Scannasurice, testo di Enzo Moscato diretto da Carlo Cerciello con Imma Villa, è in scena al Piccolo Eliseo di Roma fino al 19 marzo. Recensione
L’intricato reticolato dei Quartieri Spagnoli, sconvolti dal terribile terremoto che colpì Napoli nel 1980, si riversò, due anni dopo, nelle parole di Scannasurice. Le viuzze labirintiche, piene di topi, pietre e rifiuti, fatte di impervie salite da percorrere anche sotto la pioggia, mille piedi che scappavano alla rinfusa, ché il tentativo di salire non era tanto nel trovare la bellezza e l’eleganza del Vomero, quanto un disperato e atavico bisogno di salvarsi, nelle mani di Enzo Moscato si tradussero in parole tirate, sonore, oscure, feroci, vivide. «Ecco, io con Sсannasùriсe vedevo е percepivo le ferite, le faglie, le fratture dei nostri animi con lo stato precedente della vita e la cultura a Napoli» sostiene l’autore. A restituirle in scena è un femminiello, figura che in seguito diventerà tipica del suo teatro, che dentro la sua «stamberga» aspetta che sia l’ora del suo bisinìsse e che ora riveste la maestria di un’attrice come Imma Villa, guidata dalla regia millesimale di Carlo Cerciello dentro l’imponente e claustrofobica scena di Roberto Crea.
Mentre il sipario del Piccolo Eliseo svela questa costruzione a tre piani, abbiamo, ancora avvolti nella penombra, l’idea di un luogo più grande, scheletro edilizio di un palazzo forse in macerie; si diffonde la voce e alzate le luci, notiamo il corpo piegato, costretto a un incessante movimento, a scivolare su e giù da cubicoli, strisciare, arrampicarsi, accucciarsi. Il nostro femminiello parla ai suoi topi con affetto e disprezzo, a noi si rivolge, ai napoletani schiacciati da un’emergenza più grande, è suricillo egli stesso, topo che tenta, come i suoi compagni ai «piani bassi», di risalire al senso della sua esistenza.
Un unico respiro per questo assolo, all’interno del quale il ritmo dei cambi tonali, dei frammenti di storie raccontate si riversa sul collo, sulle spalle dell’attrice. Volto pittato, retina sulla testa glabra, canottiera e mutandoni da uomo, poi pelliccia rossa, collane, parrucca morbida castana, sandali col tacco. In mezzo, una figura da icona mariana (scelta registica più che indicazione testuale), con tanto di lucette perimetrali, che si lancia in una profonda e lancinante invettiva, benedizione al curaro nella pubblica cisterna, ambigua nel suo atto, che sia di morte o di salvezza.
In ciascun personaggio, ma più in generale in ogni aspetto che attiene tanto al testo di Moscato quanto alla messinscena di Cerciello, il contrappunto e il paradosso sono due dispositivi fondamentali. Anzi, si vive proprio nel mezzo, nei personaggi dei bassifondi che però conversano in latino, nell’essere maschera e persona contemporaneamente, nel ribaltare la verità di ogni gesto, di ogni storia nella quale la promessa di vita sembra poi morte e il fantasma diventa capace di salvare. È il «miracolo quotidiano» che senza giudizio ci accompagna in questa Napoli dalla sconvolta esistenza, dove chi scanna sceglierà di essere scannato.
Il napoletano barocco di Moscato raccoglie l’eredità di Eduardo ma fa chiaramente i conti col proprio tempo – «parlare è un modo come un altro per passà a nuttata» sentiamo – e anzi si pone, come sostiene egli stesso «in un polemico rifiuto a non volersi allineare», è anch’esso intricato dedalo, che però si libra in una lingua ricchissima e sfaccettata, piena di suoni che riempiono le parole, di stasi improvvise, perfino di parentesi esplicative verso termini forse troppo distanti da un non partenopeo. E Imma Villa, complice il tappeto sonoro di Hubert Westkemper e le melodie di Paolo Coletta, è attrice superba, precisa nell’orchestrazione di corpo e voce, attenta, mai grottesca, mai a strabordare, mai si concede l’ammiccamento, il tono compiaciuto, l’esagerazione. Eppure il suo è un lavoro che tocca e commuove, tanto nei momenti più lirici quanto in quelli più quotidiani, nello sguardo gettato in basso alla topolina Teresa ormai orfana di tre padri, in quello obliquo, attraverso l’ombrellino da passeggio, fino a quello volto alle nuvole, alla luna, sguardo in alto appena un momento prima di rimanere indissolubilmente a terra.
Viviana Raciti
In scena al teatro Eliseo di Roma fino al 19 marzo 2017
SCANNASURICE
di Enzo Moscato
regia Carlo Cerciello
con Imma Villa
scene Roberto Crea
suono Ubert Westkemper
musiche originali Paolo Coletta
costumi Daniela Ciancio
disegno luci Cesare Accetta
aiuto regia Aniello Mallardo
assistenti alla regia Tonia Persico e Serena Mazzei
produzione Teatro Elicantropo Anonima Romanzi e Prospet