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Il mercante di Venezia. Non proprio una Belle Epoque

Il mercante di Venezia visto al Globe Theatre di Roma, con la regia di Loredana Scaramella, è ambientato senza troppe giustificazioni nei primi anni del secolo scorso. Recensione

Foto Marco Borrelli

La prima scena dell’atto IV del Mercante di Venezia è una delle più violente saltata fuori dalla penna di William Shakespeare, lo è non perché Shylock è sul punto di cavar via una libbra di carne dal petto di Antonio senza nessun freno di pietà: la violenza ai lettori/spettatori di oggi dovrebbe apparire nel modo in cui si capovolgono gli avvenimenti. Porzia, travestita da giovane e accreditato dottore di legge, scova dei cavilli nel celebre contratto e nella legge della Serenissima per i quali l’ebreo è costretto ad abbandonare i suoi propositi di sangue e così accettare la messa alla berlina e la perdita del patrimonio accumulato in una vita. Quella dei mercanti veneziani è una vendetta che non fa prigionieri e si rivolge contro lo “straniero”: la vera colpevolezza dello spietato affarista è lo status razziale, in virtù del quale la legge che prima era a suo favore si fa improvvisamente sfavorevole.

Foto Marco Borrelli

E nella lotta tra due capitalismi – quello basato sull’accumulo delle liquidità finanziarie da far fruttare a strozzo e quello moderno rappresentato dal rischioso commercio in mare – assistiamo alla vittoria morale del secondo, benedetto dall’etica cattolica. Questa penultima scena, nel lavoro diretto da Loredana Scaramella (anche autrice della traduzione) e visto al Globe Theatre di Roma, ha il proprio acme nel momento in cui Antonio mostra la croce a Shylock; nel palco sgombro di oggetti e scenografie i personaggi guardano alla scena col groppo in gola. A far da guardia al processo anche una sorta di carabiniere in divisa primo Novecento. Quella vista al Globe è un’opaca ambientazione di inizio secolo, per la quale i veneziani se ne stanno chiusi in giacche e pantaloni su misura e tutti con un bastone a portata di mano pronto ad essere puntato lì dove c’è bisogno di enfasi. Non emerge molto altro nella lettura di Scaramella di quel Secolo breve che di lì a poco si sarebbe infuocato di guerre e crisi economiche. Ma se la messinscena non mostra altri contatti con la recente modernità perché allora forzare questa congiuntura? Verrebbe da rispondere che purtroppo questa è la sciatta abitudine di un certo teatro di cassetta, il quale proprio non sembra aver voglia di porsi alcune questioni, di rispondere alle domande che un testo come quello di Shakespeare dischiude anche alla nostra epoca.

Foto Marco Borrelli

È un peccato perché Scaramella invece dirige bene le scene di gruppo e quelle comiche, ha buona mano quando si tratta di far festa – importante l’apporto musicale dal vivo del Trio William Kemp che ravviva anche l’intervallo. La regia non sembra esaltare neanche le prove  degli attori: se Shylock (Carlo Ragone) è l’unico, a tratti, a non cadere nel tranello delle linee melodiche preconfenzionate e dunque nella monotonia priva di sorpresa, è la prevedibilità il segno distintivo soprattutto dei ruoli principali, compresi il debole Bassanio di Mauro Santopietro, l’Antonio senza guizzi di Fausto Cabra e una Porzia recitata da Sara Putignano, alla quale non basta il talento e un timbro vocale adamantino. Si salvano l’incalzante Solanio (Michele Baronio) e il Lancillotto di Federico Tolardo, portentoso quest’ultimo in almeno un paio di performance in cui dà mostra di tecniche mimiche e vocali ad effetto, così come il divertente caratterista Paolo Giangrasso nei panni del principe del Marocco.

Nelle note di sala la regista parla di «Belle Epoque di fantasia, dal sapore proustiano», ma con questo gioco interpretativo che non scalfisce la superficie del testo qualsiasi ambientazione storica è sovrapponibile e al pubblico non rimane che applaudire; senza domandarsi neanche perché, in pieno Novecento, un carabiniere della Repubblica sia di guardia a un processo nel quale la contropartita di uno strozzino è una libbra di carne umana.

Andrea Pocosgnich

Globe Theatre, Roma, Settembre 2017

Il mercante di Venezia
REGIA di Loredana Scaramella
Interpreti
(in ordine alfabetico)
MICHELE BARONIO
FAUSTO CABRA
MIMOSA CAMPIRONI
DIEGO FACCIOTTI
PAOLO GIANGRASSO
Tubal, Doge, Gobbo ROBERTO MANTOVANI
IVAN OLIVIERI
LOREDANA PIEDIMONTE
SARA PUTIGNANO
CARLO RAGONE

MAURO SANTOPIETRO
ANTONIO SAPIO
ANTONIO TINTIS
FEDERICO TOLARDO

MUSICHE ESEGUITE DAL VIVO DAL
Trio William Kemp
Adriano Dragotta (Violino), Lorenzo Perracino (Sassofoni), Franco Tinto (Chitarra)

AIUTO REGIA Ivan Olivieri e Francesca Cioci
COSTUMI Susanna Proietti
MOVIMENTI DI SCENA Alberto Bellandi
MUSICHE a cura di Stefano Fresi
DISEGNO LUCI Umile Vaineri
PROGETTO FONICO Franco Patimo
CONSULENZA TANGO Roberto Ricciuti

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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