Irina Brook porta in scena L’isola degli schiavi di Pierre de Marivaux al Teatro Duse dello Stabile di Genova. Recensione.
Direttrice del Théâtre National de Nice, Irina Brook inaugura la più stretta collaborazione fra il teatro nizzardo e il Teatro Stabile di Genova con una sua nuova messa in scena, al Teatro Duse, della prima commedia sociale scritta da Pierre de Marivaux, L’isola degli schiavi. Si tratta, inoltre, della creazione conclusiva della cosiddetta Trilogia delle isole, firmata della regista franco-inglese: una trilogia composta anche da Une Odyssée e Tempête! che venne presentata – con una precedente versione de L’isola degli schiavi – nel 2013 al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Non possiamo sapere se l’autore potesse prevedere fino a che punto la questione del “mettersi nei panni degli altri” sarebbe rimasta attuale, e per di più in maniera crescente, dal 1725 a oggi. A quasi trecento anni di distanza dal debutto de L’isola degli schiavi alla Comédie Italienne di Parigi, ritroviamo infatti questioni che dialogano a viso aperto anche con la nostra etica contemporanea: tra correzione, umiliazione e vendetta vi è a volte un confine troppo sottile. Il rapporto di potere tra servi e padroni, tema del soggetto, viene affrontato da Marivaux non solo come questione sociale, ma anche come un problema individuale che mette in luce l’importanza e la potenza delle capacità empatiche degli esseri umani.
Giunta alla sua terza prova con questo testo drammaturgico – le precedenti versioni, francesi, sono del 2005 e del 2013 – Irina Brook mostra di conoscerne bene i ritmi e le sfumature interpretative, ma nonostante questo non riesce a incidere una propria convincente griffe sul testo; infatti la prolifica scrittura di Marivaux, pur nella polifonia equilibrata della traduzione calzante di Carlo Repetti, a tratti sembra quasi entrare in un testa a testa tra scena e drammaturgia dove ad avere la meglio e a suscitare meraviglia nello spettatore sono quasi sempre le parole.
Il mondo che si para davanti allo sguardo del pubblico è sorretto sulle spalle di quattro bravi attori – Duilio Paciello, Elena Gigliotti, Marisa Grimaldo, Andrea Di Casa e Martin Chishimba – che, superando di molte spanne un’attitudine burlesque, sembrano dover spremere come limoni i propri personaggi per poter adeguare la propria recitazione volutamente sopra le righe alla potenziale profondità etica della drammaturgia cui purtroppo, in questo modo, non è concesso di esaurirsi completamente.
Nella prima scena, due sedie posizionate in proscenio vengono trasformate da un Trivellino-steward della Utopian Airlines: così la regia trasforma il naufragio degli ateniesi protagonisti, Ificrate e Eufrosina, e dei loro servi, Arlecchino e Cleante, in un disastro aereo.
Marivaux, uomo colto e sofisticato dalla triplice carriera di romanziere, critico e drammaturgo, attraverso le sue opere ci consegna un prezioso ritratto della società francese della seconda metà del XVIII secolo. Le sue opere – letterarie e teatrali – con chiarezza ci fanno intuire come tra i suoi interessi vi fosse quello del travestimento usato come mezzo per smascherare la verità. Così, una volta naufragati sull’isola degli schiavi governata da Trivellino, Ificrate e Eufrosina dovranno cedere il proprio ruolo di padroni e i propri abiti ai servi, Arlecchino e Cleante. A ruoli invertiti, a tutti i personaggi è concesso l’accesso a una più profonda comprensione della condizione dell’altro.
Dal momento in cui giungono sull’isola, i protagonisti affrontano la permanenza come una terapia che permetterà a tutti loro di mettere alla prova la propria empatia, fino allo scioglimento finale dove, vestiti simbolicamente di bianco, si fonderanno in un abbraccio fraterno che si vuole sincero e frutto di un vero cambiamento interiore. Tuttavia, la regia non approfondisce questa profonda trasformazione se non rallentando il ritmo dell’azione che inizia allora a disperdersi terminando addirittura con un doppio finale, che non appare necessario.
Irina Brook gioca la carta del grottesco cospargendo di sabbia la scena e ponendovi al centro una sorta di zattera-relitto, sormontata da un frontone classicheggiante in rovina chiuso da una tenda bianca sfilacciata. Ai lati del palcoscenico, sono valigie, bauli, oggetti alla rinfusa a colorare un’ambientazione altrimenti volutamente scarna, mentre a iniettare musiche jazz nello spettacolo è una radio che viene azionata direttamente dagli attori in scena.
I temi evocati nello spettacolo rappresentano questioni aperte, profonde e dal grande potenziale, ma la regista sembra non essersi voluta concedere uno sguardo calmo sul testo di Marivaux. Attendiamo la sua prossima collaborazione con lo Stabile di Genova per ritrovare quell’essenzialità di segni e quel buon lavoro sulla cifra poetica che senza dubbio sono alla base del suo stile e che qui, purtroppo, sembrano essere stati sopraffatti da un testo poco incline a lasciarsi dominare da certe chiavi registiche e interpretative.
Gaia Clotilde Chernetich
Teatro Duse, Genova – marzo 2017
L’ISOLA DEGLI SCHIAVI
regia Irina Brook
interpreti Duilio Paciello, Martin Chishimba, Elena Gigliotti, Marisa Grimaldo, Andrea Di Casa
versione italiana Carlo Repetti
scene Noëlle Ginefri
costumi Catherine Rankl
luci Alexandre Toscani
produzione Teatro Stabile di Genova / Théâtre National de Nice