HomeArticoliBarbonaggio teatrale. A cercar pubblico fuori dal teatro

Barbonaggio teatrale. A cercar pubblico fuori dal teatro

Il Barbonaggio Teatrale di Ippolito Chiarello ha fatto recentemente tappa a L’Aquila con Fanculo pensiero. Stanza 510 ispirato al romanzo di Maksim Cristian e con la drammaturgia di Michele Santeramo.

foto di Paolo Porto
foto di Paolo Porto

«Son 35 anni ch’io vado per il mondo»… diceva Pier Maria Cecchini, attore della compagnia degli Accesi. Quando i Comici dell’Arte parlavano del proprio mestiere, non dicevano “commedia all’improvviso”, o “mercenaria”, “degli zanni” o “delle maschere”, né tantomeno Commedia dell’Arte – termine da intendersi inizialmente come dispregiativo, e che solo più tardi si fece simbolo di regalità.

La forma di Barbonaggio Teatrale, su cui l’attore Ippolito Chiarello ha iniziato a lavorare nel 2009, mostra un involucro simile a quello dei Comici dell’Arte ma contenuti, formule e ragioni profondamente diverse. Stesso l’involucro, perché è teatro codificato e improvvisato allo stesso tempo, enormemente premeditato, eppure ogni volta preda del caso. Diversa la formula, perché qui non c’è solo un canovaccio ma un testo ben congegnato per essere smontato in piccoli pezzi che vanno a comporre il listino con prezzario che l’attore distribuisce ai passanti.

Nel ripercorrere le proprie vicende, i Comici dell’Arte pensavano al viaggiare, spostarsi e consumar scarpe. A rendere visibile la loro arte era proprio lo spostamento, l’errare continuo, che li faceva pensare zingari, ma custodi di una pratica segreta. Gente di un altro mondo. Alcuni studiosi hanno parlato di fascinazione da una parte e disprezzo dall’altra. Questa doppiezza ha attraversato secoli e oggi sembra ancora essere attuale, quando diffidenti ma anche incuriositi siamo rapiti dagli artisti di strada e partecipiamo insieme a loro nel modificare quello spazio che troppo spesso percorriamo distrattamente. È abitandolo in questo modo diverso che lo carichiamo di significati, lo rendiamo extra-quotidiano. Lo fanno l’artista e il suo pubblico, muovendosi fuori dagli edifici teatrali.

foto di Paolo Porto
foto di Paolo Porto

L’idea che oggi Chiarello porta nelle strade delle città di tutta Europa e oltre nasce dallo spettacolo Fanculo pensiero. Stanza 510 con la drammaturgia di Michele Santeramo, pensato per le sale teatrali e che poi ha viaggiato altrove, in strada per lo più. Al passante è distribuito il listino di singoli brani che compongono lo spettacolo, se interessato acquista un pezzo e l’investimento si mostra subito davanti ai suoi occhi, nella voce e nel gesto dell’attore. La natura della proposta deve essere commerciale, è necessario, perché si abituino le persone a dare un valore all’arte, ma anche a sperimentarne il bisogno e la necessità. Se poi quelle persone diverranno nuovo pubblico per le sale teatrali, difficile dirlo. Chiarello lo definisce però «un atto simbolico per rimettersi in contatto con la gente e creare nuove platee». Un teatro spontaneo quindi, nel senso che nasce spontaneamente e che, se il pubblico non ci fosse, non si potrebbe fare.

Le modalità dell’incasso assumono la forma di un gioco che diverte i passanti, proponendo loro un modello che non si basa sulla generosità (tipica della raccolta a cappello), ma sul compenso. È questa tecnologia organizzativa vicina al crowdfunding che dà solidità a questo meccanismo, ma allo stesso tempo lo rende duttile, adatto a ogni piazza e in dialogo con ipotetici spettatori. Se l’idea di teatro come pubblico servizio è ormai difficile da rintracciare nei gangli di questo sgangherato sistema, l’immagine di un attore che letteralmente cerca il suo pubblico pagante cui offrire una prestazione, non è certo una soluzione ma ha i caratteri di un bel miraggio.

foto di Paolo Porto
foto di Paolo Porto

In questa zona franca lontano da quel brulicare di infiniti microsistemi che orbitano attorno al teatro e che spesso lo rendono essenziale solo per chi lo fa, su un piccolo trespolo l’attore avvicina i passanti, davanti ai loro occhi diventa personaggio e loro si fanno pubblico. Per un attimo potrebbe essere anche tutto qui, il teatro.

«Venga il canchero a questa professione e a chi ne fu lo inventore! Quando mi accomodai con costoro, mi credevo di provare una vita felice, ma la ritrovo appunto una vita di zingari, quali non hanno mai luogo fermo né stabile. Oggi qua, domani là: quando per terra, quando per mare; e quel ch’è peggio, sempre vivendo su l’osteria, dove per lo più si paga bene e stassi male. Poteva pur mio padre mettermi a qualche altro mestiere, nel qual credo che avrei fatto miglior profitto, e senza tanto travaglio, poiché chi ha arte ha parte in questo mondo, soleva dire Farfanicchio, mio compagno. Pazienza! Io ci sono entrato, e basta in questa professione romperci un paio di scarpe per non se ne levar mai più» Domenico Bruni (1594).

Doriana Legge

visto a L’Aquila aprile 2017

FANCULO PENSIERO. STANZA 510
con Ippolito Chiarello
drammaturgia Michele Santeramo

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Doriana Legge
Doriana Legge
Doriana Legge è docente di Storia del Teatro e Problemi di storiografia dello spettacolo presso l’Università degli studi dell’Aquila. Nel 2014 ha conseguito il dottorato di ricerca in Generi letterari presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli studi dell’Aquila. Dal 2013 fa parte del comitato di redazione della rivista di studi “Teatro e Storia” edita da Bulzoni. Collabora a voci enciclopediche per il Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani. Scrive per la rubrica teatrale dell’“Indice dei libri del mese”. È anche musicista e compositrice per cinema e teatro, autrice di sonorizzazioni che portano a indagare le immagini pensando relative drammaturgie sonore. Da gennaio 2017 collabora con Teatro e Critica. Per consultare i suoi lavori e pubblicazioni più recenti: https://univaq.academia.edu/DorianaLegge

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