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Ravnedans. La Norvegia che danza

Un viaggio in Norvegia durante il festival Ravnedans a Kristiansand. Uno sguardo alle proposte e all’idea curatoriale. Reportage.

foto di Irina Lavrinovich

Aver girato l’Europa in questi ultimi anni ci porta a dire che la vitalità espressa dal nostro comparto delle arti performative non ha quasi eguali nel continente: prova ne sono i festival di ogni genere che animano l’estate italiana. Tuttavia, è sempre nutriente andare a visitare luoghi meno battuti, tangenziali alle rotte del grande mercato di Avignone, Edimburgo o Berlino, dove si scoprono diverse forme di ideazione e produzione, in un costante ragionamento attorno al prezioso ruolo del curatore artistico.
È il caso del festival Ravnedans, che dal 2010 anima la città di Kristiansand, nella Norvegia meridionale, un grappolo di edifici colorati e dal tetto spiovente che colonizza un gruppo di isolotti affacciati sul Mare del Nord, tenendo a est le coste svedesi e a sud quelle danesi. Lanciato come una piccola manifestazione principalmente localizzata nello splendido parco di Ravnedalen, negli anni il progetto è cresciuto fino a conquistare l’intero centro urbano, coinvolgendo fino a mille spettatori (cifre del 2016) in uno sguardo aggiornato e combattivo sulla danza contemporanea, ora sostenuto su base triennale dall’Arts Council Fund per gli organizzatori.
Il merito dell’idea va a tre giovani danzatrici e coreografe: Julie Rasmussen, Tone Martine Kittelsen e Irene Vesterhus Theisen, affiancate nella direzione artistica da Maren Fidje Bjørneseth e da Ingvild Isaksen (che ha curato la programmazione a Open Call).

L’occasione della visita è stato un invito ricevuto da Writingshop – gruppo internazionale sulla scrittura collettiva formatosi nel 2011 (insieme all’autore di questo articolo, ne fanno parte Diana Damian Martin, Anette Pettersen e Karl Svantesson) – a curare un percorso formativo nella sezione Critics in Conversation. In cinque giorni abbiamo avuto modo di abitare questo festival vivace, amichevole eppure elegante, capace di portare avanti – ancor prima che una collocazione precisa della danza scandinava – un’idea curatoriale. Come ci hanno spiegato le tre artiste – accomunate dalla cittadinanza di provincia – l’esigenza negli anni è stata quella di riportare a Kristiansand la varietà straordinaria incontrata nei mesi di lavoro in altre parti del mondo, ciascuna seguendo un proprio percorso.

foto di Ida Frømyr Borgen

In Band (2012) la coreografa norvegese Ingri Fiksdal esplorava il movimento ripetitivo di quattro interpreti coperti di abiti sgargianti e con il viso velato; oggi, sotto il titolo Shadows of Tomorrow, questa pratica di lavoro puntata alla mutua attenzione dei corpi in scena e alla creazione di un ritmo collettivo, torna sulla scena muovendo ben ventiquattro danzatori – tra professionisti e amatori – e coinvolgendo il pubblico in un vero e proprio rituale muto. Forte è il marchio di una ricerca sulla dimensione ossessiva del clubbing, eppure le figure coreografiche sono ridotte a un saltello sul posto, a una dinamica di respiro che coinvolge tutti e quattro gli arti e a un movimento nello spazio simile a quello di un formicaio, in cui gli interpreti – con l’intero volto coperto di stoffa – si dividono i centimetri senza sfiorarsi mai. Ravnedans ha presentato una versione indoor (con il pubblico seduto in terra lungo il perimetro di uno stretto quadrato attorno ai performer) – e una outdoor – all’aria aperta del parco solcato dai gabbiani – provando allo spettatore due livelli complementari della partecipazione, capaci di lasciar emergere immagini radicalmente differenti da un tessuto coreografico apparentemente privo di richiami chiari ad alcuna dimensione narrativa.

foto di Tale Hendnes

Tra le numerose proposte del programma – che esplora diversi spazi della città arricchendosi anche di workshop di coreografia e di critica della danza – spicca la performance Hører du ikke hva jeg danser, eller? (Non senti che cosa sto danzando?) di Siri Jøntvedt e Ivar Grydeland, che offre una prospettiva radicalmente diversa sul concetto di ascolto. Una danzatrice e un musicista intrattengono un dialogo ferocemente ironico ragionando su che cosa si pensi nel momento esatto della performance. Il linguaggio del corpo e quello dell’elaborazione elettronica dei suoni si incontrano proponendo soluzioni sceniche che si neutralizzano a vicenda, sferrando una critica sottile alla possibilità di rendere davvero intellegibile il movimento emotivo di un artista in un sistema di segni che vorrebbe essere astratto e libero e invece si perde nei cliché dell’odierna post-rappresentazione. E la frizione tra volere e potere diventa così specchio dell’essere umano, producendo una morbida violenza ai danni di ogni aspettativa.

