Valentina Bischi e Francesca Sardella adattano nello spazio scenico di RomArt il romanzo “Die Panne” di Friedrich Dürrenmatt. Recensione.
Dio si sta facendo sempre più un rituale e il destino non si prega ad alta voce ma si costruisce con l’intenzione oppure s’abbandona a se stesso, siamo in un momento storico dove tutti gli sforzi sono orientati a fare del reale il razionale. È forse adesso che si può capire come il racconto di un incidente del tutto casuale di un individuo qualunque, un “guasto” per attenerci al titolo dell’opera, possa essere alibi e ambiente per presentare agli uomini il valore del giudizio, della giustizia e, ancora più solitariamente, della propria coscienza. Già nel 1956 Friedrich Dürrenmatt in ottanta pagine tentava di dire, con sconfitto sarcasmo e dedizione, che è talvolta il Caso, meglio se ubriaco, a fornire all’essere umano la capacità di indagarsi e leggersi all’interno.
A Roma, in mezzo a un reticolo di strade quasi periferiche, c’è un pulviscolo di pura meraviglia. Si gira l’angolo, la vista si chiude in una scatola di palazzine ed è in un negozio di queste che uno entra. Dentro è un altro mondo, come a dire che non è questo ma quello di cinquant’anni prima, con i colori pastello di elettrodomestici ancora in embrione a riflettere sui cristalli di un lampadario di vent’anni ancora più vecchio. Si chiama RomArt, non lo chiamiamo teatro però lo è e di più di un’epoca e, poi, il verbo guardare con cui “teatro” si traduce sembra compiersi ancora più intensamente che in un luogo destinato allo spettacolo: ci guardiamo tutti da vicino. Siamo conviviali seduti al tavolo a luce spenta, di ognuno rimane la sagoma di chiunque.
Valentina Bischi, con una maschera in volto e cinque voci sulle labbra, intonate con una modulazione distinta per ogni personaggio previsto dal testo originale, racconta e infligge con gli occhi – l’unico tratto che le rimane di personale in viso – l’adattamento teatrale di Die Panne. Siede a capotavola e svolge un vero e proprio processo alle intenzioni di un uomo figlio della propria ambizione, consapevole di ingannare e tradire (non importa se una moglie o se stesso) pur considerandosi inappuntabile, legittimato dal gran daffare che si è procurato con lo sforzo di esistere e doversi creare da sé. Insieme a Bischi struscia sulle sedie Francesca Sardella in un mutismo diametralmente contrapposto alla piena di parole che la compagna ha predisposto per essere più di un soggetto; con la fiamma delle candele traccia una fuga luminosa per gli occhi di tutti quando non faticano per ostinarsi a dare un volto alla collega. E così la parola si sparge sulla tavola, tanto vicina che tutti possiamo decidere la porzione da assegnarci, tanto che sentiamo di contare tutte quelle che saremmo capaci di dire in nostra difesa qualora capitassimo in compagnia di una ingrata casualità, fosse anche la stessa dello sventurato uomo in panne; e il silenzio le si avviluppa intorno, permettendo di avvertire una coscienza che le metterebbe a tacere.
Francesca Pierri
RomArt, Roma -aprile 2017
Di e con Valentina Bischi
e con Francesca Sardella
spazio scenico RomArt di Marco Garzia
maschere Ferdinando Falossi