Teatro in video 42° appuntamento. Parliamo del capolavoro di Tony Kushner, Angels in America, qui un video raro di una messinscena del 1993
Tra le controversie e i plausi che ne accompagnarono l’uscita, nel 1994, il saggio di Harold Bloom Il canone occidentale. I libri e le scuole delle età stupì i suoi lettori anche per l’inclusione di un recente testo teatrale, il cui debutto sui palcoscenici di Broadway risaliva soltanto all’anno precedente. In questa vertiginosa lista di opere considerate fondamentali per la definizione di una cultura occidentale, il decano della critica letteraria statunitense aveva inserito una creazione di assoluta contemporaneità, che tuttavia sembrava meritoria di una menzione accanto a titoli come Amleto, Guerra e pace o Ulisse già per i suoi soli aspetti formali: quasi sette ore di spettacolo divise in due capitoli dai titoli enigmatici ‑ Si avvicina il millennio e Perestroika ‑, un’azione scenica che si dipana dall’ottobre 1985 al gennaio 1990, circa trenta personaggi. Ma è nella densità di suggestioni e nella monumentale ricchezza tematica che Angels in America si rivelò immediatamente come un’odierna epopea: ritratto della società reaganiana, il capolavoro di Tony Kushner ne condensava lo Zeitgeist e al contempo delineava l’approssimarsi di nuove, sconosciute angosce.
Nella New York livida e sontuosa in cui Kushner muove una piccola folla di straordinarie figure ‑ gay e mormoni, ebrei e afroamericani, gli esponenti di minoranze lontane da quel paradiso wasp che il rampantismo dominante sembrava voler edificare ‑, è il virus dell’HIV a rivelare lo spirito del tempo e il suo orrore. Su una tela volta a illustrare le conseguenze del deflagrare della pandemia di AIDS, l’estro creativo di Kushner dipinge però un universo di simboli e metafore, accumulando con ironia yiddish riferimenti al maccartismo e accenni alla questione ecologica, riflessioni sul senso della storia e excursus sull’emigrazione europea. Epocale come opera letteraria, Angels in America lo fu anche come evento teatrale: l’opera vinse il premio Pulitzer, e l’allestimento al Walter Kerr Theatre ‑ di cui vediamo alcuni estratti ‑ riuscì ad aggiudicarsi il premio Tony. Diretta da George C. Wolfe, questa storica edizione del 1993 vede nel ruolo della dolente Harper un’ancora poco nota Marcia Gay Harden, premio Oscar nel 2001 per Pollock. In Italia furono Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani a firmarne una versione indimenticabile (qui la recensione), insignita di tre premi UBU. E a ventiquattro anni di distanza dalla prima londinese diretta da Declan Donnellan, quei comici angeli che, affetti da una surreale ninfomania, profetizzano al sieropositivo Prior la vicina apocalisse di un mondo al collasso, stanno in questi giorni calcando il palco ‑ e fendendo l’aria ‑ del Royal National Theatre, in un allestimento diretto da Marianne Elliott.
Alessandro Iachino
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