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In assenza d’amore. Masculu e fiammina di La Ruina

Masculu e fiammina di Saverio La Ruina è l’ultima produzione di Scena Verticale. Visto al Teatro India di Roma. Recensione

foto MasiarPasquali
foto MasiarPasquali

«Nella letteratura l’amore è dunque per necessità discorso: deve essere detto, o raccontato. Non sta fermo, ma, appunto, scorre, producendo, nel suo avanzare, inquadrature d’obbligo; tutte diverse, ma tutte in qualche modo accomunate dal loro guardare, o ricordare, o alludere, a quel momento “felice”, a quell’abbraccio che non potrà mai essere completamente detto». Lo scriveva Paola Colaiacomo nelle prime battute del saggio Passione e racconto nell’Othello, studio che faceva parte del volume Othello. Dal testo alla scena del 1983, curato da Mariangela Tempera per Clueb.

Colaiacomo poneva l’accento sull’assenza come elemento «indispensabile alla rappresentazione dell’amore in poesia». L’atto di rappresentazione dell’amore è concesso dunque proprio dall’assenza della persona amata, è l’impossibilità stessa dell’amore a determinarne la narrazione e dunque la drammatizzazione empatica del sentimento: «Solo nella posizione di assenza di uno dei due corpi può essere detto il piacere: che dunque non sarà mai godimento, ma sempre attesa o ricordo, o rimpianto».

foto MasiarPasqu
foto MasiarPasqu

L’ultimo lavoro di Saverio La Ruina (Scena Verticale), rientra pienamente in questi canoni. Masculu e fiammina è proprio il racconto della perdita, di un uomo a cui l’amore è stato più volte strappato via, divelto alle radici. Ecco che qui – per tornare a Colaiacomo – in scena vi è un corpo solo che si fa cassa di risonanza di quell’assenza.
Il lavoro debuttò in forma di studio a Roma nell’ultima edizione di Garofano Verde, scenari di teatro omosessuale, ma probabilmente non aggiunge altro al dibattito sulle problematiche sociali se non rimarcare come nei piccoli centri della provincia italiana l’omofobia sia ancora alla base delle relazioni tra chi si barrica in un presunto stato di normalità e chi viene lasciato al di là del muro. Certo, l’odio è alla base dell’impossibilità di Peppino di vivere con serenità gli amori che nella propria vita ha incontrato, ma allo spettatore rimane il carico del dolore che ha appesantito un’intera vita più che la tematica sociale.

La Ruina lavora in un piccola porzione di palco: lo abbiamo visto all’India di Roma dove l’oscurità circondava uno spazio circolare bianco di neve sul quale era poggiata una lapide e la foto di una vecchia signora. La Ruina entra nel buio, Peppino è venuto al cimitero con un compito, portare i fiori alla tomba della madre e raccontarle la sua vita.

Masculu e Fìammina, con Saverio La Ruina. Foto ©Masiar PasqualiDal punto di vista del linguaggio teatrale non potrebbe esserci niente di più classico; quello del personaggio che parla alla tomba della madre è quasi un escamotage ottocentesco, all’attore e autore serve per instaurare un discorso ammantato di intimità, lo dimostra d’altronde l’uso del microfono che gli permette di lavorare su sospiri e volumi bassissimi. Nonostante tutta la sofferenza patita, Peppino non urla, fa mostra di una pacatezza che diventa così ancora più empatica. I capelli al vento con il primo amore sul motorino, la perdita di colui che sembrava essere la persona con cui egli avrebbe potuto vivere una vita intera; «ricchiù, ricchiù» gli gridavano in paese e ora che non è più giovane desidera solo svegliarsi «in un mondo più gentile», niente battaglie o rivoluzioni.

È un tentativo poetico, che talvolta si apre al lirismo, quando la cadenza calabrese intreccia assonanze e ritmi con una certa continuità. Masculu e fiammina però sconta proprio questo approccio antiteatrale che impone allo spettatore di farsi ascoltatore, ché in scena non accade altro se non lo spostamento dell’interprete nel piccolo spazio, il suo avvicinarsi e allontanarsi dalla tomba. La linearità del racconto non aiuta a movimentare la scena; eppure le parole, che scivolano via con quella delicatezza a cui La Ruina ci ha abituato, potrebbero essere un punto di partenza irrinunciabile per altre forme espressive come eventuali drammatizzazioni radiofoniche, nelle quali l’opera troverebbe una modalità di fruizione più riconoscibile.

Andrea Pocosgnich

VIsto a Roma – Teatro India, febbraio 2017

MASCULU E FIAMMINA
di e con Saverio La Ruina
musiche originali Gianfranco De Franco
collaborazione alla regia Cecilia Foti
scene Cristina Ipsaro e Riccardo De Leo
disegno luci Dario De Luca e Mario Giordano
audio e luci Mario Giordano
organizzazione Settimio Pisano

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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