Da soli non si è cattivi, su testi di Tiziana Tomasulo, è l’ultimo spettacolo della compagnia La Fabbrica, ha debuttato al Teatro Vascello. Recensione
C’è una straordinaria capacità di leggere dentro al testo, un’attenta analisi delle possibilità drammaturgiche e una fantasia dedita alla creazione; Da soli non si è cattivi è l’ennesimo cambio di passo per la compagnia La Fabbrica. Il salto è dato in effetti dalla capacità di mettere a frutto un percorso di ricerca che partiva da territori beckettiani nei quali i temi della nostalgia, della giovinezza – come campo di esplorazioni delle relazioni e del potere che le muove – galleggiavano quasi sospesi a mezz’aria tra la vita e la morte o nel tempo mai esistito di una fiaba. Già con il passo successivo la compagnia dimostrava di cambiare rotta, Il Gabbiano allestito sempre in coproduzione con il Teatro Vascello rompeva un guscio tutto sommato comodo per la regia di Fabiana Iacozzilli e per i suoi attori, anche se comunque il lavoro a partire da un classico era già presente nei primi allestimenti: ricordiamo un Amleto poco fortunato visto qualche anno fa al Teatro Sala Uno, spettacolo fuori fuoco, sgangherato ma con un finale furbescamente intelligente, nel quale uno degli attori prima che si spegnessero le luci rivelava di essersi dimenticato il celebre monologo del principe.
Questa volta però La Fabbrica non parte da studi performativi o creazioni collettive della compagnia, né dai classici della letteratura teatrale, ma dalla tastiera di una giovane drammaturga, Tiziana Tomasulo (finalista all’ultimo Premio Riccione). Si tratta in realtà di tre componimenti diversi: un racconto, un monologo e una parte di una drammaturgia più ampia. Iacozzilli ha creato una sorta di patchwork nel quale il filo rosso sono le relazioni amorose, complicate, ironiche, in perenne crisi, finite da tempo ed esistenti solo come apparenza.
La regista maneggia il materiale con intelligenza e mestiere, facendo rientrare in qualche modo il periodo del teatro dell’assurdo, ma arricchito qui da una leggerezza nuova, come se il suo teatro avesse passato un periodo di glaciazione per stemperarsi in un’ironia più cerebrale. D’altronde la scrittura di Tomasulo si fa scandaglio di certe atmosfere in cui il dialogo spezza i silenzi, celebra le ostilità, raggela la banalità del reale.
I diversi formati testuali da cui sono originate le parti del lavoro conferiscono dinamicità alla messinscena ma mettono alla prova l’omogeneità visiva risolta grazie alle scene di Fiammetta Mandich – essenziali ma portatrici di segni netti come per l’episodio dell’Amante in cui l’interno borghese è rappresentato da foto che riproducono il mobilio – e alle luci di Valerio Geroldi. Ma è nel lavoro attoriale e registico e nella totale reinvenzione, per alcune scene, di una linea fisica diversa da quella del testo, che sta la solidità del lavoro: nel terzo episodio, l’ambientazione del bagno – che per Tomasulo rappresenta il luogo in cui nascondersi dopo una lunga litigata di coppia – diventa per Iacozzilli la gabbia in cui due personaggi delle fiabe fanno del dialogo una macchina del massacro. Francesco Zecca, il Principe Azzurro, è intento a sturare un cesso da cui esce di tutto mentre deve rispondere alle questioni della partner; Biancaneve, seduta sul bidet, interpretata dalla splendida (per eleganza vocale e progressione) Francesca Farcomeni, è in grado di parlare solo a cuore aperto:
A volte, invece, vorrei che tu fossi paralizzato,[…], una volta paralizzato, non avresti più niente a parte me, nessun altro che voglia stare con te, che accetti di limitare la sua vita per colpa di un paralitico. Allora tu non potrai fare altro che amarmi infinitamente e sperare che io non ti lasci mai…
La scrittura di Tomasulo richiede sicurezza, ironia dosata al punto giusto, la capacità di giocare sulle apparenze e le dissimulazioni, quasi per mettere alla berlina il personaggio, per girarci attorno e improvvisamente difenderlo a spada tratta: e tutto ciò è evidente nel lavoro di Simone Barraco, Francesco Meloni e Marta Meneghetti nell’Amante. Il secondo, La telefonata (forse il più debole dal punto di vista della scrittura), è giocato invece su una narrazione che ha alcuni accenti da stand-up comedy, ma soprattutto è una piccola prova d’attrice in cui Ramona Nardò diverte con leggerezza.
Eppure a leggere bene tra le righe, ad ascoltarli con attenzione questi personaggi, più simili a scarabocchi esasperati, ci accorgiamo che il paesaggio che ne viene fuori è asfissiante e l’amore – grande tema che ha il compito di legare queste tre stanze di tortura che altrimenti sarebbero davvero troppo chiuse in compartimenti stagni – è uno strumento di violenza più che di felicità. La relazione è malata, divenuta un’abitudine solida e ruvida come il marmo, presa nella morsa delle convenzioni sociali, è tutto fuorché incontro e poesia.
IVAN: Ma perché ti sei innamorata di me?
SUSAN: Perché avevo bisogno di un motivo per alzarmi la mattina. Sai? La mattina spesso penso che se fossi morta non sarei costretta ad alzarmi. (da Il Bagno)
Andrea Pocosgnich
DA SOLI NON SI È CATTIVI
dedicato a Matteo Latino
di Tiziana Tomasulo
regia Fabiana Iacozzilli
con Simone Barraco, Francesca Farcomeni, Francesco Meloni, Marta Meneghetti, Ramona Nardò, Francesco Zecca
aiuto regia Francesco Meloni
assistenti alla regia Federico Spinelli, Silvia Corona, Gianmarco Vettori, Francesca Sansone
scene Fiammetta Mandich
costumi Gian Maria Sposito, Davide Zanotti
trucco Simona Ruggeri, Laura Alessandri
disegno luci Valerio Geroldi
collaborazione artistica Riccardo Morucci, Alberto Bellandi, Giada Parlanti
Una produzione Lafabbrica e La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
in collaborazione con Centro Artistico Internazionale Il Girasole, Associazione Ex lavanderia, Centro Internazionale La Cometa, Sycamore T Company
con il sostegno di Kollatino Underground, Teatro Biblioteca Quarticciolo e Clossa Lab