Andrea Baracco dirige Romeo e Giulietta, l’ultima produzione di Khora Teatro in tournée nazionale e ancora in scena al Teatro Eliseo di Roma. Recensione
Continua la stagione dei “grandi numeri” al Teatro Eliseo: dal mese di ottobre la sala di via Nazionale non ha mancato di ospitare in cartellone grossi allestimenti di giro, spettacoli che hanno circuitato e continueranno a circuitare scegliendo come tappa della tournée proprio lo spazio, ora ristrutturato e rinnovato dopo un lungo periodo di chiusura, dal criticato direttore artistico Luca Barbareschi. Un’offerta culturale ampia, diversificata e dai nomi di spicco nella quale si inserisce, con una lunga tenitura, Romeo e Giulietta, l’ultima produzione di Khora Teatro che, dopo gli allestimenti di Amleto, La dodicesima notte e l’ultimo Rosencratz e Guildestern sono morti, conferma l’intento di dedicarsi ai grandi classici rendendoli accattivanti per la contemporaneità, così da favorire – come dichiarato nell’idea produttiva − «oltre all’ampliamento del naturale target teatrale, una ampia possibilità di circuitazione».
Gli sforzi produttivi di Khora Teatro, dall’appeal dichiaratamente commerciale, danno «continuità al progetto di portare in scena grandi classici del teatro, rivolti ad un vasto pubblico popolare, pur strizzando come sempre l’occhio alle nuove generazioni […] al fine di concretizzare una innovativa visione dell’adattamento e della messa in scena in linea con un teatro realmente europeo». Sembra quasi consequenziale dunque che di fronte a una simile operazione il pubblico teatrale romano possa dividersi nettamente in due tra favorevoli e contrari. Coloro che gridano al blockbuster teatrale e coloro invece che, consapevoli di una precisa natura tanto artistica che produttiva, si godono lo spettacolo.
Diretta da Andrea Baracco – le cui scelte registiche, seppur si contraddistinguono per un taglio sperimentale, non riescono tuttavia a scavare nel solco della classicità e vi rimangono imbrigliate senza compiere un effettivo e decisivo scarto autoriale –, Romeo e Giulietta si presenta a metà tra un’operetta dai toni vagamente dark e il dramma borghese, dove il reale protagonista vuole essere il tempo: «These violents delights have violent ends». In caduta libera verso l’inesorabile susseguirsi di eventi funesti, guardiamo inermi il loro terribile accadere senza poter rivendicare il diritto a un’azione che possa impedirli, come riportato nelle note di regia «C’è un universo adulto che osserva impassibile il dimenarsi forsennato dei propri figli che inciampano di continuo». L’osservazione è rappresentata dai due blocchi scenografici – i palazzi delle due famiglie di Verona – di Marta Crisolini Malatesta, due soli cubi di ferro e plexiglass a due piani percorsi furiosamente dall’alto in basso, sopra e sotto dai protagonisti della vicenda che, come adolescenti insoddisfatti della realtà, scriveranno frasi d’amore sui vetri di queste prigioni.
