Al Teatro Fassino di Avigliana la Piccola Compagnia della Magnolia ha ospitato il masterclass The Carnal Space, tenuto da Declan Donnellan e Nick Ormerod (Cheek By Jowl). In quella occasione abbiamo incontrato il regista inglese. Intervista
Nel testo L’attore e il bersaglio definisci trasparente la relazione tra l’attore e il personaggio. Potresti spiegare cosa intendi e come questo si traduce nel tuo lavoro.
È importante vedere il mondo com’è davvero. In questo momento io ti sto vedendo, ci sei tu e la mia proiezione di te. È importante che ti presti la massima attenzione possibile ed è necessario che io utilizzi per vederti una lente il più limpida possibile. Ma il problema è che noi non viviamo davvero nella realtà. Le nostre visioni del reale sono molto opache, introduciamo parecchi elementi personali a sporcare questo filtro. Ciò genera delle gravi difficoltà politiche, ad esempio quello che pensiamo dei musulmani. Sono i nostri pregiudizi a mettersi di mezzo. Un attore ha questa forma di resilienza: poiché è importante che nella vita si vedano le cose nella maniera più chiara possibile, l’attore usa l’immaginazione per connettersi alla realtà.
Qual è il tipo di rapporto con i classici e, in particolare, con Shakespeare?
Penso che i classici siano utili soprattutto perché servono a esplorare cosa siamo. L’umanità non cambia, esiste un nucleo solido che permane al di là di tutto. Gli autori classici forniscono delle cornici, alcune strutture utili a investigare chi siamo. Ogni volta che si porta Shakespeare in teatro lo si fa in una maniera differente. Ciascun autore che va in profondità serve a mantenere una connessione; ogni cosa è rilevante per il presente, se ci tiene ancorati ad esso. Quando manca questo legame, allora è spazzatura e la posso buttare via. La ragione per cui certe opere ancora si portano in scena è che sono connesse al presente e parlano di esso.
Qual è il momento preciso in cui senti che le opere funzionano? Che parlano ancora al presente?
In sala prove gli attori imparano le battute, io parlo del mondo retrostante a quel testo, loro fanno degli esercizi. E poi, di tanto in tanto, succede qualcosa: si vede qualcosa di vivo. Allora s’insegue quel momento. Il mio compito è di creare le condizioni e pregare affinché la vita accada. Non si può ordinare alla vita di manifestarsi. Le coppie possono provare ad avere un figlio e non sanno perché non riescono a concepire. Molto spesso però, quando si arrendono, lasciano perdere i dottori e le medicine, allora lì in quel momento concepiscono. Non si deve insistere, bisogna soltanto predisporre alcune cose, così da creare delle condizioni di possibilità.
Il tuo è un lavoro di ostetrico?
In un certo senso sì. Non insegno nulla, creo la condizione in cui la vita possa avere luogo.
Un’esigenza costante del tuo lavoro è quella di elaborare delle tecniche per superare i blocchi degli attori. Quali sono invece i blocchi per un regista?
Per ognuno è lo stesso: ci sono alcune cose che vediamo e altre che non vogliamo vedere. Ad esempio tutti abbiamo il desiderio di essere in una relazione intima e amorevole con il mondo, ma d’altra parte vogliamo esserne indipendenti. Queste cose contrastanti coesistono fianco a fianco e questo crea un blocco. Una delle ragioni è che abbiamo paura: del nostro stesso narcisismo, in primo luogo. Iniziamo a vedere noi stessi, ed è un vero peccato. Il punto non è che Narciso ha visto la sua bellezza, il problema è che lui, nell’acqua, ha visto se stesso guardarsi e si è paralizzato da solo. Quando porto in scena Shakespeare, cerco di intendere ciò che lui stesso intendeva perché se invece inizio a pensare:« Cosa posso dire io, Declan Donnellan, di Shakespeare», metto al centro la mia personalità, come farebbe un critico. [Squilla rumorosamente e a lungo un telefono nel tavolo accanto. Donnellan sorride, NdR.]. La regola della vita è che tutti vogliono attenzione.
Nell’ottica di recuperare le connessioni c’è anche il recupero del legame con lo spazio. Quali sono le modalità per agire e non subire lo spazio?
Io voglio riprendere ogni tipo di contatto. Come esseri umani dobbiamo entrare in contatto col mondo in cui viviamo, e anche l’attore deve farlo, perché non è vero che l’attore vede delle cose che gli altri hanno troppa paura di vedere. Si è totalmente vittime nello spazio. Lì si nasce e si muore, senza averne pienamente controllo. Bisogna prendere l’energia e convertirla rispetto a quanto ci è stato dato. Non si deve stare da un’altra parte. Una volta ho avuto un litigio con un maestro di recitazione. Io ho detto che abbiamo ricevuto l’immaginazione per connetterci nella realtà, mentre l’altro sosteneva che l’immaginazione dovesse servire per sognare. Il resto della vita è un sogno. Il teatro è il luogo in cui ci svegliamo.
Giulia Muroni
Si ringrazia Antonella Salzano per il lavoro di interprete.