Il Festival Internazionale di Andria Castel dei Mondi è giunto alla sua ventunesima edizione dal titolo #ILPENSIERODELLACITTÀ sotto la direzione artistica di Riccardo Carbutti. Una panoramica della serata di apertura.
Terra di Puglia: fra gli ulivi che sacri si rincorrono cambiando forma, varietà, suolo e riflessi si arriva in seno alla regione. Nell’antro delle Murge, nell’affastellarsi di lastroni chiari, chiese, campanili e cattedrali gloriose che del tempo che fu portano i fregi e l’orgoglio non sempre difeso, c’è Andria, polo di un trittico provinciale, incontestabile e prediletto avamposto federiciano dove alberga ancora, su un’altura poco decentrata, un portento ottagonale di mistero e armonia, marmi e pietra, quel Castel del Monte conosciuto e riconosciuto nel mondo come un simbolo. Sul confine tra conservazione delle connotazioni territoriali e una più recente tensione allo “svago borghese”, la vitale cittadina è sede di uno dei festival più accreditati della stagione estiva, giunto alla sua ventunesima edizione, sorta di compensazione dell’assenza di uno spazio e di una programmazione teatrali nei restanti periodi dell’anno. Il Festival Internazionale di Andria Castel dei Mondi si conferma sotto la direzione di Riccardo Carbutti, volto a mantenere un profilo progettuale la cui gittata coniughi il sostegno e l’accoglienza alle realtà della scena e dell’arte locali con la restituzione di realtà contemporanee internazionali, tra performance dal vivo di varia natura, installazioni e musica. Titolata #ILPENSIERODELLACITTÀ la programmazione, che gode pure di una strutturata rendita partecipativa, beneficia invero di una adesione di pubblico trasversale, quasi atipica per copiosità e minoranza di addetti ai lavori, che irrora il tessuto urbano non solo quindi per la presenza oggettiva e diversificata della popolazione, ma anche attraverso l’utilizzo di spazi a lungo poco o nulla considerati.
Facendosi largo tra la folla che riempie le strade e attraversando i rumori di una serata di fine estate, si raggiunge Piazza Catuma la quale è occupata da un’enorme struttura architettonica osservata da una moltitudine di potenziali spettatori che, anche distrattamente come passanti casuali, prenderanno parte alla prima nazionale di BoO della compagnia francese CirkVost. Abbandonato lo chapiteau, l’ensemble costruisce – nei quattro giorni precedenti al debutto – un’installazione di 368 bambù legati tra loro da circa duemila corde, occupando la superficie del luogo ospitante per seicento metri quadrati. Come si può leggere dalla scheda di presentazione, per CirkVost la fase stessa di montaggio e lo stanziamento di questo colosso all’interno della città, è già di per sé intrattenimento spettacolare: si organizzano aperitivi al di sotto della struttura, visite e arrampicate, pic nic e laboratori di lavorazione del bambù. Sfilando con abiti borghesi, i nove trapezisti (Benoit Belleville, Sébastien Bruas, Arno Cabochette, Théo Dubray, Océane Peillet, Jean Pellegrini, Tiziana Prota, Elie Rauzier e Cécile Yvinec) entrano nella piazza salutando il pubblico per poi risalire lungo la struttura e, arrivando in cima, comporre una sorta di fermo immagine di una comunità condannata a sciogliersi nel salto aereo e acrobatico. Chiusi al suo interno, il numero esiguo degli artisti sembra disperdersi nella grandezza della costruzione che si trasforma in una fortezza in cui tra salti, volteggi, tuffi nel vuoto, quella società presentata all’inizio si annulla nel suo disfacimento, nella perdita di equilibrio e nella caduta. Privi di una drammaturgia che li sostiene e modula in partiture, i movimenti finiscono per cedere alla ripetizione acrobatica, la quale dopo la meraviglia del primo volteggio suscita negli spettatori, anche nei più piccoli seduti nelle prime file col naso all’insù, noia e distrazione. A un lato della struttura, come in una nicchia separata, il musicista chitarrista Johann Candoré accompagna con suoni elettronici eseguiti dal vivo ma con base registrata la débacle di questa borghesia decadente, non riuscendo tuttavia ad imprimere un segno scenico determinante, come dovrebbe esserlo invece la musica live nella dimensione dello spettacolo circense. Il mikado gigante di CirkVost sembrerebbe dunque non dialogare fattivamente con la piazza di Andria: l’installazione di per sé finisce per occupare lo spazio fisico del luogo senza però riuscire a inserirsi nel tessuto urbano, e la stessa performance acrobatica risulta manchevole di uno spessore artistico drammaturgico.
