Teatro in video 44° appuntamento. Il 4 giugno 2004 moriva a Roma Nino Manfredi, protagonista insuperato della prima edizione di Rugantino, una delle commedie musicali italiane più note, che ha conosciuto il successo internazionale.
Era il 15 dicembre del 1962 quando per la prima volta Rugantino, giovane spaccone e un po’ scansafatiche, implorò la Città Eterna di aiutarlo a brandire le armi del romanticismo per guadagnarsi gli spasimi, i sospiri segreti della bella Rosetta e ammaliarla. Desiderata da molti e “detenuta” dalla rudezza di Gnecco il Matriciano, sullo scorcio della Roma del XIX secolo, la donna vedrà morire prima quest’ultimo – marito grossolano e gelosissimo – e poi l’amato clandestino, giustiziato dalle mani di Mastro Titta per recuperare dignità in un rigurgito di orgoglio. Non sa allora Rosetta la sorte che l’attende, il gran numero di repliche, di edizioni, di volti in cui dovrà ripetere la passione e il dolore, la conquista e la perdita. Allo stesso modo Nino Manfredi non sa che morirà ancora e ancora, in terra pontificia certo, ma anche a Toronto all’O’Keefee e persino a Broadway (in entrambi i casi nel 1964) nei panni dell’eroe così poco eroico in principio e così riuscito da restare nella storia della sua carriera e in quella della commedia musicale. Nato nel Novecento, questo genere trova in Italia, soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo, una sua forma in cui gli elementi dell’operetta si innestano su quelli della rivista e del varietà, affrancandosi dal musical anglosassone e d’oltreoceano in una specificità ricondotta precipuamente ai nomi di Pietro Garinei e Sandro Giovannini.
Nino Manfredi arriva a Rugantino dopo una laurea in giurisprudenza conseguita più per amore della famiglia, ma con la coscienza che tanto avrebbe fatto l’attore; dopo gli studi con Orazio Costa e il diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica nel 1947, dopo gli spettacoli al Quirino e all’Eliseo, dopo i testi shakespeariani e di Goldoni, di Ibsen e di Büchner, dopo il lavoro con Eduardo De Filippo e Giorgio Strehler che lascia, approdando dal ’53 al ’57 alla rivista perché «Aò, ma qui nun se ride mai». E ci arriva mentre sta per consacrarsi come uno degli emblemi di quella commedia all’italiana che unisce il suo nome a quelli di Dino Risi, di Mario Monicelli, di Nanni Loy, di Ugo Tognazzi, di Marcello Mastroianni.
«Faje sentì che è quasi primavera, / manna li mejo grilli pe’ fa cri cri. / Prestame er ponentino / più malandrino che c’hai»: sardonica e familiare, dissacratoria e rassicurante, all’occorrenza pure amara, l’immagine dell’interprete si è fusa alla sostanza di un uomo che, ciociaro di nascita, si è fatto abbracciare per rimanere sedotto e seduttore, si è fatto accarezzare e aiutare per prendersela e poi restituirla quella gran signora che è Roma con chi la sa cantare.
Presentiamo in questo numero un estratto della prima edizione del 1962, nella quale accanto a Nino Manfredi (Rugantino) comparivano Aldo Fabrizi (Mastro Titta) e Bice Valori (Rosetta), che qui cantano la canzone È bello avè ‘na donna dentro casa.
Marianna Masselli
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