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L’Orgia del Patologico. Lambire Pasolini

La tragedia di Pasolini del 1968, nella riscrittura di Enrico Maria Carraro Moda prodotta da I Nani inani, è andata in scena al Teatro Patologico di Roma. Recensione.

Foto Ufficio Stampa
Foto di Mia Labate

Difficile rivolgersi a Pier Paolo Pasolini. Difficile raccoglierne la parola teatrale, la meno frequentata dai retori dell’apologia che, negli ultimi anni, hanno forzato il suo mistero dentro i confini, liberalizzati per l’occasione, dell’icona.
Difficile anche recensire la messa in scena di un suo testo, perché in ogni atto di scrittura ci sono meccanismi di auto-compiacimento: gestire con efficacia la contraddizione, trasformarla in una seduttiva penombra dove conservare, in forma allusiva, le questioni inevase è un piccolo tradimento congenito, una mediazione di ennesimo grado somigliante alle formule, remissive o celebrative, che sembrano le uniche con le quali riusciamo ad avvicinarlo.

Enrico Maria Carraro Moda si è messo alla prova con Orgia e la sua interessante riscrittura è andata in scena al Teatro Patologico di Roma, spazio in cui si porta avanti da anni una ricerca complicata sulle interazioni tra lavoro teatrale e malattia mentale.
La scena è scura, vasta e profonda, i pochi oggetti che la abitano – un piccolo flipper, una casetta di plastica, un maneki nero (la statuetta cinese del “gatto che dà il benvenuto” con il moto perpetuo della zampa sollevata), grandi palle colorate – definiscono subito un primo livello di leggibilità della pièce: l’indagine sull’ancestralità del gioco violento.

Foto Ufficio Stampa
Foto di Mia Labate

Siamo dentro lo spazio domestico di una coppia borghese, assistiamo alle ritualità del loro ménage sadomasochistico, ne riconosciamo facilmente le implicazioni simboliche, lo studio dei rapporti di forza; della sinossi pasoliniana Carraro Moda riprende le coordinate essenziali, ma ne destruttura la scansione in episodi (sei più il prologo nell’originale) e ne ringiovanisce gli interpreti.
La mezza età dei coniugi (Laura Betti e Luigi Mezzanotte nella messa in scena che debuttò a Torino nel 1968, per la regia dello stesso Pasolini) diventa giovane adultità, ridisegnata attorno alle fisicità dell’Uomo (Mauro F. Cardinali) e della Donna (Martina Corsi), dissimili ma accomunate da un tratto imperioso. Lo spazio scenico, dominato senza sforzo dalla presenza intensa e dal movimento dei due interpreti, è tagliato dai rapidi attraversamenti di Mirko (Daniele Arceri) e scalfito dall’ingresso a pochi minuti dal finale della giovane prostituta (Clara Morlino). Se la scelta di espandere in forma di personaggio una figura solo nominata in Pasolini – Mirko è un bambino abusato anni prima dall’Uomo – è una bella trovata drammaturgica, la latenza perversa delle riemersioni del passato è, in questo caso, dispersa e non potenziata da un’adeguata comprensibilità.

Foto Ufficio Stampa
Foto di Mia Labate

Del discorso pasoliniano rifrangono, con forza e senza retorica, il sentimento di tragicità e mistero sottesi all’atto sessuale e la percezione sinistra di un assetto sociale capace di contenere e quasi sottendere ogni spinta anti-sistemica. Così al tentativo di lacerare o manipolare, anche soltanto in forma privata, le logiche di potere che regolano la vita borghese può corrispondere unicamente un’eversione ludica e ritualizzabile, un’azione solo in apparenza auto-espressiva.
È materia difficile per una messa in scena, richiede un pubblico disponibile che purtroppo il Pasolini degli anni teatrali non ha avuto. Per riprenderla oggi serve una capacità di visione che Carraro Moda, con una certa spregiudicata libertà, dimostra di avere e la platea del Patologico si lascia condurre. Ci sono icone gettate alla rinfusa (Caterina Caselli, ovetti Kinder, braccialetti fluorescenti) dentro la stanza della perversione, un tappeto sonoro elettronico,  qualche ripetizione e qualche indulgenza. Questa operazione, tra smarcamento e adulterazione, fa veramente apparire qualcosa: accenni di lotta disperata per la comprensione, lampi di lucidità dentro il parco giochi della falsa coscienza, risposte residuali e illusorie del corpo – «un cuore antico, preesistente al pensiero» –, atmosfere senza speranza ma gravide di sogno.

Foto Ufficio Stampa
Foto di Mia Labate

Difficile rivolgersi a Pasolini, difficile raccogliere l’eredità di una parola teatrale inventata programmaticamente per spezzare i processi empatici, anche l’empatia inversa della contestazione gridata.
Forse è meglio riscriverlo e lambirlo, recuperarne una traccia e saperla trasportare. Coscienti di tradirlo, facendo vertere questa colpa sulle latitudini di un nuovo messaggio.

Ilaria Rossini

Teatro Patologico, Roma – febbraio 2017

ORGIA
dal testo di Pier Paolo Pasolini
con Daniele Arceri, Mauro F. Cardinali, Martina Corsi, Clara Morlino
regia e drammaturgia Enrico Maria Carraro Moda
aiuto regia Clara Morlino
produzione I Nani inani
grafica Giulia Sucapane

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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