Attraverso le scritture di Werner Schwab, Dante Antonelli e il suo gruppo stanno attraversando una fertile ricerca. Abbiamo visto l’ultimo capitolo delle riscritture dei Drammi fecali, da Sterminio, SSKK – Santo Subito + Kova Kova. Recensione
C’è una città in affanno, stretta in una morsa mortale tra burocrazia, legalità esasperata, regolamentazioni inefficaci, che come tagliole arrivano a tranciare l’arte quando nasce. Questa è Roma in un periodo storico involuto quanto mai da decenni, con una classe politica alla finestra che guarda il panorama senza possibilità (o capacità?) di intervento. Quando qualcosa di raro mette la testa fuori dalle macerie bisogna accoglierlo, dargli una casa. Qualcuno ci prova e a volte ci riesce, come nel caso di Carrozzerie n.o.t., che ha avuto la lungimiranza di scommettere sulla produzione del collettivo Schlab. Al centro c’è Dante Antonelli, regista emergente diplomato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico e impegnato negli ultimi anni in un rigoroso percorso di ricerca sul drammaturgo Werner Schwab. Attorno a lui una schiera di artisti altrettanto giovane e preparata. «Tutto ha avuto luogo grazie all’incontro», ammette il regista, e gli altri dal canto loro affermano che assieme hanno avuto la possibilità di creare, di partecipare in quanto autori, che siano musicisti o attori.
Il collettivo Schlab parla spesso di tradimento nei confronti del drammaturgo austriaco. L’utilizzo dei testi in questo ultimo lavoro – un trittico messo in scena nella sua interezza a Teatro Azione per la rassegna Presente! –ricorda quella concezione cara Jerzy Grotowski, secondo cui la letteratura di partenza è da utilizzare come una sorta di trampolino verso una nuova creazione. D’altronde questo percorso viene intrapreso da Antonelli per tutto il lavoro sulla trilogia dei Drammi fecali in una ricerca ad ampio spettro cominciata con Fak Fek Fik (a partire dalle Presidentesse) nel 2015 e arrivata ora in via di conclusione con SSKK – Santo Subito + Kova Kova, ovvero una riscrittura libera, senza pietà e manierismi di Sterminio.
In una scena vuota e buia (curata da Fracesco Tasselli) che sembra voler risucchiare gli interpreti, i quali debbono lottare continuamente per venire a galla, per esistere, si alternano tre brandelli di vita. Un pittore quotidianamente combatte la propria battaglia con un passato doloroso e un albero genealogico snaturato: l’arte è una ferita aperta su quel passato. Tutto il corpo di Gabriele Falsetta è pennello, colore e tela, è corpo scenico, è il terminale ultimo di una scrittura che appunto si compone sul palcoscenico in un continuo confronto con la partitura sonora eseguita dal vivo da Samuele Cestola alias Samovar. Graz, dove è ambientato il testo di partenza, allora non può che diventare Recco, il luogo in cui Falsetta è cresciuto, la ridente cittadina austriaca sbiadisce in una cartolina di provincia, periferia del mondo e dell’anima, underground nel quale si agitano personaggi sconfitti, ironici e dolenti.
Il rapporto con la realtà a noi contemporanea si fa poi più stretto e circostanziato nel secondo episodio: due adolescenti (Valeria Belardelli e Arianna Pozzoli brave ad oscillare tra cinismo, ironia, disincanto ed erotismi da lolite nostrane), che al contrario utilizzano il corpo solo per esporlo a propri coetanei via webcam, esistono in quanto flussi verbali in decomposizione e non c’è disperazione che possa salvare dall’omologazione, dal modello precostituito.
Il ritorno al soliloquio del terzo e ultimo atto restituisce una collocazione drammaturgica ai personaggi, dalla cartolina usurata di Recco arriva, en travesti, Tatiana: buca ogni stratificazione narrativa, sembra voler divellere, ancora una volta, il substrato della forma: «Io sono il mio linguaggio, per questo lo uccido». È un frontale con il pubblico, con abilità Falsetta lo annichilisce sotto l’apparenza di una familiare stand-up comedy.
Tatiana e il suo drappo rosso cadono insieme ai rimpianti di una vita, ma è la parola a prendersi la propria vendetta: «Io non piango, io parlo, perché ti riconosco». Sterminio senza lo sterminio; non può essere altro che un genocidio interiore quello proposto da Antonelli, è la dignità a essere massacrata.
In uno scenario disperante – nel quale si coglie l’omaggio all’autore morto per alcolismo nella solitudine dei propri trentacinque anni durante la notte di Capodanno – almeno l’arte è salvazione contro l’oblio?
Andrea Pocosgnich
febbraio 2017, Teatro Azione, Roma, Presente!
SSKK – (SANTO SUBITO + KOVA KOVA) – WERNER SCHWAB
DIREZIONE: DANTE ANTONELLI
CON VALERIA BELARDELLI – GABRIELE FALSETTA – ARIANNA POZZOLI
Drammaturgia Collettivo SCHLAB
Ambiente sonoro Samuele Cestola
Ambiente scenico Francesco Tasselli
Costumi Claudia Palomba
Coordinamento Annamaria Pompili
Ufficio Stampa Marta Scandorza
Illustrazione Serena Schinaia
Foto Giorgio Termini