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Anna-Sophie Mahler. Mentre nulla accade, il mondo cambia

A Venezia, dalla Biennale Teatro 2017, i due lavori della regista tedesca Anna-Sophie Mahler si muovono tra il piacere della memoria e una lucida analisi dei nostri tempi.

Foto di Andrea Avezzù

Quella che si vede alla ribalta, spoglia del corpo, è la maschera di un Arlecchino, uno qualunque, o chiunque di noi? Lo spettacolo si toglie di dosso per un attimo i suoi personaggi, e ci lascia a guardare i visi grotteschi e inanimati che li abitano. È un momento di sospensione come se ne trovano molti nei lavori di Anna-Sophie Mahler; pause, o per lo più assestamenti, eloquenti penombre maturate nell’atmosfera rarefatta delle sue creazioni dove stiamo a osservare mentre sembra non accadere nulla. Nel frattempo il mondo è cambiato.

Per due giorni alla Biennale Teatro di Venezia è stata protagonista la regista tedesca – famosa nel suo paese, poco meno da noi – con due creazioni: Tristan oder Isolde. Ein pastiche e Alla fine del mare. Quest’anno il nuovo direttore artistico, Antonio Latella, esordisce con il primo respiro di un programma pluriennale che è molto ambizioso ma organico nel complesso. Con “Atto Primo: Regista” si pone l’attenzione non tanto sugli spettacoli, ma piuttosto sui processi creativi che risaltano attraverso le mini-personali di ogni artista: il piano sincronico si intreccia allora con la diacronia di un percorso che ha solleticato la curiosità archeologica degli spettatori attraversando i lavori del passato (quelli di Maria Grazia Cipriani ad esempio) e quelli più “giovani” di artiste meno conosciute, ma la cui fase creativa è in piena sperimentazione – come Suzan Boogaerdt e Bianca Van Der Schoot con Hideous Wo(men). Non è più, e solo, lo spettacolo l’unità di misura, ma è l’attraversamento delle opere che genera una visione più ampia. Le singole potenzialità del racconto si ampliano, e crescono quindi gli universi di senso. Gli spettatori, non più compressi nella ristretta dimensione temporale della singola opera approdano a una più grande narrazione dal respiro romanzesco. Ma non è solo il potere attrattivo della serialità (che oggi fa la fortuna di quella televisiva) che ha reso affollate le sale della Biennale Teatro. È la curiosità di saperne di più, quella che spingeva i pubblici del passato a seguire i grandi attori due, tre volte a settimana nelle sale teatrali. C’era allora la smania di rintracciare un filo rosso tra le opere, qualcosa che andasse oltre la linea drammaturgica del singolo spettacolo e ne creasse una nuova, più complessa.

Foto di Andrea Avezzù

È sembrato che questo abbia di certo aiutato la visione delle due creazioni della regista tedesca Anna-Sophie Mahler, giovane (se questo termine può avere ancora senso), fondatrice della compagnia CapriConnection e assistente regista per otto anni di Christoph Marthaler a Bayreuth per Tristan und Isolde. Il suo è quindi un teatro di chiara natura musicale, dove però le sottigliezze sonore dimostrano che bisogna davvero andarla a cercare, la musica, che non starà lì ad arredare le nostre consolazioni.

Lo spettacolo Tristan oder Isolde. Ein pastiche è del 2013 e arriva per la prima volta in Italia. Il racconto parte proprio da quell’esperienza autobiografica vissuta a Bayreuth, quando al termine degli otto anni di allestimento dell’opera, la scenografa Anna Viebrock suggerisce all’allora assistente regista Mahler di salvare parte della scenografia. Sono i resti che noi vediamo ora in scena: sedie, qualche sdraio, poltrone e divani. È davvero un’indagine archeologica attraverso archivi di una memoria teatrale, che spesso si perde al macero, alle volte si dimentica e più raramente si conserva.
La memoria e la ricezione dell’antico, sono anche il nervo di questa storia: cosa rimane dell’amore romantico di Tristano e Isotta, cosa sta a dirci quell’oder del titolo? Uno scambio di ruoli? E cosa possiamo farne noi di quello spirito languido dell’Ottocento? La risposta sembra essere sospesa, proprio come il famoso Tristanakkord, un accordo tensivo «che ti trascina in qualche cosa, dove alla fine ti chiedi, ma come faccio a venirne fuori?». È proprio la regista che con un accento ironico, e non aliena a comici espedienti teatrali di stampo “marthaleriano”, ci introduce nello spettacolo e sembra spingerci a prendere le questione come un gioco. Ma dell’aspetto ludico, però, perdiamo presto le tracce e ci ritroviamo a percorrere parte della tormentata biografia wagneriana, risucchiati poi dalle vicende di Tristano e Isotta, baluginando nei loro vortici d’amore.

Foto di Andrea Avezzù

Non sembra esserci trama, eppure l’opera ci sta richiedendo un’incredibile concentrazione, ci sta spingendo a occuparci del nostro tempo, perderlo e ritrovarlo. Ci suggerisce di lasciare in evoluzione le idee, sospendere l’ossessione del venerabile simulacro dell’azione, con l’illusione di seguire un pensiero, mentre davanti a noi accade quasi nulla. I sei attori in scena – tra cui colpiscono Susanne Abelein e Bettina Grahs – smaniosi di contraffare lo sfolgorio dei salotti con atteggiamenti dissacranti (mangiare noccioline e buttarle a terra, noncuranti dell’ambiente che li ospita) raccontano una storia che sembra non appartenergli affatto, con aspre deviazioni e dialoghi dalle traiettorie angolose. Siamo su una nave, lo capiamo perché i lampadari oscillano, inserti perturbanti immobilizzano l’azione, qualche silenzio e note di basso (di Benny Hauser che nello spettacolo si occupa anche delle luci) e carillon (Benjamin Brodbeck) scandiscono i ritmi lenti. Persistiamo nell’attesa che qualcosa accada, ma non succede nulla. «Non è un’opera con una gran trama. Dal punto di vista dell’azione, s’intende», dice all’inizio una delle protagoniste; Tristan oder Isolde ci racconta che è nel tempo che passa, dove sembra che nulla accada, che intanto il mondo cambia.

