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Pinocchieide vol.1. L’epica dell’ascolto di Andrea Carvelli

Pinocchieide vol.1 scritto da Andrea Carvelli è andato in scena al Teatro Tordinona nella rassegna IKNÉ – TRACCE Teatrali. Recensione

Foto di Dario Vegliante

L’attesa che uno spettacolo possa sedimentarsi, stratificarsi nel tempo arricchendosi o privandosi di elementi, è una sorta di diletto professionale: amiamo essere osservatori di un processo creativo e poi scenico che attraversa distinte fasi di eleborazione alle quali, con maggiore o minore distanza, prendiamo parte. Il festival IKNÉ – TRACCE Teatrali, conclusosi qualche settimana fa, è stata una piccola rassegna di sette spettacoli organizzata al Teatro Tordinona avente l’intento di presentare quei lavori che hanno attraversato in questi ultimi anni quel «crocevia imprescindibile» e intricato che è la scena romana. In questa occasione abbiamo incontrato nuovamente Andrea Carvelli, Matteo Cusato e Anton de Guglielmo, gli artigiani di Pinocchieide – vol.1. Sono passati ormai due anni da quando questo lavoro, scritto da Carvelli, diretto da Cusato (alla sua prima regia teatrale) e animato da de Guglielmo, ha avuto origine sottoforma di residenza artistica negli spazi ancora oggi tormentati del Rialto Santambrogio. Il primo volume di quest’ “epica collodiana” ha dapprima debuttato nella rassegna Rialto Mon Amour, poi è stato presentato lo scorso anno al Teatro dell’Orologio e infine è diventato una traccia nella sala Strasberg del Tordinona. Un percorso in parallelo rispetto alla sua vita scenica, è stato quello che ci ha spinto a seguire Pinocchieide in questi anni: con un’intervista, con confronti e chiacchiere che ci hanno permesso di entrare, e anche affezionarci, a questa prima parte di lavoro. L’intento di Carvelli, autore già conosciuto di CK Teatro, è quello infatti di dividere l’opera in tre volumi come sono state le uscite dei tre capitoli del libro di Collodi, individuando altrettante distinte cesure. «Provocatoriamente crediamo che nessuno abbia mai colto il reale spirito del libro»: da qui l’idea di affrontare un testo molto popolare restituendo la natura più macabra del libro originale che consiste nel viaggio di Pinocchio nel Regno dei Morti, tema centrale del «cuore nero del libro».

Foto di Dario Vegliante

L’intento è ambizioso, e di non semplice fruizione per lo spettatore, invitato a entrare nell’oscurità di una dimensione quasi metafisica, le cui scene e i costumi di Carvelli sembrano proprio incarnare i segni dell’arte di De Chirico: i parallelepipedi di legno mobili sono, su alcune delle facce, diversificati da colori primari che avvicinati o allontanati decostruiscono continuamente l’essenziale architettura scenica. Al centro di essa e introdotto da un lungo, forse troppo, prologo in voce off interpretato da Emilio Barone, Alessandra Chieli e Francesco Turi, fa il suo ingresso Pinocchio. Nei panni del burattino, Anton de Gugliemo è sia corpo attoriale  che manovratore della scena e di un “altro” Pinocchio di legno. Scissione interpretativa, questa, indice di quella separazione drammaturgica che rappresenta «una variante al mito di fondazione della morte, dove il corpo – bambino – ha l’inevitabile destino della fine e l’anima – burattino – tutto il tempo dell’immortalità». L’approccio di Carvelli è dunque estremamente analitico e distaccato, da questa scelta deriverebbe forse la difficoltà di coinvolgimento da parte dello spettatore. Pinocchio parla senza alcuna intonazione raccontando la sua storia in prima persona che è qui adattata in versi endecasillabi a rima baciata (la visione dello spettacolo è coadiuvata da un libretto), in dialogo con le voci di Geppetto, il Gatto e la Volpe, il Grillo, Mangiafuoco e la Fata Turchina. La scelta di utilizzare l’endecasillabo a rima baciata «è un richiamo dell’infanzia, il metro per eccellenza delle filastrocche per bambini» restituito sulla scena da un’interpretazione estremamente straniata che nell’assenza di intonazione e accentazione dei versi risulta propria di una voce, appunto, di marionetta.

Foto di Dario Vegliante

Ci viene richiesto di tornare, e con fatica, all’esercizio dell’ascolto tralasciando per un attimo l’apparente passività dell’atto di visione; il che aggiunge un’ulteriore separazione tra ciò che si sente e quel che si vede in scena. Pensiamo di dover usare gli occhi ma in realtà il senso da affinare per la fruizione di questo lavoro è proprio l’udito. Pinocchieide è dunque un teatro di voci che mette in crisi, consapevole del rischio, la condizione stessa di spectator, dal latino “spectare” ovvero guardare.

Lucia Medri

Teatro Tordinona – maggio 2017

PINOCCHIEIDE VOL.1

tratto da Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi
drammaturgia di Andrea Carvelli
regia di Matteo Cusato
con Anton de Gugliemo
e la partecipazione di Emilio Barone, Alessandra Chieli, Francesco Turi
scenografia e costumi di Andrea Carvelli
musiche originali di Marco Cinquegrana
Disegno luci di Rosa martino
Una produzione di A. Carvelli. M.Cusato, F. Turi e dell’Ass.Cult. Rialto Sant’Ambrogio
Si ringraziano Ass. Cult. Dinuovonuovo, Simona Carvelli, Daniele Poce, Giulia Cervini.
Pinocchieide – edited by Cartiglio

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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