Orestea nello sfascio è un workshop di teatro “in-civile” diretto da Terry Paternoster (Internoenki). Un lavoro corale con studenti, allievi attori e non, per indagare il processo creativo teatrale. Li abbiamo raggiunti a L’Aquila.
L’Aquila è una città cantiere, il “più grande d’Europa” dicono in molti. Della polvere delle macerie, delle demolizioni e di quella più rassicurante della ricostruzione ha tutto il sapore, un po’ amaro per chi la vive o si trova a passarci. Fuori dalla sala che ospita il laboratorio teatrale c’è l’ennesimo cantiere con operai al lavoro; poco più avanti l’Auditorium del Castello con le sue geometrie di legno colorato ideate da Renzo Piano troneggia in un parco che fa da apripista verso il Forte Spagnolo, ancora non agibile dal 2009. Non è semplice una inclinazione topografica che ci suggerisce questa premessa, ma la consapevolezza che Orestea nello sfascio in questa città abbia un valore aggiunto, rintracciato negli occhi dei partecipanti che invadono la sala e in quelli del pubblico che assiste alla prova aperta. Uno “sfascio” che è tangibile nella vita di tutti i giorni, che non ha bisogno di essere immaginato tra puntellamenti, barriere, zone rosse che ripropongono su grande scala gli inciampi e le cadute della nostra società.
Quello dell’attrice e regista Terry Paternoster è un progetto inedito di messa in scena che ha già attraversato il Dipartimento di Arti visive, Performative e Mediali dell’Università di Bologna, il CSS Teatro Stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, il Centro Teatro Ateneo della Sapienza di Roma e che ora arriva all’Università degli Studi dell’Aquila grazie a una collaborazione con l’Associazione Arti e Spettacolo.
Dopo M.E.D.E.A. BIG OIL questa è la seconda tappa di un lavoro corale che si concluderà con una sessione di 39 giorni di prove per l’allestimento dello spettacolo finale. Orestea nello sfascio, un mito che reagisce alle nostre domande, non risponde, ma ci suggerisce qualcosa pur tenendosi stretto alla realtà. Al centro della vicenda le tre province di Bari, Taranto e Brindisi, dove Clitemnestra, Elettra e Oreste si trovano accerchiati da scandali, omicidi mafiosi e rifiuti tossici. Una storia che viene dal passato e porta con sé un carico di storie future e l’invenzione di vite ulteriori, ma qui nessun rimpianto di quando portare i classici a teatro era buona pratica per far quattrini facili e seminare nostalgia.
Il teatro non sempre si muove per spettacoli, o capolavori, ma spesso per gruppi di persone e ambienti, piccole società che sono tali anche per brevi periodi. Da qui la scelta di lavorare sul coro, di professionisti o meno, studenti, appassionati di teatro. Il lavoro sul teatro corale che Paternoster insieme al collettivo Internoenki sta portando avanti da qualche anno riesce a essere efficace nella misura in cui alla pratica del palcoscenico affianca quella di un lavoro martellante e di gruppo. È questo uno degli esempi in cui è importante la comune difesa di un territorio indipendente dove siano realizzabili programmi ambiziosi, visionari, con una pluralità di individui che non disperdano la realtà ma la amplifichino per una riuscita orchestrale del progetto. Quando un coro lavora bene lo si percepisce nel processo creativo, che dimentica i nomi propri e si nutre di relazioni; va oltre le individualità legate e a volte in contrasto, e si unisce nell’azione.
Il teatro qui allora si fa politica ma con altri strumenti, lontano dalle bandiere e dai colori. E a questi tempi che scoraggiano a portare dieci o venti persone in scena il progetto risponde che adeguarsi alle regole del gioco rischia di neutralizzarne l’efficacia e rendere inutili gli sforzi. Il mito dell’Orestea è solo un pretesto, la logica dei suoi avvenimenti rimane intatta: cambiano le circostanze e i luoghi, le epoche e i nomi, tuttavia gli impulsi che generano reazioni sono sempre quelli, infezioni nascoste che ogni società alimenta inevitabilmente.
Doriana Legge