La Biennale del Mediterraneo si è svolta tra Tirana, Durazzo e Bari. Qui abbiamo visto Katër i Radës. Il naufragio dei Cantieri Teatrali Koreja. Recensione.
«Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia». Orizzonte e terreno di secoli di storia e culture, lo storico francese Fernand Braudel ha dedicato al Mediterraneo un omonimo testo memorabile, fondamentale per gli studi dell’identità di questo mucchio di terre distinte, ma tenute insieme dallo sguardo sulla stessa linea di confine tra terra e mare.
Sono numerosi i movimenti che provano a raccogliere quella molteplicità di prospettive entro obiettivi comuni; un esempio mirabile è BJCEM, Biennale des jeunes créateurs de l’Europe et de la Méditerranée, una rete internazionale fondata a Sarajevo nel 2001, con sedi amministrative a Bruxelles e a Torino, fondata per fornire una solida compagine istituzionale alla Biennale del Mediterraneo, nata già nel 1984 a Barcellona. Attualmente sono 21 i paesi che compongono questa rete – tra cui Grecia, Serbia, Montenegro, Palestina, Portogallo, ma anche Marocco e Kosovo – con l’intento comune di creare delle opportunità di formazione, scambio, mobilità in una postura di dialogo interculturale e mutua assistenza.
Questa edizione della Biennale, Mediterranea 18 – Young Artists Biennale, si è svolta per la prima volta in Albania, nelle città di Tirana e Durazzo. Abbiamo avuto modo di essere presenti in occasione della data barese di Pre-Biennale e durante i primissimi giorni albanesi. La scelta di fare arrivare operatori e artisti di tanti paesi differenti a Bari, per poi traghettarli lungo un viaggio navale notturno, ha un evidente portato simbolico: trattasi infatti dell’inversione della traversata – il più delle volte drammatica e accidentata – di tanti migranti in cerca di condizioni migliori. Durante il viaggio notturno Bari-Durazzo è stato predisposto un momento di incontro con decine di artisti e operatori intorno ai temi di questa edizione: storia, conflitto, sogno, fallimenti. Dal porto di Durazzo alla città di Tirana, lungo chilometri di terre scottate dal sole, scorre un paesaggio disordinato, abitato da antiche rovine e nuovi mostri architettonici, figli della più recente urbanizzazione. Nella capitale dell’Albania, città vivace e disordinata, gli artisti trovano i luoghi per installazioni visive e performance. Alcune di queste sedi che in un recente passato sono state fortemente connotate – siti della precedente istituzione filosovietica – vivono nuove esistenze, grazie ai contributi dei giovani artisti presenti alla Biennale. Poiché non ci è stato possibile seguire la totalità delle giornate, restituiamo la visione dell’unico spettacolo visto nella sua completezza.
Dopo la conferenza stampa, durante la quale Michelangelo Pistoletto ha presentato la sua opera Mar Mediterraneo, nello spazio del Teatro Kismet è andato in scena Katër i Radës. Il naufragio. Su commissione della Biennale di Venezia, la musica di Admir Shkurtaj e il libretto di Alessandro Leogrande trovano nella regia di Salvatore Tramacere (Koreja) l’occasione di una fortunata mescolanza di linguaggi. Il naufragio del 1997 nel Canale di Otranto della motovedetta Katër i Radës, con a bordo oltre cento profughi in fuga da un’Albania disastrata dalla guerra civile, è causato dall’urto con le navi della Marina militare italiana, impegnate in operazioni di dissuasione e respingimento. Katër i Radës tuttavia – precisa Leogrande – non vuole limitarsi a essere un documento della memoria, quanto piuttosto «liberare l’universo umano di chi è andato incontro a una delle tante tragedie del Mediterraneo», attraverso una costruzione scenica stratificata. L’orchestra sul proscenio, diretta da Caterina Centofante, compone un tappeto sonoro articolato e ricco – fisarmonica, clarinetto, tromba, pianoforte, oscillatori analogici, percussioni – intrecciato con le voci di chi agisce la scena. La regia di Tramacere richiede una fruizione immersiva: gli spettatori ai bordi laterali della scena, vengono investiti non soltanto dalla moltitudine di sonorità strumentali, dai gorgheggi, dai canti popolari albanesi, ma anche dall’agire scenico di drammaturgia musicale, che coinvolge anche lo spostamento di una grande gabbia scenografica – supporto mobile sui flutti. L’opera, priva di semplificazioni ideologiche, riesce a non essere soltanto monumento commemorativo, bensì un lavoro vivo e senziente, arso dall’urgenza di una vicenda cocente e vivificata dalla sorprendente commistione di linguaggi e impatti.
Giulia Muroni
KATËR I RADËS. IL NAUFRAGIO
commissione la Biennale di Venezia
musica Admir Shkurtaj
libretto Alessandro Leogrande
regia Salvatore Tramacere
direzione Pasquale Corrado
assistente alla regia Emanuela Pisicchio
scene e luci Michelangelo Campanale
costumi Stefania Miscuglio
realizzazione scene e tecnica Mario Daniele, Simona Gubello
con Maria Luisa Casali, Stefano Luigi Mangia, Alessia Tondo, Emanuela Pisicchio, Anna Chiara Ingrosso, Fabio Zullino, Admir Shkurtaj
fisarmonica e oscillatori analogici Marco Ignoti
clarinetto basso e clarinetto in sib Giorgio Distante
tromba in sib e live electronics Jacopo Conoci
violoncello Vanessa Sotgiu
pianoforte Pino Basile
cupa cupe e percussioni Nazo Celaj, Nokolin Likaj, Meleq Cela, Sali Brahimaj, Vensim Kapaj
coro polifonico canti tradizionali albanesi Violinat e Lapardhase
coproduzione la Biennale di Venezia, Koreja