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Vinicio Marchioni. I fogli sporchi di Dino Campana

Vinicio Marchioni porta in scena Dino Campana in La più lunga ora, al Teatro Piccolo Eliseo di Roma. Recensione.

Vinicio Marchioni
Foto Teatro Eliseo

Questo è un articolo un po’ personale, lo riconosco. Però non ne posso fare a meno e certe cose mi tocca di dirle così. Perché quando il critico conosce l’artista, finisce per raggiungere qualche profondità in più che magari non si avverte in superficie, ma soprattutto perché l’ostinazione e l’istinto in arte vanno di pari passi, sentire è atto di totale dedizione alla materia, con la quale non si può che entrare a contatto diretto, epidermico. Allora uno come Vinicio Marchioni, attore che in questi anni ha ottenuto successi dal cinema e dalle serie tv, ma anche dal teatro (recente la fortunata tournée con Un tram che si chiama desiderio di Antonio Latella), poteva benissimo continuare questo percorso di ascesa e puntare a una riconoscibilità con sforzo minimo, sulla forza d’inerzia prodotta dall’energia dei suoi lavori più celebri. Eppure, animato dalla convinzione che una forte passione non possa in alcun modo ridursi a minute opportunità, su palco del Teatro Piccolo Eliseo di Roma ha immaginato di creare nuovamente lo spazio dove rintracciare la voce del poeta amato Dino Campana, cui già nel 2009 aveva dedicato, in forma diversa, il testo scritto di proprio pugno La più lunga ora (e prima di debuttare alla regia di un classico con un prossimo Zio Vanja prodotto da Khora Teatro e dal Teatro Nazionale di Firenze), in cui si mescolano accenni biografici e i versi provenienti dai Canti Orfici.

Vinicio Marchioni
Foto Teatro Eliseo

È solo il poeta, nella sonorizzazione composta ed eseguita in scena dal polistrumentista Ruben Rigillo entra incerto nella stanza, ma portando con sé l’illusione di essere già lì, l’espressione di chi ha ceduto all’immobilità del corpo su quella sedia malconcia ma non del pensiero che invece vola, alto sopra le grettezze del panorama editoriale dal quale è stato reietto, oltre le sbarre di un istituto di detenzione manicomiale inadatta a comprimere la fuga di parole vibranti, libere. Dino Campana è tra i poeti del Novecento il caso assoluto, non comparabile, di un autore intriso dei propri versi, al punto di diventarne vittima, essere sconfitto dalla propria vocazione a dar forma alla vaghezza, partitura a ciò che è musica. Campana vive i propri versi come imprescindibili alla propria esistenza, ne è prova lampante il concepimento dell’opera che li contiene, sempre non finita, da difendere, da conservare e allo stesso tempo aprire allo sguardo altrui, attraverso cui aspirare all’approvazione da parte del mondo culturale, del suo mondo; e pertanto, del mondo tutto.

Vinicio Marchioni
Foto Teatro Eliseo

Nel Campana di Vinicio Marchioni, forse meno cupo del testo originale di otto anni fa, resta quel suo spirito indomato, messo a fuoco nel punto di maggiore esposizione, quando cioè la scrittrice Sibilla Aleramo, la “sua Rina” (è Milena Mancini che irrompe a darle voce seduta sul lato destro della scena), se ne innamora e vive con il poeta in pochi tempestosi mesi una passione inguaribile. Dall’amore subisce lo stesso colpo apoplettico avuto dalla poesia, un volo altissimo e una repentina delusione, attrazione e repulsione verso la propria sfera emozionale, verso sé stesso. Marchioni stretto in una camicia di forza incamera questa compressione nel personaggio, lo rinchiude nel corpo come fu proprio per Campana, avvinto alla sensibilità fino ad esserne sopraffatto.

La centralità della sedia dona al personaggio un’abitazione dello spazio animata dalla certezza di esistere, eppure la sua voce fa tremare i versi, li disarciona dall’opera in cui sono compressi; ha un bastone e una gamba offesa, ma non è la sola delle ferite: nel suono sciamanico di Rigillo si intuiscono una per una, si dispongono come i fogli scritti, sporchi, a far da tappeto a certe parole in volo sulla distesa accartocciata. Come non vi appartenessero, come se l’opera fosse ancora, tutta, nella testa del poeta.

Simone Nebbia

Teatro Piccolo Eliseo, Roma – maggio 2017

LA PIÙ LUNGA ORA – memorie di Dino Campana
scritto diretto e interpretato da Vinicio Marchioni
con Milena Mancini
musiche scritte ed eseguite dal vivo da Ruben Rigillo

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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