Siamo stati al Teatro Fassino di Avigliana per assistere a una masterclass tenuta da Enrique Pardo e Linda Wise, fondatori di Pantheatre.
«Scappa dal leone rosso!». Sarebbe una bizzarra esclamazione – e in effetti lo è – se avvenisse fuori dal recinto che confina e protegge i teatranti nel loro lavoro dietro le quinte. O meglio, davanti alle quinte ma con le luci spente e le vesti sbiadite, giacché è lì che si rinviene il lavoro demiurgico del regista sugli attori. Enrique Pardo mi ospita come uditrice a una giornata del workshop Il genio drammaturgico oracolare, realizzato con Linda Wise al Teatro Fassino di Avigliana all’interno di Maestrale, progetto di formazione curato dalla Piccola Compagnia della Magnolia.
Pardo e Wise sono i direttori di Pantheatre, un contesto di creazione, ricerca e formazione teatrale in cui si intersecano pratiche pedagogiche e progettualità artistiche attingendo a un vasto e stratificato deposito teorico, intagliato a partire dal pensiero mitologico di James Hillman, dall’eredità dello studio sulla vocalità di Roy Hart e dai nessi della filosofia neoplatonica di Xavier Papaïs. La prima parte della lunga giornata di lavoro per i giovani professionisti selezionati è diretta da Enrique Pardo che, appollaiato su una tavola sopra le prime file di poltroncine della platea, coordina e dirige il lavoro. Divide il gruppo in base a due profili: leader e servitori; senza l’uso del testo gli attori e le attrici devono farsi carico di creare delle azioni fisiche efficaci, in cui il tempo e lo spazio convergano per un’esistenza scenica incisiva. Pardo detta alcune regole ma è pronto ad infrangerle e suggerisce di percepire quando scatta il kairòs, il momento ideale, quello opportuno, in cui si fa addirittura necessaria la trasgressione. La particolare conformazione del teatro coreografico che lui conduce si articola a partire da un affrancamento dal dato testuale per scongiurare il rapporto di potere che appiattisce il teatro sulla declamazione, l’illustrazione, la dimostrazione. Da deus ex machina, orchestra e dirige un movimento scomposto di corpi coinvolti in immagini complesse e capaci di esprimere, più che raccontare. «La presenza di spirito – dice – non può fermarsi». Gli chiediamo conto di questa nozione, affascinante quanto non del tutto decifrabile e raccontiamo questo stralcio da Strada a senso unico di Walter Benjamin: «Tramutare la minaccia del futuro nell’oggi realizzato, questo miracolo telepatico (il solo auspicabile) è opera d’una presenza di spirito corporea. Età remote, in cui un comportamento siffatto era parte integrante della vita quotidiana dell’uomo, offrivano a lui nel corpo nudo il più sicuro strumento di divinazione. Ancora l’antichità classica conosceva la vera usanza, e Scipione, che incespica nel calcare il suolo di Cartagine, grida, spalancando le braccia nella caduta, la formula della vittoria: Teneo te. Terra Africana! Quel che voleva diventare indizio tremendo, segno infausto, lui l’inchioda all’attimo, e fa di se stesso il factotum della propria vita».
Pardo risponde che sì, è proprio così: esiste un tipo di presenza forte e carismatica (il leone rosso!), poi una presenza di spiriti e infine quella di spirito che in effetti ha un precipuo ancoraggio all’attimo e alla corporeità; cita Hillman, il corpo come terreno di resistenza dei contrasti. Proseguendo sulla polarità degli elementi arriva il turno di Linda Wise che invece, calata tra i partecipanti, propone un lavoro, non meno concreto, sulla vocalità. L’affinamento di tecniche sonore si accompagna al pericolo espressivo di confrontarsi con lo spazio, rischiando di disperdere la voce o di riuscire con essa a conferire pienezza. Dall’imprevedibile emersione di ciò che Roy Hart definisce “voce inaspettata”, Pardo si trova a suggerire a una partecipante di assumere un atteggiamento di ribellione, di scavare un solco nell’imprevisto. Questo è l’approccio che definisce oracolare e, ricollegandolo con un salto lungo all’indietro alle civiltà antiche, attinge a un mondo simbolico di archetipi a cui veniva richiesto consulto. È un atteggiamento che Pantheatre persegue, racconta e incentiva. Ai partecipanti è stato richiesto di consultare i tarocchi, affinché essi decidessero i testi da imparare. Arriva la parte finale e con essa le parole di Quartett di Heiner Müller o quelle de La modestia di Spregelburd, s’intravvede una composizione, affiorano temperamenti e caratteri. Si manifesta l’incantesimo della parola. Dice Pardo: « Io cerco la magia in teatro. Il piacere di fare e vedere teatro d’altronde non è altro che un processo oracolare».
Giulia Muroni