Teatro in video 41° appuntamento. In questo video – andato in onda per la prima volta nel 1983 sulla rete televisiva tedesca Suddeutscher Rundfunk – la musica di Schubert incontra le opere televisive di Beckett.
Secondo Samuel Beckett, il mondo non è un paese per vivi. I morti trovano la pace dall’agonia di nome “esistenza” che i viventi sono costretti a sopportare. Eppure, all’interno di questo insensato scenario, uomini e donne possono ancora provare indescrivibili dolcezze, o lampi di felicità inaspettati.
Su tale idea portante, si basa uno degli ultimi lavori di Beckett: il teledramma Nacht und Traüme (Notti e sogni) del 1982. Il titolo è ripreso dal Lied omonimo di Schubert, su versi del poeta Henrich von Collin.
Non è la prima volta che Beckett propone un lavoro ispirato al compositore. Già nel 1956, egli aveva composto il radiodramma Tutti quelli che cadono, al cui interno assume un ruolo preponderante il quartetto per archi in re minore de La morte e la fanciulla di Schubert. L’amore per il compositore ha tuttavia origini più antiche, tanto che la prima attestazione nota di apprezzamento si trova in una lettera spedita a McGreevy il 24 febbraio 1932 (ora in AA.VV., The Letters of Samuel Beckett, Vol. 1: 1929-1940, Cambridge, Cambridge University Press, 2009). Beckett loda Schubert perché «had plenty of nobility» e confessa di non conoscere «any chamber music that works so skillfully».
Tornando a Nacht und Traüme, cosa accade di rilevante? Per capirlo, occorre citare von Collin:
Santa notte, scendi;
Anche i sogni scendono,
Come il tuo chiaro di luna nella stanza,
Nel silenzioso cuore dell’uomo.
Egli li ascolta con piacere;
Li richiama, quando si leva il giorno:
Ritorna, santa notte!
Dolci sogni, ritornate!
[H. von Collin, Nacht und Traüme, trad. Di Stefania Santandrea (a cura di), Franz Schubert: Lieder e lavori corali, Faenza, Mobydick, 2006]
Il poeta rappresenta un “io” che chiede alla notte di tornare e portare con sé un sonno pieno di «dolci», che danno di per sé una tregua dalle angosce della veglia. Beckett recupera questa dimensione, dando tuttavia all’Io poetico un’identità precisa (un vecchio che canta gli ultimi due versi del Lied) e rappresentando le sue visioni oniriche. Esse consistono nelle mani di un’ignota persona, che leniscono per pochi attimi la solitudine del personaggio coll’adagiarsi piano sul suo corpo e coprendogli la fronte con un panno delicato.
Il motivo romantico di von Collin è in tal modo amplificato, mentre la cupa visione beckettiana dell’insensatezza della vita è addolcita. I sogni del vecchio appaiono, infatti, come attimi di tregua dal dolore e si stagliano con la delicatezza di una rosa che spunta dalla melma di una palude.
Enrico Piergiacomi
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