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ll crescendo di Spellbound Contemporary Ballet: una danza per Rossini

In Rossini Ouvertures, presentato nel mese di febbraio al Teatro Rossini di Pesaro e in questi giorni al Teatro Vascello di Roma, Mauro Astolfi raccoglie ed elabora alcuni degli elementi del fenomeno storico Rossini. Recensione

Foto di Cristiano Castaldi
Foto di Cristiano Castaldi

Mentre le luci in sala sono ancora accese, una misteriosa figura nera si insinua in proscenio sgusciando da sotto il sipario ancora chiuso. Con essa appare una borsa capiente contenente qualche frutto e qualche ortaggio a simboleggiare – probabilmente – il senso del gusto e della fame. Gusto: per eccellenza il senso principe del Settecento, amata e odiata dimensione percettiva che è anche sinonimo di conoscenza. Fame, una delle parole chiave dell’Ottocento almeno fino alla prima metà del secolo, ovvero il tempo in cui Rossini ha vissuto. Inoltre, nello spettacolo prende corpo anche un’idea di fame intesa in senso lato, quella del corpo quando ciò che desidera non è il cibo. Ed è biograficamente vero che, di tutte le possibili declinazioni di questi concetti, il genio Gioachino Rossini potrebbe aver fatto esperienza. La sua vita viene scandita attorno a una cesura fondamentale segnata dal trasferimento in Francia: una supposta depressione, un abbandono delle scene, un inatteso cambio di rotta che ha avvolto di interrogativi e congetture la vita del compositore.

Troviamo traccia di questa scansione anche nella nuova creazione di Spellbound Contemporary Ballet: nella seconda metà dello spettacolo l’atmosfera si incupisce, s’insinua la dimensione onirica, l’irrazionale, la creatura nera senza volto dell’inizio che ricorre è incubo, è una pressione sul petto, è il sole nero della depressione. Paradossale per il figlio di un rivoluzionario quale Rossini, c’è una forza di cambiamento non luminosa ma oscura che agisce in virtù della resistenza che vi si offre, tanto nella biografia del compositore, quanto nella danza curata da Mauro Astolfi.
Dal punto di vista dell’estetica musicale Rossini ha infatti dato prova di resistenza quando l’effetto rebound del canone ottocentesco ha iniziato a pesare sull’estro classico del secolo precedente dotato di fine sapienza e razionalità. Il compositore pesarese inizialmente non aderì alle tendenze romantiche salvo poi dare prova di potersi ergere, anche in quelle nuove estetiche musicali, a maestro.

Foto di Cristiano Castaldi
Foto di Cristiano Castaldi

Il rapporto danza-musica, centrale nello spettacolo, si caratterizza per una corrispondenza tra suoni e gesti nella quale il coreografo sceglie di non interferire: la danza traduce, traslitterando in movimento, la sequenza dei famosi crescendo rossiniani delle ouverture e solo nei silenzi, nelle pause, con frugalità si prende qualche libertà ritmica che dà respiro alla struttura delle sequenze. La musica sembra così dirigere la danza, scena dopo scena; una alternanza leggera di ouverture e arie anima nei danzatori un danzare quasi sempre centrifugo, che si risolve in linee estese e fulminee prodezze, dopo aver attraversato con chirurgica precisione la sezione centrale del corpo. Mentre gli arti inferiori dei danzatori sembrano essere bionicamente dotati di ammortizzatori che rendono gustosi e soffici tutti i loro spostamenti, gli arti superiori sminuzzano il gesto in piccoli segmenti – culminanti soprattutto in forme aguzze delle spalle, dei gomiti e delle mani – per poi distendersi verso la sfera intorno al corpo, in questo modo continuamente ossigenata da una pulsazione. In Rossini Ouvertures Astolfi restituisce al pubblico, grazie ai corpi dei suoi virtuosi danzatori, l’idea concreta dell’aura che emana da questa complessa espressione del genio musicale italiano.

Il fondale della scena è occupato da una grande parete di legno marrone: un enorme armadio con diverse ante dalle quali i danzatori entreranno e usciranno, appariranno e scompariranno quali spiriti indisciplinati: rannicchiati, sdraiati o direttamente in piedi, scivolando come fluida materia o con fare quasi animalesco. Siamo, probabilmente, in una rappresentazione della vita e – perché no – forse della mente del compositore pesarese, un uomo prodigioso che ha costellato la propria esistenza di entrate e uscite trasformandole in exploit, apparizioni e ritiri dai contorni oscuri.

Foto di Cristiano Castaldi
Foto di Cristiano Castaldi

Nel cuore della cifra chiara del balletto contemporaneo di Spellbound fa capolino un po’ di teatrodanza, qualche accenno di espressività slegata dalle sequenze di movimento esula sin dall’inizio dalla costanza del ritmo del fraseggio danzato, fino a che la voce esordisce da uno solo dei danzatori in scena, rendendo a quel punto inspiegabilmente muti tutti gli altri e restando sospesa, come possibile intenzione da esplorare in attesa di un chiarimento che solo dall’interno dello spettacolo stesso potrebbe originare.
I costumi vestono i danzatori da cicisbei unisex con un twist contemporaneo che li rende eleganti e versatili nei diversi ruoli e stuzzicano la fantasia dello spettatore, il cui divertissement consiste anche nell’apprezzare le forme nette di corpi dai quali emana un rigore prima muscolare e poi tecnico di ottimo livello.

A spettacolo concluso, tra i vivi applausi della platea gremita, si fa spazio il desiderio che la danza di Mauro Astolfi possa continuare a crescere in questa direzione che dialoga con la drammaturgia, fino a creare una sapienza coreografica capace di sublimare un tema, uno spunto, una passione, superando l’adesione musicale e scardinando i ritmi. Come Rossini, maestro del crescendo, questa nuova “ouverture” di Spellbound potrebbe segnare, per questa bella realtà della danza italiana, il motivo di un ancora più deciso decollo.

Gaia Clotilde Chernetich

Teatro Vascello, Roma – marzo 2017

ROSSINI OUVERTURES
coreografia e regia Mauro Astolfi
danzatori Fabio Cavallo, Alice Colombo, Maria Cossu, Giovanni La Rocca, Mario Laterza, Giuliana Mele, Caterina Politi, Giacomo Todeschi, Serena Zaccagnini.
musiche Gioachino Rossini
disegno luci Marco Policastro
set concept Mauro Astolfi Marco Policastro
realizzazione scene Filippo Mancini/CHIEDISCENA Scenografia
costumi Verdiana Angelucci
assistente coreografa Alessandra Chirulli
comunicazione e ufficio stampa Antonino Pirillo
una produzione Spellbound realizzata con il Contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo in collaborazione con il Comune di Pesaro & AMAT
produzione Spellbound con il contributo del MIBACT
in collaborazione con Amat/Teatro Rossini di Pesaro

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Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell'Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l'Université Paris3 - La Sorbonne Nouvelle e l'Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull'estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.

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