Il punto di vista col quale raccontare ancora e dopo quattrocento anni questo amore non può che essere dunque il cinismo beffardo e sacrilego di Mercuzio, interpretato da Alessandro Preziosi; un “attore mainstream” che può scontare per questo il pregiudizio da parte di certo pubblico e che invece qui stupisce per la presenza conturbante, in désequilibre tra femminile e maschile, purezza e malvagità, amore e odio, incarnando con passo danzato e senza colpo ferire la disillusione del sogno d’amore. Questo Mercuzio vuole essere la precaria e fuggevole spinta che anela davvero a smuovere a suo piacimento gli eventi, con quel protagonismo che oscura addirittura i due giovani innamorati; è una figura quasi paterna, di quei padri però che hanno fallito nell’insegnamento, consci che il loro è stato solo vano parlare. Per questo poi, dopo la morte, lo stesso Preziosi vestirà i panni dello speziale che per alcuni soldi lanciatigli con meschino disprezzo, venderà al disperato Romeo il veleno col quale uccidersi. Personaggio opposto invece è Benvolio, un remissivo e buono Dario Iubatti, i cui toni caratteriali sono volutamente sbiaditi in una posa accuratamente incerta, che soffre gli accadimenti consapevole di dover restarne ai margini. Intorno a Mercuzio si agitano Romeo (Antonio Folletto) e Giulietta (Lucia Lavia), il primo infaticabile scalmanato di passione, la sua è una recitazione emotiva e furente, a tratti troppo incontrollata e tutta resa attraverso una fisicità smaniosa e irrefrenabile; lei invece è interamente concentrata su di sé: chiusa nel suo ruolo lo ingrandisce e deforma più del dovuto, la sua capacità attoriale diventa una smorfia grottesca e si slabbra in una recitazione ingombrante che abbandona del tutto la purezza virginale e sommessa di Giulietta.
I due giovani così diretti non comunicano realmente tra loro, si sfuggono vicendevolmente fino alla scena della morte, la quale con ironica provocazione, inattesa rispetto al sentimento generale della pièce, finalmente vedrà Romeo e Giulietta mettersi in dialogo, in silenzio e rassegnati a fumarsi l’ultima sigaretta. Impera dunque su entrambi quello sguardo cinico che li osserva respingersi, come poli opposti, universi paralleli che sembrano confermare i due blocchi inamovibili della scena abitati da altrettanti inamovibili genitori. La musica è il tessuto sonoro che si inserisce nelle relazioni: dai ritmi dub del party in maschera, passando poi per alcuni inserimenti cantati dagli stessi attori come un tiratissimo Amore che vieni, amore che vai urlato da Romeo, fino a un più sobrio e necessario Stabat Mater intonato da un Woody Neri composto, ma terribile per severità, nei panni di Padre Capuleti, e ancora la struggente ballata scozzese Lord Randal cantata dalla balia, un’Elisa Di Eusanio scaltra, amorevole e con quella rudezza che non è ignoranza ma esperienza di vita.
Se non fosse per il numeroso ensemble di attori poco organico, nel quale spiccano solo alcuni rispetto ai dieci presenti in scena e per alcune forzature tecniche che appesantiscono e imbrigliano il dispiegarsi drammaturgico (come il dover necessariamente salire e scendere senza un fine drammatico dai due blocchi o i carrelli sui quali entrano e escono gli attori) Romeo e Giulietta potrebbe vantarsi tanto della sua visione cinicamente realistica che dei suoi momenti di cinematografica bellezza: nel buio di un silenzio ovattato, mentre la festa scorre a ralenti, giunge Giulietta, illuminata in un cono di luce incede a piccoli passi; indossa una delicata nuvola di tutù ma porta sul volto una maschera da scherma: sarà davvero un’elegante guerriera nelle vesti delicate di una ballerina?
Lucia Medri
visto al Teatro Eliseo, Roma – febbraio 2016
ROMEO E GIULIETTA
di William Shakespeare
traduzione Salvatore Quasimodo
adattamento Andrea Baracco
Regia Andrea Baracco
Produzione KHORA.teatro e Teatro Stabile d’Abruzzo
Con
Lucia Lavia nel ruolo di Giulietta
Antonio Folletto nel ruolo di Romeo
e Alessandro Preziosi nel ruolo di Mercuzio
e con
Frate Lorenzo Gabriele Portoghese
Balia Elisa Di Eusanio
Principe Giacomo Vezzani
Paride Mauro Conte
Tebaldo Laurence Mazzoni
Benvolio Dario Iubatti
Padre Capuleti Woody Neri
Madre Capuleti Roberta Zanardo
Padre Montecchi Daniele Paoloni
Madre Montecchi Alessia Pellegrino
Scene Marta Crisolini Malatesta
Costumi Irene Monti
Luci Pietro Sperduti
Musiche Giacomo Vezzani