Pistoia Teatro Festival. Prima edizione nella provincia toscana. Abbiamo parlato con il presidente dell’Associazione Teatrale Pistoiese, Rodolfo Sacchettini
La grande macchina dei festival estivi è partita. In queste settimane avranno aperto Castrovillari, Napoli, Venezia, Castiglioncello. E il web comincia a popolarsi di annunci e #savethedate, di banner con i nomi in vista e debutti da segnare in calendario. Come a dire che qui in Italia i cartelloni non chiudono mai davvero. L’atmosfera somiglia a quella che si viveva da bambini quando, a estate quasi appena cominciata, cominciavano a circolare le pubblicità di diari e zaini, un presagio di scuola che invadeva la vacanza in un innesto ancora innocuo.
Quest’anno però c’è una novità. Dal 18 al 25 giugno anche Pistoia diventa teatro per il Pistoia Teatro Festival. Ce lo ha raccontato Rodolfo Sacchettini, presidente dell’Associazione Teatrale Pistoiese, che promuove l’evento insieme al Comune, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, alla Regione Toscana e al Mibact.
Nella loro varia offerta, i festival estivi mettono sempre in prima linea le proprie specificità, il loro “farsi luogo” a servizio di un territorio. Per Sacchettini «in un presente che non fa che chiudere teatri e festival – vedi le acrobazie politiche intorno al Festival Orizzonti di Chiusi – inaugurare un nuovo evento come questo sembra un atto rischioso». Ma a leggere le linee programmatiche si intuisce subito che si tratta del risultato di un lavoro più ampio, più diffuso, più antico.
Il 2017 è infatti l’anno di Pistoia Capitale Italiana della Cultura, nel cui dossier il festival compare come uno dei fiori all’occhiello. «Accanto alle diverse iniziative attivate in questi anni, il festival ci è sembrato uno strumento necessario, per raccogliere la comunità intorno a un evento localizzato nel tempo e nello spazio», spiega Sacchettini.
Tuttavia, benché i fondi del Dossier siano stati importanti per realizzare il progetto, non si tratterà di un evento una tantum; si mira invece a inaugurare una vera e propria nuova piazza. «Naturalmente questa è solo un’aspirazione, ma stiamo cercando di rendere chiaro come il Festival sia innanzitutto un’espressione di genius loci».
Troppo spesso, forse, questa parola è servita in passato per proteggere una certa realtà, custodendone le eccellenze ma al contempo mettendo a rischio la sua possibilità di aprirsi al confronto. Per l’ATP la soluzione è stata concentrare questo ragionamento sugli spazi ancor più che sui linguaggi, un modo per promuovere una vera e propria abitazione del territorio. «Ci sono spazi meravigliosi, in questa città, che non vengono usati a sufficienza: insieme al Teatro Manzoni c’è un gioiello come la Fortezza Medicea di Santa Barbara, o il Teatro Anatomico, eretto nel 1700 all’interno dello Spedale del Ceppo». In effetti sono anni in cui il teatro dialoga sempre di più con l’architettura, e un centro culturale rinascimentale come Pistoia si presta a queste interazioni, che chiamano in causa anche “luoghi deputati” più contemporanei, come il Piccolo Teatro Mauro Bolognini o Il Funaro Centro Culturale.
Come detto, però, il progetto parte da più lontano. L’ATP, ex-Decreto FUS, è stata nominata Centro di Produzione Teatrale, dunque un organo preposto alla creazione. «Io credo che oggi il nostro teatro viva due grandi problemi: la produzione e la circuitazione. Forse esiste un modo per far sì che una aiuti l’altra: riuscire ad andare oltre alla logica del mero supporto economico, e lavorare invece per costruire – insieme agli artisti – un ciclo virtuoso di scambi con il territorio. Negli anni abbiamo sempre puntato molto sulla co-produzione, che funge come terreno di incontro tra varie realtà produttive, a volte molto diverse. Ma le tematiche trattate e la ricerca sui linguaggi deve partire dalle urgenze del territorio che gli artisti abitano. Io non credo molto – continua Sacchettini – in un teatro che si produce restando chiusi in uno spazio. Certo, gli spazi e i tempi per la creazione sono determinanti, ma è ancor più importante creare attorno a essi un contesto che davvero sia in grado di dialogare con il contemporaneo, raggiungendo una precisa rilevanza culturale. Da questo pensiero deriva infatti l’attenzione al percorso di Sotterraneo sul Giro del mondo in 80 giorni o gli ultimi lavori de Gli Omini».
La programmazione si attesta su un livello alto e diversificato nei linguaggi; un’anteprima della Compagnia Lombardi Tiezzi (La signorina Else), una mise en espace di Claudia Sorace su testo di Stefano Massini (Il Vangelo secondo Judah), il progetto Giovanìsi della Regione Toscana per l’autonomia dei giovani, l’ultimo lavoro di Pascal Rambert (L’arte del teatro), La rivoluzione è facile se sai come farla di Kepler-452, la prima nazionale de La ferita della bellezza di Luca Scarlini diretto da Giovanni Guerrieri dei Sacchi di Sabbia, che portano anche I 4 Moschettieri in America e lo studio di Pueblo, il nuovo lavoro di Ascanio Celestini. Ma anche la danza di Cristiana Morganti (A Fury Tale) e Fregio e Cammino Popolare, un progetto di Virgilio Sieni.
Accanto alla programmazione, però, «è importante creare dei percorsi laterali, che confermino l’impegno di questi anni verso una sinergia con l’educazione». Altre Velocità allora torna con il laboratorio Giornalisti di Confine, che allena lo sguardo critico degli spettatori e lo guida nei ritmi della pubblicazione quotidiana, mentre il collettivo Lele Marcojanni realizzerà #narrareomorire, un video racconto specifico per Pistoia TEATRO.
Rodolfo Sacchettini, presidente dell’ATP dal 2012, è una figura per certi versi anomala all’interno del panorama degli operatori e dei curatori, al quale arriva portando con sé una lunga esperienza nel campo della ricerca e del ragionamento critico. E infatti in un incontro pubblico di giovedì 22, dal titolo “Il Nuovo Teatro: ieri, oggi, domani”, verranno proiettati rari estratti video di spettacoli storici degli anni Settanta, che serviranno per una tavola rotonda in cui studiosi e critici di oggi faranno un punto sul presente e sul futuro.
«Per me il punto di partenza nel lavoro che svolgo all’ATP è sempre e comunque quello dell’osservazione e della critica della scena contemporanea. Trovo che una conoscenza di quel tipo sia imprescindibile, che arricchisca qualsiasi visione di sistema che un organo come quello che presiedo è chiamato ad avere».
Sergio Lo Gatto