei corpi sul palco riescono a ricostruire – la potenza delle storie scritta sull’aggressività delle immagini – la sintesi ferale di un vissuto che non ha più timone, i passaggi logici di una solitudine resa ancora più invincibile dal fatto che quasi mai il protagonista è solo, sempre circondato da fantasmi.
Proprio a fantasmi e apparizioni è dedicata la scena finale, una dichiarata quanto rischiosa citazione della musica e della danza di Cafè Müller di Pina Bausch, quasi un re-enactment assorbito dalla drammaturgia complessiva, che sembra giungere lì per saturazione delle immagini. Mentre assiste alla straniante messinscena di un matrimonio, con la sposa che accenna i passi del capolavoro del Tanztheater Wuppertal, Luciano disegna lentamente una passeggiata circolare, trascinando sulle sue ruote un elefante di pezza, abbandonato infine in proscenio, prima che questo incubo scompaia nel buio.
Sergio Lo Gatto
Teatro Secci, Terni – Terni Festival 2017
LUCIANO
ideazione e regia Danio Manfredini
con Danio Manfredini, Vincenzo Del Prete, Ivano Bruner, Giuseppe Semeraro, Cristian Conti
aiuto regia Vincenzo del Prete
ideazione scene e maschere Danio Manfredini
realizzazione elementi di scena Rinaldo Rinaldi, Andrea Muriani, Francesca Paltrinieri
disegno luci Luigi Biondi
fonico Francesco Forni
produzione La Corte Ospitale
coproduzione Associazione Gli Scarti, Armunia centro di residenze artistiche Castiglioncello – Festival Inequilibrio
un ringraziamento a Paola Ricci, Cristina Pavarotti, Massimo Neri