Nel cortile del Palazzo Ducale si assiste a Caligola-Tratto da Albert Camus per la direzione di Michele Sinisi. Presentata come una prima nazionale in coproduzione con il festival, la messinscena è in realtà frutto di un laboratorio di circa venti giorni condotto dall’artista pugliese insieme a una abbondante dozzina di giovani attori professionisti, incipit/punto di partenza per “scremature” e ulteriori definizioni necessarie all’eventuale proposizione in sale e su palcoscenici. Un’arena di interpreti – alcuni più coscienti di altri della propria presenza – si avvicendano al centro dello spazio dando forma, corpo e voce a quadri scivolanti con un buon ritmo gli uni negli altri, intervallati dall’utilizzo di una fotocopiatrice qui macchina replicante di parole, occasionale patibolo e mezzo di diffusione del pensiero con alcuni guizzi drammatici e picchi visivi (l’ingresso di un’automobile sponsorizzata, la vestizione/ostensione dell’imperatore assurto alla santità con tanto di luminarie da festa di paese, lo show in conclusione in cui si distingue “la morte di Cesonia”). Il testo di Camus, complesso per argomentazioni e storia delle diverse stesure, data la tematica nodale del potere e delle sue dinamiche, sembra essere stato adoperato nel processo laboratoriale prima e in quello performativo poi come un reagente e come una mappa: reagente a contatto col quale lasciar scaturire l’interazione fra drammaturgia e identità creativa del gruppo di lavoro; mappa tramite la quale indagare tanto i meccanismi di forza e discernimento che governano la “riproducibilità tecnica” – per dirla con Walter Benjamin – in riferimento al “qui ed ora” teatrale, quanto l’ordine di idee riconducibile alla dimensione pratico-concettuale della rappresentazione e nello specifico dell’interpretazione tout-court.
Lucia Medri Marianna Masselli
Festival Internazionale di Andria Castel dei Mondi – agosto 2017
BOO
Trapezisti Benoit Belleville, Sébastien Bruas, Arno Cabochette, Théo Dubray, Océane Peillet, Jean Pellegrini, Tiziana Prota, Elie Rauzier and Cécile Yvinec
Riggers bambou : Yvan Bringard et Antoine Fressynet
Musicista Johann Candoré
Suono Maxime Leneyle
Luci Simon Delescluse
Regia generale e canto lirico Jan Naets
Regia Florent Bergal et CirkVOST
Assistente alla regia Eva Ordonez
Creazione musicale Antonin Chaplain et Nicolas Forge
Creazione luci Christophe Schaeffer, assisté de Simon Delescluse
Creazione costumi Florinda Donga, assistée d’Anaïs Clarté
Scenografia struttura Steve Robinson, Andy Mitchell et CirkVOST
CALIGOLA – tratto da Albert Camus
con Valentina Cardinali, Nicola Conversano, Diego Coscia, Alessandro Cosentini, Gianni D’Addario, Michela De Rossi, Christian Di Filippo, Francesca Gabucci, Marisa Grimaldo, Gianni Lomonte, Bruno Ricci, Giuseppe Scoditti, Feliciana Sibilano, Lorenzo Terenzi
con la partecipazione di Chiara Acquaro, Antonio Barchetta, Eleonora Bucci, Antonella Liso, Mariapia Memeo, Renato Tummolo.
scene Federico Biancalani
direzione Michele Sinisi
assistenti Marialuisa Bafunno e Monica Guglielmi
aiuto Federica Santoro, Fiora Blasi.
si ringrazia SIA – Andria