Teatro in video 38° appuntamento. Il 15 febbraio di un anno fa moriva a Roma il regista Giuliano Vasilicò, una delle personalità di riferimento per l’avanguardia teatrale degli anni Sessanta e Settanta del Novecento. Un estratto dello spettacolo 120 giornate di Sodoma (1972).
Dalle pagine de Le Figaro un entusiasta Pierre Mazars dal Festival Mondiale di Nancy richiamava il teatro della crudeltà, rintracciando l’essenza stessa dell’opera di Donatien-Alphonse-François de Sade nell’adattamento del 1972 de Le 120 giornate di Sodoma per la regia di Giuliano Vasilicò. Testo nero, complesso, controverso non solo rispetto alla storia editoriale e scandaloso non solo per l’epoca di composizione, la sua grandezza è nella blasfema sacralità della parola, bestemmiante evocazione di anatemi che si fa tempio nell’architettura della narrazione. «[…] all’interno dello stesso romanzo sadiano c’è un altro libro, libro testuale, tessuto di pura scrittura, e che determina tutto ciò che accade “immaginariamente” nel primo: non si tratta di raccontare, ma di raccontare che si racconta…» (Fourier, Loyola. La scrittura come eccesso, Torino, Einaudi, 1977): la duplicità così riconosciuta da Roland Barthes quale peculiarità intrinseca del testo letterario si rispecchia a suo modo nel corrispettivo teatrale grazie a una sincronia ove immagine e corpo, suono e voce negano il naturalismo tanto quanto l’astrazione o il simbolismo puro, valendosi l’apprezzamento pure del critico francese.
Lo spettacolo arriva dopo la conoscenza delle avanguardie in Svizzera, dopo l’esperienza con Giancarlo Nanni al Teatro La Fede, la costituzione di una compagnia, dopo Missione Psicopolitica e L’Occupazione – di cui è anche autore e interprete – e dopo un Amleto che conquista al regista emiliano una attenzione di critica e pubblico tale da farne uno dei punti di riferimento per la sperimentazione, per i fermenti di quel teatro di cantina che tra la fine dei Sessanta e gli inizi dei Settanta del secolo scorso trova il suo centro negli spazi del Beat ’72, in una Roma per molti aspetti lontana anni luce dalla dispersione odierna. Rappresentata in giro per l’Europa con teniture straordinarie, la pièce inaugura un percorso artistico volto alla traduzione scenica di capisaldi della letteratura: Proust, Il ritratto di Dorian Gray, Il Mago di Oz, e L’uomo senza Qualità nucleo di sviluppo per workshop, laboratori, studi e performance differenti nel corso degli anni sino alle messinscena di natura religiosa. Una ricerca sulla pratica artistica, sul senso stesso dell’attività teatrale evoluta ed inscritta dal tempo, nel tempo.
Marianna Masselli
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