Inteatro Festival, giunto alla 39° edizione, presenta un programma di danza e teatro internazionali improntati sui concetti di identità e relazione. Una panoramica.
Giunto alla 39° edizione, dato assai mirabile in tempi simili e per un festival di teatro come questo — di provincia nel senso più nobile del termine, e coraggioso — Inteatro Festival presenta un programma nel quale teatro e danza internazionali compongono un mosaico vitale il cui focus, quest’anno, attiene soprattutto a due temi: l’identità e la relazione.
La direzione artistica di Velia Papa assicura alla cittadina marchigiana di Polverigi una parentesi profondamente radicata nell’attualità della creazione teatrale, un tuffo nella cultura scenica internazionale con un’attenzione particolare alla formazione destinata agli under 35 attraverso il perfezionamento artistico residenziale della Inteatro Summer Academy, basato sull’incontro con artisti affermati (quest’anno vi hanno partecipato Jacopo Belloni, Teresa Cavallo, Silvia Ciancimino, Beatrice Fedi, Greta Francolini, Lia Gusein-Zadé, Francesca La Spada, Alain Marin, Pietro Selva Bonino e Elisa Turco Liveri). Polverigi e Villa Nappi, una delle sedi di Marche Teatro e residenza attiva tutto l’anno, hanno vissuto quattro giorni di festival preceduti da due di programmazione al Teatro delle Muse e al mercato coperto di Ancona, dove gli spettatori hanno assistito rispettivamente al Focus India — con la danza di Attakkalari Centre for Movement Arts, Hemabharathy Palani e visitato una mostra fotografica di Ninni Romeo tratta dal viaggio in India di Pina Bausch per la creazione di Bamboo Blues — e al debutto di Azioni di Yan Duyvendak. Avendo potuto assistere a una sola giornata di festival, abbiamo preso atto innanzitutto dell’ambiente piacevole in cui prende corpo il programma, costellato di prime nazionali e internazionali.
Al debutto il 29 giugno, la performance Camminare in mezzo a uno spazio fra linee di CollettivO CineticO è un’improvvisazione site specific in cui il pubblico viene prima radunato al centro del parco della villa per poi essere smistato in ordinati sottogruppi guidati, ognuno, da uno dei danzatori. Successivamente, ogni gruppo apprende una brevissima sequenza gestuale che da quel momento in poi sarà un condiviso segnale di riconoscimento da danzare prima che il performer capogruppo entri, con la propria danza, nel vivo dell’azione. All’interno di un esagono tracciato sul prato da una striscia fatta di chicchi di riso, e alternandosi dentro e fuori da questo spazio iscritto nello scenario naturale del parco, Collettivo CineticO si mette all’opera in una sequenza di improvvisazioni. La composizione, nella sua immediatezza, produce una grande quantità di materiale coreografico che, quasi totalmente privo di ripetizioni, si posa nello sguardo di chi osserva. Questo formato basato sull’improvvisazione, una vera e propria pratica danzante collettiva, è parte della ricerca che la compagnia ferrarese sta conducendo per il progetto Benvenuto Umano, ormai sulla via del debutto. Visti dalla prospettiva della restituzione, i danzatori appaiono equamente interessati a produrre movimento e a consegnarlo alla visione di un pubblico che, una volta agganciato all’azione, ha il potere di assegnare liberamente un significato al proprio ruolo di partecipante alla performance. Segnando un confine tra l’esterno e l’interno dell’esagono, questa creazione duplica lo spazio del parco ricollocandolo dentro una danza accesa, che si determina solo nel farsi stesso della ricerca e che non sembra ancora interessata a trovare una prospettiva di significati, né un chiaro enunciato drammaturgico finale. Sparendo con una corsa, in chiusura di performance i danzatori dissolvono la visione in un baleno, lasciando dietro di sé un evanescente spazio esagonale e l’eco del proprio libero, virtuoso movimento.
