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I Teatri della Cupa: la valle, le arti, la scena

I Teatri della Cupa – Festival del teatro e delle arti nella Valle della Cupa è giunto alla sua terza edizione, svoltasi tra la fine di luglio e l’inizio dello scorso agosto. Il racconto e una panoramica su alcuni degli spettacoli in rassegna.

Foto di Eliana Manca

Caldo e silenzio. Così ci accoglie Novoli, piccolo paesino di circa ottomila anime in provincia di Lecce. Una canicola alta e cocente a illuminare la piazza ci esorta a rincasare al fresco per poi riuscire nel tardo pomeriggio. Nella calma serale di provincia, il centro di Novoli si anima per I Teatri della Cupa, Festival del Teatro e delle arti nella Valle della Cupa giunto al suo terzo anno, nato dalla residenza artistica delle due compagnie Factory e Principio Attivo Teatro. Diretto da Tonio De Nitto e Raffaella Romano con il sostegno del Teatro Pubblico Pugliese, il festival anche quest’anno – e nonostante le problematiche relative alle politiche culturali della Regione Puglia – coinvolge le cittadine di Novoli e Campi Salentina per una cinque giorni dedicata alla drammaturgia contemporanea di respiro nazionale e regionale. Il Teatro Comunale e il Palazzo Baronale di Novoli sono abitati dagli artisti e da una folta folla di spettatori novolesi e operatori teatrali.

Foto di Eliana Manca

Le mura verde acceso sormontate dagli archi a righe bianche e nere ci accolgono nelle sale del Palazzo Baronale, spazio che negli anni passati ha accolto inoltre un’installazione dell’artista Jannis Kounellis. Nelle sale ristrutturate le cui pareti portano ancora i segni del tempo, assistiamo a H24 _ Acasâ, premio finalista Cassino Off 2016, un progetto collaborativo sulle donne migranti e prima produzione della barese Compagnia Acasă. Lo spettacolo itinerante che attraversa le stanze del palazzo è costituito da sei monologhi, ciascuno studiato autonomamente dalle autrici e attrici e nato dalle interviste fatte a donne migranti venute in Italia per ricoprire quel ruolo di cura alla persona e alla casa. Tempo sospeso di Belen Duarte con Maristella Tanzi, La vita è un diamante nero di e con Arianna Gambaccini, Strika di Marialuisa Longo con Barbara Grilli, Petra di Valeria Simone con Adriana Gallo, Altrove di e con Annabella Tedone: sono i tempi distinti di questo racconto poi cucito insieme dalla drammaturgia di Valeria Simone. Notevole e accurato è tanto l’utilizzo degli spazi quanto l’approccio, sensibile, di indagare una simile tematica; tuttavia in alcuni passaggi il lavoro sembra scontare purtroppo un’eccessiva drammaticità, tanto da farlo cadere nella retorica sociale e di genere. Intelligente scrittura e sottile invettiva si riscontrano nel monologo di Arianna Gambaccini (La vita è un diamante nero) che inscenando un processo in tribunale riesce ad affrontare con alternanza linguistica (italiano/accento rumeno) la disparità di punti di vista tra il personaggio della badante e il luogo comune dell’accusa.

Foto di Eliana Manca

Scendiamo poi nell’atrio del Palazzo Baronale per La Scuola non serve a nulla di e con Antonello Taurino e scritto insieme a Carlo Turati. Taurino porta in scena la sua esperienza di docente delle scuole medie in un lungo, forse troppo, monologo che attraverso una espressività buffonesca e riottosa propone agli “alunni spettatori” un esilarante confronto tra la scuola di prima e la Buona Scuola voluta da Renzi. Mancante di un’attenzione registica e drammaturgica che potrebbe calibrare con più precisione sia la durata complessiva che la densità del testo, il lavoro possiede tuttavia degli spunti tragicomici curiosi che sul trasporto della risata spingono alla riflessione. La spiegazione “multietnica” dei Promessi Sposi fatta in modi distinti per farla comprendere ai ragazzi di provenienza rom, indiana, araba, africana è, insieme ai sonetti filosofici cantati come brani rap, la dimostrazione di una giocosa e versatile scrittura che stupisce sia per originalità creativa che per attenzione alle dinamiche relazionali tra docente e alunno, le quali necessitano sempre di reinventarsi e che, nonostante tutto, sopravvivono agli errori ministeriali.

Foto Eliana Manca
Foto Eliana Manca

Nella piazza invece, luogo di raccordo, incontro e confronto pre e post spettacolo, agorà del reflusso umano che abita e vive della e nella rassegna, trova il suo luogo destinato e quasi naturale Naufraghi per scelta – Uno spettacolo di teatro su filo teso di Giovanni Dispenza con Los Filonautas. La coppia composta da Valentin Hecker e Soledad Prieto, rispettivamente il marinaio Silver e Capitan Fiore, condensa su un filo a 1,80 m da terra, fra corde, boe, valigie di alluminio, fazzoletti di saluto, cannocchiali e pedane in legno, l’avverarsi di un viaggio che incontra per elezione l’attenzione dei bambini, ma pure quella di astanti e spettatori adulti. Funambolismo metaforico e letterale di un viaggio, una navigazione senza tempo e in tutti i tempi possibili il cui senso ultimo è all’occorrenza “tornare nello stesso luogo, ma sentirsi diversi”. La performance mira a fondere acrobatica e tecniche circensi con meccanismi e pratiche più strettamente teatrali, all’interno di una dimensione performativa che ha come pregi maggiori l’esperimento dello spazio quale luogo del movimento in ogni sua declinazione, e un utilizzo degli oggetti scenici che seppur chiaro ai limiti della didascalia, risulta univoco e non pretenzioso.

