Sofia Bolognini con la sua compagnia bologninicosta, ha debuttato con ST(r)AGE al Cinema Palazzo, grazie al progetto residenziale Cotrabbando. Recensione
Il Cinema Palazzo è il ventre disabitato di una città bombardata, nella quale fanno fatica a vivere anche gli artisti più o meno affermati e allora per i giovanissimi non sembrerebbe esserci speranza. E infatti così è, non fatevi strane idee e pensieri ottimistici: il Teatro dell’Orologio è ormai chiuso da quasi due mesi e quando riaprirà (se riaprirà) sarà ben diverso dal multisala che conosciamo. Per lavorare tra le macerie c’è bisogno di sognatori in grado di costruire. Massimo Paganelli (operatore culturale, è stato inventore e direttore di Equilibrio Festival) in un incontro con un gruppo di allievi attori presso la scuola di recitazione Teatro Azione, qualche giorno fa, parlava del teatro come di una forza in grado di far muovere l’orizzonte. Paganelli per l’appunto è un sognatore, ma anche un costruttore.
Cosa se ne fa l’artista di quelle macerie, come può trasfigurare un’immagine di morte in una vitalità insperata, in un raggio che illumini la comprensione e l’emozione?
Trasfigurare la città bombardata per farne teatro, aspettare che il pubblico prenda posto nel ventre di cemento, attenderlo su una fila di sedie orizzontali disposte sotto al palco e poi inondare quegli stessi spettatori con un cinico sproloquio, il teatro è merda, il teatro è salvezza. Questo il senso del prologo e della visione della venticinquenne Sofia Bolognini che al Cinema Palazzo ha portato un oggetto spettacolare tanto indomabile quanto sincero, ST(r)AGE. Un racconto in cui vibrano dosi massicce di ironia punk, tensioni generazionali, spunti metalinguistici e il coraggio di guardare allo sfacelo della situazione contemporanea proattivamente.
La compagnia bologninicosta – allo stesso modo in cui avviene per certi artisti in grado di usare lo scarto come il suo contrario ovvero come materia prima, si vedano le opere di Francisco de Pajaro ad esempio – non attende la fine con immobilismo, trasforma invece gli scarti dei sogni in teatro per attori e parole. Anche perché in questo caso lo scarto da recuperare e valorizzare non è la spazzatura abbandonata agli angoli delle strade ma i sentimenti alla deriva, le utopie scoppiate in mille pezzi di fronte ai nostri occhi fermi, i desideri soffocati da un sistema teatrale in cui spesso prevale l’egoismo.
Il testo di Sofia Bolognini fa emergere tutto questo ancorandolo a un plot drammaturgico che parte da un’efficace idea apocalittica: una regista organizza una call destinata a tutti i teatranti del Paese, la chiamata dovrà risolversi con un atto definitivo, violento e necessario, perché attraverso la sparizione dell’esistente si possa ambire a una rifondazione.
«Si apre il sipario, gli attori sono in schiera l’uno di fianco all’altro, fronte pubblico come sagome nere, immobili. Uno spettacolo esplosivo, l’ultimo spettacolo che va in scena contemporaneamente in tutti i teatri del pianeta, allo scoccare dell’ultima ora. […] Eccolo, arriva il gran finale, l’ultimo brivido che possiamo darvi. Abbiamo lottato. E abbiamo perso. Gli attori come sagome nere, ultima ombra impressa sul muro. Per questo dico che lo spettacolo è esplosivo. Perché ad un certo punto gli attori sparano».
Queste parole le pronuncia la Regista Maicontenta; gli altri membri di questa compagnia votata alla strage sono Attore Cane, Emergente e Celebrità, tipi umani le cui relazioni sono già ben rappresentate dai nomi che portano.
Aleggia insomma l’ombra di un suicidio di massa, ma la drammaturgia lavora almeno su due piani, uno prima del folle gesto e un altro successivo a una catastrofe (non sappiamo se sia la stessa), durante il quale alcuni sopravvissuti si rifugiano in un teatro senza neanche sapere cosa il teatro sia. Naturalmente gli attori sono i medesimi nei diversi piani narrativi, data la povera strumentazione a disposizione per ciò che riguarda disegno luci e scena (vuota), hanno il compito di far percepire lo scatto da un mondo all’altro: Aurora Di Gioia, Giorgia Narcisi, Daniele Tagliaferri, Andrea Zatti sono efficaci, appassionati, talentuosi, credibili e generosi; lottano per salvarsi, in un corpo a corpo tra di loro e con il tappeto sonoro di Dario Costa.
Certo è un lavoro ancora disordinato quello di Bolognini (sua anche la regia), che a fine spettacolo ringrazia proprio il Cinema Palazzo per aver messo a disposizione gli spazi in cui creare lo spettacolo, però è ricco di spunti e rimandi, oltre che essere influenzato da una gestazione sociologica in cui la raccolta dei dati è avvenuta attraverso interviste e questionari che poi potessero costituire, insieme alla lettura di Zygmunt Bauman, l’abbrivio per la composizione poetica. Tra la riflessione seria e l’ironia più o meno nascosta, le domande che pulsano nello spettacolo non possono che essere sempre le stesse: chi è oggi l’artista, a cosa serve?
«Il teatro è una merda, uno sputo, un piscio. È a questo piscio che mi sono consacrata, a questa merda d’artista, e mi sono elevata ad artista di merda. Umiliandomi, ovviamente. Mangiando merda, il mio corpo è diventato merda. Ed è questa merda umiliata, straziata e offesa che offro come mia opera ultima, pezzo di merda schiacciato dalla propria insignificanza. Voi siete la scarpa, noi gli artisti umiliati che per restarvi addosso ci trasformiamo in merda e ci offriamo alla vostra suola per farci poltiglia.»
Andrea Pocosgnich
Nuovo Cinema Palazzo – marzo 2017
ST(r)AGE (CANTIERI INCIVILI)
con
Celebrità / Timorata: Aurora Di Gioia
Regista Maicontenta / Tuttafretta: Giorgia Narcisi
Attore Cane / Fallito: Daniele Tagliaferri
Emergente / Scarto: Andrea Zatti
Drammaturgia Sofia Bolognini
Musiche originali Dario Costa
Regia Sofia Bolognini
Assistente alla regia Dario Costa
Ricerca Sociale Daniele Panaroni
Media Partner Edoardo Borzi, Cesare D’arco (Theatron 2.0)
Operatori Video Lorenzo Peyrone, Michele Galella, Giovanni Peyrone
Coproduzione Nuovo Cinema Palazzo _ContraBBando