Industria Indipendente in scena a Roma con I ragazzi del cavalcavia visto al Teatro Vascello. Recensione
La polizia stradale ha iniziato a numerarli dopo l’accaduto, hanno poi cominciato a impiantare ai loro bordi delle reti e a costruire muri più alti, e quando capita di passarci sotto, ormai lo sguardo punta in alto, quasi per controllare che non ci sia nessuno che stia giocando…
Era il 26 dicembre 1996 e sull’autostrada Piacenza-Torino, un ragazzo de “la banda della Cavallosa”, lanciò un sasso colpendo la Fiat Panda sulla quale viaggiava Maria Letizia Berdini. Nel mese di gennaio i fratelli Franco, Paolo e Alessandro Furlan e il cugino Paolo Bertocco vennero arrestati con l’accusa di omicidio volontario e condannati a ventisette anni e sei mesi di carcere.
«Per scacciare la noia non sapendo come trascorrere una serata d’inverno nel periodo di Natale» fu una delle dichiarazioni che colpirono gli inquirenti: il vuoto, la monotonia e la solitudine di una serata malinconica spinsero quei giovani – di età compresa tra i diciotto e i venticinque anni – a tornare sul cavalcavia di Tortona per svoltare la serata. Partendo da questa nudità esposta e tragicamente chiara, Erika Z. Galli e Martina Ruggeri di Industria Indipendente, già vincitrici del Premio Hystrio per le Scritture di scena 2014, hanno elaborato la drammaturgia scenica de I ragazzi del cavalcavia nato a seguito di un lungo periodo di gestazione e prove laboratoriali durato due anni e iniziato nel 2013. Dopo il debutto nel 2015 a Trasparenze Festival di Modena, lo spettacolo – autoprodotto con la collaborazione di Carrozzerie Not – è tornato in scena la scorsa settimana al Teatro Vascello. Scritto e diretto dalle due autrici, il lavoro si sviluppa in uno spazio inizialmente vuoto e poi riempito da oggetti portati gradualmente in scena dai cinque protagonisti: Alberto Alemanno (Zio Tex), Maziar Firouzi (Maschio), Francesco La Mantia (Ruvido), Daniele Pilli (Tacco) e Michael Schermi (Rock). Poiché «di quella vicenda non esiste una verità storica, ma solo una processuale», come affermò all’epoca il legale Roberto Tava, le due autrici hanno deciso di costruire una fabula originale e autonoma, con tanto di personaggi dai soprannomi inventati, scegliendo di non studiare gli atti del processo ma di costruire una narrazione esclusivamente incentrata attorno la quotidianità della famiglia Furlan. Durante una chiacchierata informale, sia Galli che Ruggeri affermano di aver iniziato a scrivere partendo dall’omicidio per rendersi poi conto di quanto fosse riduttivo e poco congeniale alla volontà di ipotizzare le ragioni di un simile, e ancora oggi, assurdo gesto.
Nucleo del testo, recitato in dialetto, inserito e promosso nell’ambito del progetto Fabulamundi Playwrtiting Europe, è il monologo di Rock incarnato dalla maturità interpretativa e versatile di Schermi, il quale sa rendere manifesto tanto quel sentimento di ingenuità da ragazzo di provincia, quanto la spiccata propensione a volersi, con arroganza, imporre sugli altri per sconfiggere l’inadeguatezza e la frustrazione. Da questa iniziale centralità della scrittura si è poi articolata la mole di lavoro che nei due anni di processo creativo ha accompagnato le fasi di laboratorio con il gruppo di attori: «volevamo partire dall’idea mitica dei titani che imperversavano sul mondo prima dell’intervento regolatore degli dèi olimpici e unirla a quella del branco, dando così ai personaggi una connotazione ibrida in equilibrio tra classicità e ferinità». Approccio interpretativo rispetto al quale il gruppo di attori si dimostra nel complesso all’altezza, anche se non tutti possiedono lo stesso livello di abile spontaneità. Lo spettatore è quindi invitato a entrare nella semplicità della monotonia, e a tratti dello squallore, della provincia, dove al lavoro si affiancano i momenti goliardici e triviali in discoteca e al bowling che condurranno quella apparente tranquillità delle festività natalizie a trasformarsi in gioco feroce e incontrollabile. Un gesto ingiustificato certo, ma forte di una spinta ribelle nei confronti di un contesto apatico nel quale quegli stessi ragazzi vogliono affermarsi, tramite un’azione estrema. Le scene si focalizzano sulla biografia scenica dei personaggi, attentamente studiata prima e restituita poi sul palcoscenico delineando un racconto familiare in cui l’atto violento del finale si palesa come inevitabile conseguenza. L’omicidio è un caso fortuito e disgraziato per la vittima, il lancio del sasso invece no, fa parte infatti di un rito riconosciuto dai ragazzi come appartenente alla “normalità”: un gioco a punti che ha come premio una pizza.
La scrittura scenica di Galli e Ruggeri mantiene volutamente un’umile e prudente distanza di giudizio rispetto al fatto di cronaca con la consapevolezza, tuttavia, che una simile estraneità possa risultare «ambivalente» per lo spettatore. Non è tratteggiata in alcun modo una presa di posizione, la colpa verso i criminali non è espressa, il dito non è puntato contro nessuno, neanche contro gli effettivi responsabili. Facendo riferimento alle parole della sorella della vittima – spettatrice a Civitanova Marche (città di origine di Berdini) – a essere mostrata è invece «la tragedia degli altri». Sul finire degli anni Novanta i fatti inerenti “la banda della Cavallosa” hanno segnato l’immaginario di giovani e adulti, e avviato una macabra moda come dimostrano i successivi episodi di emulazione; quale sarebbe dunque la necessità, teatrale, di addossare delle colpe quando è il dramma stesso di due famiglie (dei carnefici e della vittima) a renderle storicamente evidenti?
Lucia Medri
visto al Teatro Vascello – aprile 2017
I RAGAZZI DEL CAVALCAVIA
di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri
con
Alberto Alemanno
Maziar Firouzi
Francesco La Mantia
Daniele Pilli
Michael Schermi
Disegno luci
Gigi Martinucci
Costumi
Livia Fulvio
Musiche originali
Diego Buongiorno