Foto Eliana Manca
Foto Eliana Manca

Tonio De Nitto firma la regia di Diario di un brutto anatroccolo di Factory compagnia trans adriatica e Tir Danza in scena all’interno del Teatro comunale. Partendo dal racconto di Andersen la narrazione si snoda per episodi, tappe vere e proprie che ripercorrono i punti nodali di un processo di accettazione e appropriazione identitaria fra riconoscimento e diversità. Nella serie di quadri, titolati al fondo attraverso proiezioni filtrate da un velatino, si inanellano implacabili e aggraziati nello stesso tempo la prima infanzia, la scuola e l’esclusione sfociata nel bullismo, il complicato approccio al lavoro, l’innamoramento e la relativa delusione, la guerra, l’indifferenza della società liquida nel tessuto urbano, fino all’auto-riconoscimento con conseguente “rinascita” individuale. I quattro interpreti quindi assolvono con coscienza la tenitura di un complesso espressivo che azzera sostanzialmente l’uso della vocalità intesa come lemma, parola canonica, in favore della fonesi, di un suono tutt’al più sillabico a tratti, denunciando pure una ricerca estetica nella costruzione dell’impatto visivo nell’immagine scenica. L’elemento principale sembra cercarsi nella capacità semantica del corpo in palcoscenico, qui commistione di dinamiche motorie propriamente coreutiche, mimo e gesto teatrale. Tutto inserito all’interno di un sistema comunicativo volto ad equilibrare una certa crudeltà e una certa ironia, consegnando una sensazione dominante che nel complesso altresì non sapremmo definire se non tenerezza, complice quel dubbio di induzione alla “sospensione del giudizio” rincorrente la presenza della disabilità in scena, invero minore nel caso specifico.

Foto Eliana Manca
Foto Eliana Manca

Vincitore dei Teatri del Sacro 2017, Giobbe – storia di un uomo semplice è adattamento di Francesco Niccolini – anche regista – dell’omonimo romanzo di Joseph Roth. Il racconto, affidato a Roberto Anglisani, è monologo ove si dipana la vicenda del timorato Mendel Singer, insegnante di Bibbia per bambini in un paese della Russia di oltre un secolo addietro. La moglie, i quattro figli – uno dei quali affetto da malattie e difformità gravissime destinate a risolversi sorprendentemente –, la guerra, l’emigrazione verso gli Stati Uniti, le morti, una serie di sentimenti e avvenimenti lunga decenni passano per la voce sola dell’interprete tra prima e terza persona, con sporadiche e veniali incertezze. Pantaloni e gilet neri, maniche di camicia bianca, una sedia è il suo unico supporto sul palco nudo all’interno dell’atrio del Palazzo Baronale, ad Anglisani è affidata una scrittura pregevole, ordita con perizia, cui alcune “protrazioni” e rendicontazioni interiori paiono non del tutto necessarie nell’economia fuori dal libro e dentro la rappresentazione, o forse scrittura corposa e impegnativa al punto da affaticare a tratti l’attenzione al terzo spettacolo e a fine serata.

Se nei mesi invernali l’evento culturale più importante si concentra intorno ai festeggiamenti per il patrono Sant’Antonio Abate che si concludono con la Fòcara – enorme falò di tralci di vite – a richiamare migliaia di persone, è durante il periodo estivo che I Teatri della Cupa offre alla cittadina un momento di attenzione ai linguaggi della scena fungendo da ponte alla stagione teatrale del piccolo Teatro Comunale, fino a qualche anno fa dimenticato e ora abitato durante tutto l’anno dalle due residenze ideatrici del festival.

Lucia Medri e Marianna Masselli

H24 _ ACASÂ
ideatrice e drammaturgia Valeria Simone
di Valeria Simone, Arianna Gambaccini, Annabella Tedone, Marialuisa Longo, Belen Duarte
con Adriana Gallo, Arianna Gambaccini, Annabella Tedone, Barbara Grilli, Maristella Tanzi

LA SCUOLA NON SERVE A NULLA
di e con Antonello Taurino
scritto con Carlo Turati

NAUFRAGHI PER SCELTA – UNO SPETTACOLO DI TEATRO SU FILO TESO
uno spettacolo di Giovanni Dispenza
con Valentin Hecker e Soledad Prieto

DIARIO DI UN BRUTTO ANATROCCOLO
con Ilaria Carlucci, Fabio Tinella, Luca Pastore, Francesca De Pasquale
regia Tonio De Nitto
collaborazione al movimento coreografico Annamaria De Filippi
scene Roberta Dori Puddu
costumi Lapi Lou
musiche originali Paolo Coletta
luci Davide Arsenio
produzione Factory compagnia trans adriatica, Tir Danza

GIOBBE – STORIA DI UN UOMO SEMPLICE
adattamento Francesco Niccolini
dal romanzo di Joseph Roth
consulenza letteraria e storica Jacopo Manna
con Roberto Anglisani
regia Francesco Niccolini
distribuzione Teatro d’Aosta
con la collaborazione di Festival Montagne Racconta, Festival Collinarea

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