foto di Karolina Bengtsson

Da notare anche il lavoro di Ludvig Daae, astro nascente della scena internazionale, che porta qui il suo MM. Una forte vena ironica sui cliché della coreografia contemporanea si intreccia al ragionamento sulla dualità del fare e del pensare un oggetto artistico. Sul palco vuoto di una delle sale del maestoso Kilden Performing Arts Centre un grande schermo proietta un video di Daae che, perso in un neutro spazio bianco, introduce passo dopo passo la coreografia, che verrà danzata da se stesso in carne e ossa, pronto a entrare da dietro le quinte. Il “vero” Daae comincia dunque la propria danza come un muto manichino di servizio, che risponde alle indicazioni del se stesso virtuale; poco dopo i due “danzeranno insieme”, producendo complessi effetti di illusione ottica o semplicemente guardandosi negli occhi. Forte è l’impatto di questo semplice e divertente esperimento, che porta alla luce – ancora una volta – il complesso dialogo tra l’intenzione e l’atto, uno sdoppiamento che qui si fa fisico e tangibile, creando una piccola odissea del doppio in cui l’avatar è in fondo l’unica forma fisica presente, in grado di confondere actual e virtual body.

foto di Irene V. Thelsen

La dimensione collettiva appare evidente non appena si conoscono meglio i singoli individui, che ci tengono a mantenere con il pubblico del loro festival un contatto amichevole e assolutamente integrato nel clima della manifestazione. Nel programma si intrecciano infatti le diverse direzioni che stanno in questi anni caratterizzando le linee di ricerca della danza internazionale: dalle forme ibride con la performance che – spesso con occhio autocritico – vorrebbero sfatare il mito della “danza pura”, a un impianto più partecipativo, che chiama in causa folti gruppi di persone nella creazione di un’esperienza massiva, incaricata di ragionare sul corpo nella sua accezione più politica. Di certo l’elemento cardine di Ravnedans è la dimensione dell’incontro, la chiamata pubblica ad abitare i luoghi senza poi distinguere troppo la performance in cui si entra a biglietto strappato dall’intermezzo colloquiale nel bar del centro Aladdin. Proprio qui – mandando in giro lo sguardo nell’ultima serata del festival – quasi tutti gli spettatori indossavano almeno un indumento o un gadget con il logo del festival. Quasi un appuntamento alla prossima edizione.

Sergio Lo Gatto

Ravnedans Festival, Kristiansand (NO) – luglio 2017

SHADOWS OF TOMORROW
coreografia Ingri Fiksdal
luci Ingeborg Olerud
performers (cast originale) Pernille Holden, Sigrid Hirsch Kopperdal, Rosalind Goldberg, Marianne Skjeldal, Venke Sortland
cast Ravnedans Irina Lav, Linda Wardal, Asher Lev, Trine Lise Moe, Håkon Vadstein, Søren, Linding Urup, Sudesh Adhana, Axel Rudolphi, Maaike Croles Fitjar, Karen Eide Bøen, Ingrid Haakstad, Linn Ragnarsson, Maia Means, Åsne Storli, Fie Dam Mygind, Alma Bø, Thjerza Balaj, Roza Moshtaghi, Nina Helene, Jakobia Skogli, Aslak Aune Nygård, Magnus Sparsaas, Charlott Utzig
costumi Ingri Fiksdal, Elena Becker and Signe Vasshus.
produttrice Nicole Schuchardt
amministratrice Eva Grainger
foto Ida Frømyr Borgen
produzione The Norwegian Arts Council, thanks to Skolen for Samtidsdans.

HØRER DU IKKE HVA JEG DANSER, ELLER?
coreografia e danza Siri Jøntvedt
musiche eseguite dal vivo Ivar Grydeland

MM
concept e idea, coreografia e danza Ludvig Daae
regia video e realizzazione Joanna Nordahl
assistente di produzione, fotografia Karolina Bengtsson
musica Lune, John De Lira Lindberg
produzione festival:display
sostegno Moderna Museet, Daniel Réhn, MDT, Cristina Caprioli/ccap for studiotider, Studio Mjuklyx, Björn Säfsten og Katti Alm. Støttet av Norsk Kulturråd

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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