Proprio del mondo che travolge chi sta fermo a guardare ci racconta l’altro spettacolo presentato al Teatro Piccolo Arsenale. Alla fine del mare è una prima italiana che a maggio debutterà anche in Germania. Come il film di Fellini, E la nave va (1983), al quale esplicitamente dichiara un debito di intuizione, anche questo è uno spettacolo grottesco sulle contraddizioni del nostro Occidente. Su una nave ingombrano gli spazi esemplari umani di una società ormai alla deriva, che di lì a poco un naufrago turberà con la propria presenza. Facile intuire che l’idea parte dalla cronaca più recente, l’arrivo dei rifugiati siriani che ha generato diverse reazioni in Germania, dove solidarietà e sospetto sono stati due aspetti del cortocircuito dell’accoglienza.

La scena qui non è costruita, ma più semplicemente ornata, Mahler ci mostra quanto possa essere polverosa la ruvidezza della nostra epoca fatta di cartapesta. Vecchi quadri appesi alle pareti rappresentano distruzioni e stragi, e decorano una struttura cimiteriale nella quale si celebra l’involuzione di un’umanità assuefatta al peggio di quel che produce. Questo spettacolo ha un carattere decisamente più operistico, dove è Verdi e non più Wagner a contrappuntare la vicenda. L’aria Libiamo ne’ lieti calici dichiara fuggevole l’ora, e invita a brindare a un mondo ormai stanco; le note martellate dal soprano Yuka Yanagihara diventano l’inno dell’ipocrisia, mentre le Torri Gemelle sono presentate su una torta come candele che bruciano, mentre agli astanti non resta che stare a guardare. È la tragedia dell’immobilità e dell’afasia, quella del rifugiato (biondo, tonico e muscoloso) che nudo al centro del coro non riesce a cantare. Le immagini che Mahler usa hanno però il difetto di essere un po’ didascaliche, di fatto si riesce ad anticiparle facilmente, non appena si capisce che questo è il banchetto dei giorni nefasti della nostra società: le immagini di Tsunami, bombardamenti, macchie da levar via da un vestito macchiato di “colpe”, arrivano allo sguardo quando ormai già sono passate per la mente. Forse meno ispirato, la raffinatezza visiva di questo secondo spettacolo ci regala però l’immagine di quella maschera d’Arlecchino in solitudine al limite del proscenio, emblema di povertà e solitudine di cui parlavamo all’inizio. Una maschera sola, al cui corpo assente possiamo sostituire quello di ogni immigrato senza volto.

Doriana Legge

Venezia, Biennale Teatro – 3 e 4 agosto 2017

TRISTAN ODER ISOLDE
prima italiana
un pastiche di CapriConnection
ideazione Susanne Abelein, Rahel Hubacher, Anna-Sophie Mahler, Kris Merken
regia, vocals, violino Anna-Sophie Mahler
direzione musicale, pianoforte Stefan Wirth
con Susanne Abelein, Bettina Grahs
vocals (video) Damian Rebgetz
melodica, carillon Benjamin Brodbeck
drammaturgia Kris Merken
management, produttore Christiane Dankbar
basso, luci Benny Hauser
scene Duri Bischoff
(con parti delle scene di Anna Viebrock)
costumi Nic Tillein
suono Thomas Winkler
video Florian Olloz
assistenza tecnica David Hauser
produzione Stadt Zürich Kultur, Fachstelle Kultur Kantor Zürich, Fachausschuss Theater und Tanz beider Basel, Stanley Thomas Johnson Stiftung
coproduzione Festspiele Zürich, Gessnerallee Zürich, Kaserne Basel
con il sostegno di pro Helvetia Schweizer Kulturstiftung, Stadt Zürich Kultur

ALLA FINE DEL MARE
prima italiana
da motivi tratti dal film di Federico Fellini “E la nave va”
regia Anna-Sophie Mahler
con Johanna Link, Sylvana Schneider, Peter Posniak
cantante Yuka Yanagihara
scene Duri Bischoff
costumi Nic Tielein
musica, pianoforte Stefan Wirth
direzione del coro Frederic Bolli
drammaturgia Laura Ellersdorfer
produzione Theater Konstanz

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Doriana Legge
Doriana Legge
Doriana Legge è docente di Storia del Teatro e Problemi di storiografia dello spettacolo presso l’Università degli studi dell’Aquila. Nel 2014 ha conseguito il dottorato di ricerca in Generi letterari presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli studi dell’Aquila. Dal 2013 fa parte del comitato di redazione della rivista di studi “Teatro e Storia” edita da Bulzoni. Collabora a voci enciclopediche per il Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani. Scrive per la rubrica teatrale dell’“Indice dei libri del mese”. È anche musicista e compositrice per cinema e teatro, autrice di sonorizzazioni che portano a indagare le immagini pensando relative drammaturgie sonore. Da gennaio 2017 collabora con Teatro e Critica. Per consultare i suoi lavori e pubblicazioni più recenti: https://univaq.academia.edu/DorianaLegge

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