A seguire è andato in scena il debutto in versione italiana di Nessuna conversazione degna di rilievo di Roger Bernat, artista catalano che sceglie di addentrarsi in una delle cronache contemporanee che hanno a che fare con il sedicente stato islamico. Qui, in Siria, centinaia di individui definiti “radicalizzati” hanno immolato le proprie esistenze occidentali a favore di una causa politico-religiosa i cui contorni restano, com’è noto, davvero difficili da definire. Al pubblico vengono consegnate delle cuffie con le quali è possibile collegarsi a tre diversi canali audio. Sul palco vi è una semplice pedana nera, dalla quale un trio di attrici – come fossero in uno studio di registrazione – legge al microfono testi di intercettazioni telefoniche. Si tratta della documentazione del processo a conclusione del quale undici persone furono condannate, in Spagna, per reclutamento a favore di un’organizzazione terroristica: dodicimila pagine che tracciano gli scambi avvenuti tra alcune famiglie rimaste nella città autonoma di Ceuta e i famigliari emigrati in territorio siriano. La drammaturgia è dunque composta a discrezione di ciascun spettatore, che decide su quale canale sintonizzare, via via, il proprio sonoro: alle spalle delle attrici, la cui recitazione spesso esonda – specie nei gesti delle mani e nelle espressioni del volto – dai limiti del personaggio interpretato, scorrono intanto alcuni video, immagini durissime di propaganda, guerra e terrore che ci ricordano quanto ormai siamo assuefatti alla violenza. La narrazione procede finché appare la chiave di volta della pièce, che consiste nell’innesto nello spettacolo di un brano del film La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo (1966). Leone d’Oro alla 27° Mostra del Cinema di Venezia e proibito in Francia fino al 1971, il lungometraggio tratta della rivoluzione algerina con cui Bernat tenta di creare un ponte tra un passato e un presente della storia che, così composto, lascia però inevasa qualche perplessità soprattutto perché sottrae al processo di enactment la possibilità di trasformarsi ex novo in una spinta generativa di immagini e di significati. Così assemblato, lo spettacolo si fa mostra dei materiali, nei quali non penetra se non attraverso il dispositivo partecipativo della selezione del canale d’ascolto. Bernat sembra piuttosto soffermarsi su un modo di esistere sensazionalista dell’informazione, che non traccia un vero e proprio segno sulla scena al di fuori della prevista originale modalità di fruizione.
A concludere la serata, al Teatro della Luna, è Atlas Revisited di Karthik Pandian e Andros Zins-Browne, creazione multimediale coprodotta tra New York e Bruxelles che tenta di proporre una riscrittura, di natura ironica, di Channels/Inserts di Merce Cunningham e Charles Atlas. I due movers, spiazzano gli spettatori con sequenze ipertrofiche dove immagine, suono, corpo, voce e scenografia pasticciano l’idea di base, non particolarmente originale ma potenzialmente divertente, di distorcere un episodio saliente della storia delle arti performative contemporanee sostituendo un animale buffo come il cammello al corpo umano. Il finale, nuovamente tendente alle estetiche dei media propagandistici dei gruppi terroristici, è il farsi copia conforme di una manipolazione d’immagini che è già alla base del lavoro proposto. Con questa chiusura ridondante, significativamente circolare, e con l’ausilio di un curioso fucile ad aria compressa “spara t-shirt” gadget dello spettacolo, la performance non fa decollare l’immaginazione di spettatori ben disposti verso ogni ordine di ricerca performativa quali sono quelli di Inteatro. Tuttavia, è proprio questo a volte il prezzo da pagare, per chi ha coraggio di spingersi tra le spire più imperscrutabili dell’attualità della ricerca contemporanea, e per questo merita pieno sostegno e incoraggiamento chi si apra a se stesso e al mondo, d’accordo con l’idea che il meglio che si possa fare, come diceva Samuel Beckett, sia provare sempre, per sbagliare ancora, per sbagliare meglio. L’importante è che Inteatro continui ad avere lo sguardo aperto, puntato al futuro.
Gaia Clotilde Chernetich
Inteatro Festival, Polverigi, giugno 2017
CAMMINARE IN UNO SPAZIO TRA LINEE
azione performativa site specific e time specific ricerca parte del progetto “Benvenuto Umano”
concept e regia Francesca Pennini
dramaturg Angelo Pedroni
co-produzione CollettivO CineticO, InTeatro Festival
NESSUNA CONVERSAZIONE DEGNA DI RILIEVO
di Roger Bernat
con Ernesta Argira, Alessandra Penna, Giulia Salvarani
drammaturgia Roberto Fratini
produzione Elèctrica produccions, Marche Teatro
coproduzione Triennale Teatro dell’Arte, Mucem Marsiglia
con il supporto di Les Bancs Publics / Les Rencontres à l’échelle (Marsiglia)
ATLAS REVISITED
di e con Karthik Pandian & Andros Zins-Browne
produzione The Great Indoors, Hiros
coproduzione Kaaitheater (Brussels), EMPAC (Troy, NY), Kunstencentrum BUDA (Kortrijk)
con il supporto di Flemish Community Commission, Black Cinema House (Chicago), Vooruit (Ghent), Kunstenwerkplaats Pianofabriek (Brussels) | nell’ambito di DNA (Departures and Arrivals European Project)