La messa in scena del testo di Paul B. Preciado, a cura di Ariel dei Merli, a Foligno dentro la stagione di Performing Santa Caterina. Recensione
La bocchetta dell’aspirapolvere urta e gratta contro la parete semi-affrescata dell’Auditorium di Santa Caterina a Foligno. Federica Rosellini ha un corpo delicato, agitato da movimenti furenti: maneggia il tubo telescopico del bidone aspiratutto (unico oggetto in scena), lo sbatte di qua e di là. Poi, come riconoscendogli un primato, lo avvicina al microfono: lo spazio si riempie prima del brusio denso e familiare del macchinario e subito dopo della voce di lei che lo imita.
Inizia così Testo tossico, una produzione della compagnia Ariel dei Merli – sodalizio femminile che vede Rosellini, performer e regista, lavorare accanto alla sceneggiatrice e drammaturga Francesca Manieri – liberamente tratto da Testo Yonqui di Paul B. Preciado (nata Beatriz). Uscito in Spagna nel 2008, ci sono voluti sette anni perché raggiungesse l’Italia, edito da Fandango, nella bella traduzione di Elena Rafanelli che ha il pregio di innestare nell’originale alcune modifiche predisposte nelle versioni francese e inglese.
In un bilico sussultante tra memoir e manifesto filosofico-politico – Preciado è teorico di riferimento del postporno, il movimento che ricerca il sistematico smontaggio dei linguaggi che codificano e capitalizzano la pulsione desiderante, tipici di quella che lui chiama l’era «farmaco-pornografica» – la scrittura di Testo tossico si polarizza su due eventi privati: il lutto per la morte dell’amico Guillaume Dustan, editore e attivista e l’amore per Vi, Virginie Despentes, la regista di Baise-moi.
Federica Rosellini, sola sulla scena per più di un’ora, sostiene bene l’equilibrio tra passaggi effusivi e passaggi speculativi, restituendo la complicata riflessione che Preciado conduce sul corpo, unico avamposto possibile di una resistenza anti-sistemica e, allo stesso tempo, territorio mutante dove giocare la propria battaglia di dis-identificazione.
«Non prendo testosterone per diventare un uomo o per transessualizzare il mio corpo: lo prendo come rifiuto sociale, lo prendo per vendicare la tua morte […] la sua molecola si disperde nel mio corpo come un fantasma attraverso un muro». Questa doppia dimensione – teorica e sensistica – innerva in modo costante la pagina di Preciado, che la drammaturgia di Manieri segue molto da vicino, pur operando dei tagli (nelle note di regia si legge che lo spettacolo si concentra sul primo e sull’ultimo capitolo) che ne intensificano l’enigmaticità.
Rosellini, che ha curato anche la regia, si consacra alla performance con profonda dedizione e il suo corpo, sottile e forte, sostiene da solo – senza necessità di un apparato scenico – la difficoltà della fibrillante interrogazione alla quale è sottoposto. Al netto di alcuni piccoli errori nella (complicata e concitata) dizione del testo – che comunque sembrano quasi aggiungere una tonalità di spaesata verità alle parole pronunciate – la sua restituzione è persuasiva e struggente: a colpire sono soprattutto la furia atletica, le trasformazioni del volto mentre cataloga i «codici semiotico-tecnici» della femminilità e della mascolinità e la capacità di evitare ogni inflessione retorica nell’enunciazione della delicata materia memoriale.
La fedeltà della drammaturgia e l’essenzialità della messa in scena, che pure sorprendono, concedono un vero spazio alla scrittura di Preciado, facendosi veicolo – forse necessario – di una ricezione che, esondando dai circuiti dei gender-studies, ne sveli la plurileggibilità politica e la baluginante commozione.
Sul finale, dentro lo spazio che è stato invaso da un cyber-linguaggio tecnico e amaro – «nuovo regime post-industriale», «tecno-produzione dell’eccitazione globale»,«attaccare il sistema per via sintetica» – rimangono soltanto il chiarore caldo delle luci basse, il brusio dell’aspirapolvere, un tempo misurato in scarti dalla morte di un amico.
La risposta più viva al dolore distopico del contemporaneo, fronteggiato da Preciado con un preciso protocollo ideologico, è forse quel tanto di amore che, per accenni, traluce.
Ilaria Rossini
Auditorium Santa Caterina, Foligno – aprile 2017
TESTO TOSSICO
dal testo di Paul B. Preciado
con Federica Rosellini
regia Federica Rosellini
drammaturgia Francesca Manieri
aiuto regia Elvira Berarducci
disegno luci Maria de los Angeles Parrinello
produzione Ariel dei Merli